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Il fragile margine di manovra dello Stato

Il fragile margine di manovra dello Stato

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 12/11/2016

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Dinanzi all'indiscutibile proliferazione di accordi di carattere multilaterale e bilaterale destinati a proteggere le operazioni degli investitori stranieri, molte volte in contrasto con gli interessi dei governi e delle comunità, risulta imprescindibile analizzarne il contenuto e le implicazioni nell'ottica della società civile.

È noto che, nella prospettiva delle istituzioni economiche internazionali, questi strumenti hanno come fine ultimo quello di stabilire un maggiore e migliore ordinamento nelle relazioni tra le imprese straniere e i governi che attraggono i capitali per ciò che riguarda la protezione dell'investitore in senso ampio. Tuttavia, nell'analizzare più dettagliatamente il senso di tali accordi, ci si rende conto che questi strumenti, apparentemente neutri, hanno come scopo il consolidamento (...) di un ordine giuridico internazionale diretto a garantire una protezione illimitata al movimento di capitali appartenenti alle grandi imprese, sfidando con ciò l'autonomia dei governi nazionali. Un regime in cui le norme di protezione degli investimenti vanno viste come un insieme di clausole delineate per neutralizzare i governi per ciò che riguarda l'elaborazione di politiche pubbliche sostenibili (...).

Storicamente, la protezione dei flussi internazionali di capitali è stata soggetta in un modo o nell'altro a una crescente quantità di disposizioni, regole e procedimenti che costituiscono l'essenza di diversi accordi internazionali, i quali, direttamente o indirettamente, mirano ad assicurare maggiori certezze agli investitori. Nel corso degli anni, e in particolare dopo l'entrata in vigore, nel 1994, del Trattato di Libero Commercio dell'America del Nord (TLCAN), si sono stabilite nuove modalità di protezione dell'investimento estero (IE), introdotte principalmente dai Trattati bilaterali in materia di investimenti (BIT, nella sigla in inglese), come pure da diversi trattati di libero commercio (TLC).

Questo processo è stato caratterizzato, in un primo momento, dalla protezione degli investimenti provenienti dai Paesi industrializzati e diretti ai Paesi meno sviluppati, ma, con il tempo, ha riguardato anche le imprese multinazionali dei Paesi in via di sviluppo, molti dei quali attualmente considerati potenze emergenti.

Tale processo ha consolidato i diritti degli investitori, ma, in termini generali, ha fatto molto poco per stabilirne le responsabilità, nel senso di vincolarne le attività con lo sviluppo dei Paesi in cui sono presenti. (…). 

La connivenza tra istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio rivela chiaramente (…) la loro comune resistenza a un cambiamento dello status quo su cui si regge l'economia mondiale.

Negli ultimi 30 anni, queste istituzioni hanno drasticamente ridotto i margini di manovra dei governi, soprattutto nei Paesi poveri, per ciò che riguarda la definizione delle strategie di sviluppo, imponendo a poco a poco cambiamenti economici e politici di rilievo mediante la negoziazione di accordi di libero commercio e di protezione dell'investimento straniero diretti ad attribuire maggiore potere alle imprese transnazionali. (…). 

Questo progetto è profondamente legato all'apparizione di una sorta di governo internazionale dominato dalle transnazionali e dalle istituzioni internazionali. Considerando la complessità del compito di stabilire un regime a grande scala per la protezione degli investimenti esteri, negli ultimi decenni il progetto è avanzato attraverso la negoziazione di accordi di medie dimensioni (…). Tuttavia, i negoziati sul Partenariato Trans-Pacifico, sull'Accordo economico e commerciale globale (CETA) tra l'Unione Europea e il Canada e sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea indicano chiaramente che il processo di consolidamento di un regime internazionale di protezione degli investimenti stranieri avanza speditamente. (…). 

L'analisi di qualunque strumento che miri a proteggere gli investitori rivela un tratto comune: la tendenza a ridimensionare il potere dello Stato e a imporgli sanzioni per qualsivoglia ostacolo agli investimenti (…). Di conseguenza, la maggior parte dei governi che attraggono capitali difficilmente sarà in grado di mettere in pratica politiche di sviluppo economico tali da contravvenire alle priorità delle imprese transnazionali. Un aspetto, questo, che mina una delle funzioni essenziali dello Stato: la capacità di stabilire politiche pubbliche che prevalgano sugli interessi particolari delle grandi imprese. Ma che, paradossalmente, non ha rappresentato, per molti dei governi latinoamericani, un motivo sufficiente per mettere fine ai negoziati sui BIT (...). 

Tra i tentativi più recenti di arrivare a un regime internazionale di protezione degli investimenti vale la pena di ricordare il Mai, l'Accordo Multilaterale sugli Investimenti naufragato nel 1995; il tentativo di includere tra i temi di Singapore del round negoziale di Doha dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) la protezione degli investimenti esteri (2004); e il capitolo sull'investimento del fallito Accordo di Libero Commercio delle Americhe (2004). (...)

QUANDO LE IMPRESE FANNO CAUSA AGLI STATI

Uno degli aspetti più innovatori del Trattato di libero commercio dell'America del Nord (TLCAN) è stato quello dell'inclusione di temi non strettamente relazionati con il commercio, come avviene nel capitolo 11, che stabilisce norme per il comportamento e il trattamento degli investimenti provenienti o meno dall'America del Nord, introducendo un meccanismo di arbitrato extraterritoriale per la risoluzione delle controversie legate alla violazione di clausole relative alla protezione degli investitori dei tre Paesi.

Uno dei risultati più rilevanti del TLCAN è stato quello di permettere alle imprese di fare causa allo Stato in maniera diretta (…) e di poter contare su un meccanismo di arbitrato internazionale, senza doversi rivolgere ai tribunali nazionali del Paese in questione.

Considerando che il meccanismo di risoluzione delle controversie è parte essenziale di un BIT, i governi sono obbligati (…) a rispettare gli impegni relativi alla protezione degli investimenti esteri. 

LE TRAPPOLE DELL’ARBITRATO INTERNAZIONALE IN MATERIA DI INVESTIMENTI 

1. Trattamento nazionale: obbligo di concedere agli investitori di un Paese un trattamento non meno favorevole di quello assicurato agli investitori nazionali in circostanze simili (…).

2. Trattamento della nazione più favorita: obbligo di concedere agli investitori un trattamento non meno favorevole di quello assicurato agli investitori di qualunque altro Paese (…). 

3. Livello minimo di trattamento: obbligo di trattare gli investitori in conformità con il diritto internazionale, assicurando un trattamento giusto ed equo (…).

4. Espropriazione e compensazione: le parti escludono espressamente l'espropriazione diretta o indiretta, e l'adozione di misure equivalenti all'espropriazione di un investimento senza compensazione (…).

5. Requisiti di disimpegno: le parti escludono l'imposizione di certi requisiti o norme, come l'esigenza di un certo livello di contenuto locale o nazionale nei prodotti (…).

Senza dubbio, un aspetto controverso nella maggior parte dei BIT e dei TLC è la definizione di investimento, i suoi limiti e il suo ambito di applicazione, che è particolarmente ampio. L'investimento è definito in maniera tale che il termine abbraccia tanto l'atto dell'investimento quanto i risultati di tale atto. L'ampiezza delle questioni e delle azioni comprese in questo termine è alla radice della maggior parte dei conflitti sorti negli ultimi anni. (…).

Per quanto il meccanismo di arbitraggio del CIADI (Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti) non sia stato originariamente ideato per far fronte a tanti e tanto eterogenei casi come sta avvenendo dal 1994, la crescita esponenziale dei BIT e dei TLC dopo questa data va fatta proprio risalire al TLCAN, il primo strumento che ha condotto i Paesi firmatari a riconoscere il lodo arbitrale internazionale e (…) naturalmente ad accettare di pagare l'indennizzo alle imprese querelanti.

SENTENZE CONDIZIONATE

(…). Non sono i governi a scegliere il meccanismo di arbitrato, ma l'impresa che presenta la causa. Per quanto i meccanismi più utilizzati siano generalmente il CIADI e l'UNCITRAL, nella pratica il CIADI è l'istanza che realmente funziona come meccanismo di arbitrato fino alla fine del processo. (…). In anni recenti, i Paesi latinoamericani si sono lamentati del fatto che molti degli arbitri siano del tutto estranei alle realtà del Paese che esaminano e che il predominio degli europei e degli anglosassoni condizioni le sentenze.

A ciò si aggiunge che la maggior parte delle deliberazioni è portata avanti a porte chiuse ed è difficile in generale che il meccanismo preveda la presenza di uno o più testimoni (…). 

Se i criteri interpretativi sono generalmente assai chiari per le imprese che fanno causa, dietro le quali esiste peraltro un'équipe di consulenti legali solida e naturalmente costosa, lo stesso non si può sempre dire dei governi, generalmente poco a loro agio con il gergo legale (...). Anche se, considerata la quantità di cause intentate contro di essi, in anni recenti si sono costituite équipe della difesa assai più solide di quelle che esistevano alla metà degli anni '90. (…). 

RIFLESSIONI FINALI 

(…). È chiaro che i governi cedono volontariamente parte della loro sovranità quando negoziano tali accordi. Ed è paradossale che, mentre i governi si mettono una camicia di forza accettando tali trattati, le imprese impongono regole di condotta che consentono loro di insediarsi e trasferirsi in base a meri criteri di competitività e di benefici, senza curarsi del fatto che le loro azioni possano distruggere il tessuto sociale di una comunità. (…). 

L'accusa di atti «equivalenti all'espropriazione» ha obbligato i governi a fare marcia indietro nelle politiche pubbliche che in passato erano considerate atti di sovranità. In base ai BIT, i governi non hanno il diritto a esigere che l'investimento coincida con le loro priorità di sviluppo economico o sia rivolto al bene comune. Alla lunga, ciò scoraggia qualunque tipo di politica pubblica diretta a imporre certi requisiti di rendimento per gli investimenti esteri.

È difficile prevedere come si svilupperanno i conflitti sorti nel quadro dei TLC e dei BIT, ma è chiaro che tali conflitti sono il risultato di una regolamentazione internazionale che non tiene conto dell'impatto sui Paesi, sui governi locali e sulla società civile. (…).

Il fatto che negli ultimi anni il CIADI e l'UNCITRAL siano diventati un modello per le cause sugli investimenti obbliga l'America Latina a portare avanti il processo di revisione iniziato nel 2007 da Bolivia ed Ecuador, con conseguente messa a punto di un controllo rigoroso delle nuove proposte di investimenti come quelle descritte in sede OMC o incluse in nuovi accordi commerciali in via di negoziazione.

* Immagine di Cary Bass-Deschenes. Tratta da Flickr. Immagine originale e licenza.

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