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Il frate radicale contro la Riforma

Il frate radicale contro la Riforma

 

Pubblichiamo volentieri questa bella recensione di Massimo Firpo si Thomas Müntzer.

Nato da un artigiano nella Germania centrale, non lontano da Lipsia, Thomas Müntzer fu ordinato  prete nel 1513. Uomo di notevole cultura (conosceva il latino, il greco e l’ebraico), capitò a  Wittenberg nel 1519, nel pieno ribollire della protesta di Lutero, che lo coinvolse in prima persona, ma dalla quale si allontanò in modo sempre più netto via via che la vide stringere quell’alleanza  tutta politica con i principi tedeschi che fu certo un elemento decisivo del diffondersi e consolidarsi della Riforma, ma al tempo stesso ne spense ogni istanza di rinnovamento sociale. La sua presa di  distanza da Lutero fu rapida e giunse ben presto a una netta rottura, in cui le iniziali formule  rispettose e finanche amicali, nonché la convinzione di far parte di un progetto comune di  rinnovamento cristiano avrebbero lasciato il posto all’ostilità, al conflitto, all’insulto: al «frate porco da ingrasso», al «dottor mendace» di Müntzer contro Lutero e al «profeta Thomas» e al «Satana di Allstedt» di Lutero contro Müntzer.

In realtà, come questa edizione e la sua breve introduzione fanno capire assai bene, lontanissimi tra loro erano i presupposti religiosi e teologici della fede di Lutero rispetto a quella di Müntzer: l’una tutta fondata sulla parola di Dio consegnata ai testi della Rivelazione, su uno scritturalismo Xbiblico (sola Scriptur) che non teme di approdare al paradosso della predestinazione; l’altra invece sulla  voce di Dio che risuona nel cuore degli eletti, facendo conoscere ad essi interiormente la verità,  senza mediazione alcuna. A nutrire la fede di Müntzer, infatti, era quello spiritualismo radicale che, pur coniugato in varie forme, conobbe numerose altre voci nella grande crisi religiosa  cinquecentesca, e che nel suo caso si connotò con il principio che solo la sofferenza – in quanto  testimonianza di assoluta fede cristiana – offre la garanzia di verità di quella rivelazione interiore  dello spirito e definisce quindi la Chiesa degli eletti, pronta a stringere un nuovo patto con Dio.

Per questo il suo spiritualismo e la sua mistica della sofferenza non tardarono ad assumere connotazioni  eversive, nutrite di quel profondo bisogno di giustizia che fin dall’ingresso nella vita clericale gli  aveva imposto di vivere la sua fede accanto agli umili, ai poveri, a quell’universo contadino che  nella Germania di inizio secolo veniva gettato nella miseria dalla crisi economica e dal continuo  accentuarsi dello sfruttamento feudale della nobiltà e dai privilegi dei patriziati urbani.

Di qui il rapido evolvere dell’impegno religioso di Müntzer verso posizioni religiose e politiche  sempre più radicali, fino ad assumere la leadership di un’imponente rivolta contadina che tra il 1524 e il 1525 infuriò in vaste zone della Germania, nel solco di quella che è stata definita la «rivoluzione dell’uomo comune». Una rivolta interpretata dalla storiografia marxista, a partire da un celebre  saggio di Friedrich Engels del 1850 fino al crollo dell’Urss, come una vera e propria rivoluzione  proletaria contro una presunta rivoluzione “borghese” avviata e poi tradita da Lutero. Un’immagine falsificante di Müntzer, approdata anche a recenti successi letterari, come dimostra Martinuzzi, che sulla base di una rigorosa analisi delle fonti («unico antidoto a letture parziali o ideologiche») la  libera dai vecchi panni del «teologo della rivoluzione» o ancor peggio del «fanatico  dell’Apocalisse», per riproporne invece il carattere concorrenziale e alternativo rispetto a quella di Lutero, quando la Riforma era ancora in una fase incoativa, aperta a soluzioni molteplici, e tutt’altro che univoche le voci di quanti la promuovevano e diversi gli esiti cui aspiravano.

Il dibattito resta  aperto, ma gli studi di Martinuzzi, a cominciare dall’eccellente traduzione di testi molto difficili,  scritti in un tedesco ostico e immaginifico, offrono un contributo prezioso e impediscono di ridurre Müntzer a un ribelle apocalittico, a un rivoluzionario ante litteram, per riproporre invece la sua  evoluzione religiosa, morale, politica nel tumultuoso contesto storico in cui ebbe in sorte di vivere. Trasferitosi a Zwickau nel ’20 con tanto di benevola lettera di presentazione di Lutero, qui si legò  ad altri teologi radicali, animati da prospettive apocalittiche, per passare poi poco dopo a Praga, dove pubblicò nel ’21 una  Dichiarazione riguardante la causa boema (spesso presentato con il titolo di Manifesto di Praga) in cui si scagliava con violenza contro coloro che gettavano «al popolo la Scrittura così come si usa gettare il pane ai cani», dimentichi che solo agli eletti, a coloro che  sono stati pervasi «almeno sette volte dallo spirito santo» è dato «comprendere il Dio vivente». Ma fu soprattutto nella cittadina di Allstedt, dove fu nominato parroco, che in pieno accordo con la comunità e i suoi magistrati Müntzer promosse una riforma liturgica coerente con il suo  spiritualismo radicale e capace di ottenere un diffuso consenso popolare anche nei paesi circonvicini, dai quali la sua predicazione attirava un crescente numero di fedeli. La tensione  scaturita da alcune intemperanze iconoclaste dei suoi seguaci in un vicino santuario mariano  finirono tuttavia con l’indebolire l’appoggio del ceto dirigente di Allstedt e accentuare sospetti e  ostilità da parte degli stessi duchi di Sassonia. Convocato al loro cospetto per rispondere delle  accuse di cui era fatto segno, Müntzer pronunciò un celebre discorso sul secondo capitolo di  Daniele, la cosiddetta  Predica ai principi, in cui polemizzava duramente contro le «chiacchiere» di Lutero e osava affermare che la spada del potere «è necessaria per eliminare gli empi», ma che se non viene usata a questo fine «verrà tolta» brutalmente dalle mani dei potenti, perché Dio ordina di uccidere i «governanti empi».

Legatosi ad alcuni leader dell’anabattismo tedesco, Müntzer non tardò a scorgere nella rivolta  contadina il braccio armato di Dio contro gli abusi della Chiesa e l’iniqua prepotenza dei principi,  diventando in pochi mesi nel 1524 la guida di un vasto e disarticolato mondo popolare – contadini,  operai, artigiani –, che si era illuso di trovare nella Riforma protestante un messaggio di  rinnovamento cristiano capace di interpretare anche i loro bisogni di giustizia e le loro speranze di un futuro migliore. «Es ist Zeit», annunciava Müntzer, «è giunto il tempo», «Dio ha affilato la sua falce», mentre Lutero indirizzava ai principi tedeschi il suo virulento Contro le bande empie e  scellerate dei contadini, in cui li esortava a stroncare nel sangue quella rivolta. Il che avvenne nella terribile «battaglia del Signore» di Frankenhausen del 15 maggio 1525, un vero e proprio massacro, nella quale migliaia di contadini furono fatti a pezzi e lo stesso Müntzer venne catturato per essere di lì a poco orrendamente torturato e ucciso.

Thomas Müntzer,  Scritti, lettere e frammenti, a cura di Christopher Martinuzzi, Claudiana, Torino, pagg. 354, € 24

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 14 gennaio 2018

* foto di Luciano, tratta da Flickr

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