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 “Il lavoro  che vogliamo”

“Il lavoro che vogliamo”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 39 del 11/11/2017

L’apertura della 48esima Settimana sociale dei cattolici italiani, che ha iniziato i suoi lavori il 26 ottobre scorso a Cagliari e che ha come asse portante l’intrigante slogan, il “Lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale", pone le nostre comunità cristiane e direi ogni credente nella condizione di riflettere su un tema delicato e spinoso allo stesso tempo che tocca l’intera società italiana e in modo particolare i giovani. La comunità cristiana, di fronte alle sfide che oggi la variegata e complessa realtà legata al mondo del lavoro – fonte di forti disuguaglianze sociali e di ingiustizie – pone a getto continuo alla società del nostro Paese, non può rimanere in silenzio o tirarsi in disparte come se l’argomento non la sfiorasse minimamente. La tentazione è forte, vista anche la ormai quasi marginalità della presenza cristiana nel mondo del lavoro e il suo impatto mediatico. D’altra parte basta guardarsi indietro e constatare come la fede cristiana lungo i secoli abbia messo in evidenza l’etica del lavoro, il suo carattere ascetico di lotta alla pigrizia e di dominio di sé e la sua positività come servizio ai fratelli. Recentemente è sorta – in ambito di riflessione teologica – l’esigenza di un nuovo discorso sul lavoro: se, da una parte, si è superata una connotazione esclusivamente ascetica del lavoro, ponendolo in un più preciso rapporto con la novità cristiana, cioè con il Regno e con la redenzione; dall’altra si è andati al di là di una visione individualistica, attingendo a un quadro concettuale diverso, più attento a una visione integrale e solidale dell’uomo e dei suoi rapporti con il mondo. Ne è risultata una lettura nuova, più ampia del lavoro che fa riferimento ad alcune dimensioni fondamentali del messaggio evangelico.

Nella sua durezza il lavoro conosce avidità e competizione, prepotenza e tirannia sulle persone, individualismo e fallimenti. Logorante e pesante il lavoro, profondamente diverso per la creatività che richiede la nuova quarta rivoluzione industriale, esso ha urgente bisogno della novità cristiana, sopratutto ha bisogno di essere redento per apparire in tutta la sua grandezza ed acquistare così il senso pieno, veramente ed autenticamente umano. Come ricordava Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem exercens: «Il sudore e la fatica, che il lavoro necessariamente comporta nella condizione presente dell’umanità, offrono al cristiano e a ogni uomo, che è chiamato a seguire Cristo, la possibilità di partecipare nell’amore all’opera che il Cristo è venuto a compiere. Quest’opera di salvezza è avvenuta per mezzo della sofferenza e della morte in croce. Sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in questo modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità» (n. 27).

Giovanni Paolo II parlava di sudore e fatica, questi in larga parte sussistono ancora, ma sta avanzando il lavoro che fa uso di macchine e di strumenti digitali che tendono a ridurre fatica e sudore. Questo nuovo lavoro però potrebbe sottrarre posti di lavoro cosiddetti convenzionali e quindi la sfida è di come governare questo cambiamento epocale per non scartare nessuno e operare la giustizia in questo cambiamento molto rapido.

Il senso del lavoro, infatti, sta appunto nell’incarnare i valori di quel Regno che mette al centro i poveri e i piccoli, quindi, nella visione cristiana, sta nel diventare luogo di realizzazione dell’amore di Cristo; su questo e non solo sui criteri della produzione e del consumo si misura la dignità dell’essere umano che lavora e la qualità del lavorare. 

La concezione cristiana del lavoro ribadisce quindi la centralità della persona: il lavoro è opera di persone che vanno riconosciute come tali ed è finalizzato al servizio di persone che vanno promosse nella loro integralità. Saldare concretamente queste esigenze ideali con le dinamiche economiche che continuano velocemente a mutare è problema etico e per la comunità cristiana urgenza pastorale a cui non può sottrarsi senza venir meno al suo compito di lievito e di profezia.

Le Settimane sociali dei cattolici italiani – pensate come “riunioni di studio per far conoscere ai cattolici il vero messaggio sociale cristiano” – nacquero nel 1907 per iniziativa dell’economista e ora beato Giuseppe Toniolo. La prima si tenne a Pistoia e poi regolarmente ogni anno fino alla Prima guerra mondiale affrontando i temi del lavoro, della scuola, della famiglia e della condizione della donna. In epoca fascista, a causa dei contrasti con il regime, le Settimane furono sospese e ripresero solo nel 1945, proseguendo poi fino al 1970, quando vi fu una nuova lunga sospensione. Riprese e rinnovate nel 1991, le Settimane sociali si tengono ora a cadenza pluriennale.

Presentando l’iniziativa, l’arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, monsignor Filippo Santoro, ha sottolineato i quattro ambiti di proposte messe in cantiere a Cagliari: «Formazione e scuola-lavoro, digitale e nuovo lavoro, modelli di vita e tempi di lavoro, politiche del lavoro e Unione europea». 

Anche il dibattito è concentrato su quattro ambiti: la denuncia, le buone pratiche, l’ascolto e la proposta. L’obiettivo infatti era quello di sottolineare le storture e i problemi che attanagliano oggi il lavoro, ma anche valorizzare ciò che di buono cresce nei territori per iniziativa della società civile e delle imprese più sensibili e avanzate. 

L’ascolto degli esperti, delle associazioni e delle voci dei territori, ha consentito all’incontro di Cagliari di arrivare a formulare proposte concrete di cambiamento da sottoporre alla politica e alla società italiana. Se il cammino fatto in questi decenni può considerarsi esaltante, le sfide che attendono il mondo cattolico più sensibile alle novità incombenti non possono certo essere ignorate, prepararsi per le evenienze future è quindi un atteggiamento al quale come credenti non possiamo sottrarci. 

* Mario Bandera è consigliere ecclesiale ACLI, diocesi di Novara e membro della Commissione Giustizia e Pace

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