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No ai mafiosi come padrini di Battesimo e di Cresima: decreto del vescovo di Monreale

No ai mafiosi come padrini di Battesimo e di Cresima: decreto del vescovo di Monreale

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 01/04/2017

38904 MONREALE (PA)-ADISTA. Divieto per i mafiosi di fare i padrini di battesimo e di cresima. Lo ha stabilito l’arcivescovo di Monreale (Pa), mons. Michele Pennisi, con un decreto datato 15 marzo e valido per l’intero territorio della diocesi che proibisce una pratica spesso utilizzata dai mafiosi per sancire o rafforzare affiliazioni e per ribadire il loro potere di controllo.

«Il canone 874 del Codice di diritto canonico prevede che per essere ammesso all'incarico di padrino vi sia una condotta di vita conforme alla fede e all'incarico che si assume», si legge nel decreto. «Tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa». Quindi il divieto, condiviso dall’intero consiglio presbiterale diocesano: «Non possono essere ammessi all'incarico di padrino di battesimo e di cresima coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo» e «coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici ed hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato».

Quasi dieci anni fa mons. Pennisi, quando era vescovo di Piazza Armerina (En), proibì i funerali solenni per il boss di Cosa Nostra Daniele Emmanuello (che vennero celebrati poi in forma privata presso la cappella del cimitero di Gela, per decisione del questore di Caltanissetta, per prevenire eventuali problemi di ordine pubblico, v. Adista Notizie n. 17/08). Ma allora si trattò di una iniziativa isolata ed estemporanea, benché importante. Nel 2013 invece mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, formalizzò in un decreto ufficiale, valido in tutta la diocesi, la proibizione di celebrare i funerali religiosi per i condannati per mafia (v. Adista Notizie n. 25/13).

Manca ancora un provvedimento complessivo che riguardi l’intera Sicilia, anche se pochissimi giorni fa, nella sessione primaverile della Conferenza episcopale siciliana (Nicosia, 16-18 marzo), i vescovi dell’isola, nel loro comunicato finale, hanno ribadito che «tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa».

Provvedimento che, invece, esiste in Calabria, dove la Conferenza episcopale regionale, nell’estate del 2015, ha approvato gli Orientamenti pastorali Per una Nuova Evangelizzazione della pietà popolare, un ampio testo che, pur valorizzando le espressioni della «pietà popolare», mette in guardia da possibili distorsioni antievangeliche della stessa e, per prevenire questi rischi, offre delle indicazioni precise a tutte le diocesi: no a mafiosi scelti come padrini e madrine di battesimo e cresima oppure come testimoni di nozze; sì ai funerali per gli ‘ndranghetisti, purché siano sobri e senza rilevanza pubblica; feste patronali e processioni religiose senza le cosche e senza “inchini” delle statue di fronte alle abitazioni dei boss (v. Adista Notizie n. 31/15). Un documento che potrebbe costituire un modello anche per altre regioni ecclesiastiche centro-meridionali. 

* Immagine tratta da Pixabay, Licenza e immagine originale

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