Nessun articolo nel carrello

Legge sul fine vita: osservarla subito, senza se e senza ma

Legge sul fine vita: osservarla subito, senza se e senza ma

Legge sul fine vita: bisogna osservarla subito senza “se” e senza “ma”. No a un’altra campagna in nome dei vecchi e non cattolici “valori non negoziabili”.

Fine vita, un approccio prudente

Che il “fine vita” coinvolga credenze, sentimenti e relazioni tra le più dense e sofferte dell’esistenza è fatto ben presente a tutti così come è consapevolezza comune che una legge che di esso si occupi deve accostarsi ad esso con prudenza, senso del limite e rispetto nei confronti di tutti i soggetti coinvolti (pazienti, famigliari e personale sanitario). I valori in gioco sono i più importanti, le ideologie possono essere forzature, le situazioni sono spesso uniche, difficili da capire e da affrontare. “Noi Siamo Chiesa” ha scritto molto su questa questione ( i testi si trovano sul sito www.noisiamochiesa.org, cliccando sul motore di ricerca interno) e sempre con questa ottica prudente (1). Ma ora una legge era veramente necessaria perché il periodo terminale della vita non fosse sottomesso ad abitudini o a rapporti di potere, magari gestiti in buona fede, penalizzanti il paziente che è sempre il soggetto più debole, sprovveduto ed indifeso in questo momento estremo. La nuova legge, anche se con troppo ritardo, ha stabilito dei binari affermando in sostanza due cose: il diritto/libertà del malato di essere, in alleanza col personale sanitario e i famigliari, il primo protagonista della sua malattia e poi un aiuto giusto e ragionevole, anche compassionevole, alle sue sofferenze. Per la medicina e la cultura tradizionali il malato non era protagonista: le sue preferenze, il suo giudizio sulla qualità della sua vita e sul contesto sociale, inteso come religione e famiglia in cui era inserito, erano considerate in secondo piano o assolutamente ignorate, così come pure era ignorato il rapporto con la società.

Papa Francesco…

Perché la legge passasse è stato necessario un iter parlamentare lunghissimo e, al fine, l’Appello dei quattro senatori a vita, poi quello, emozionante, di Michele Gesualdi. E ha contato la consapevolezza che si trattava di questione che aveva consenso nell’opinione pubblica. Essa è stata votata, in modo trasversale, sia dalla Camera che dal Senato a larga maggioranza. Durante l’ultimo difficile iter abbiamo letto parole del papa dalla valenza universale ma che sembrano dirette, sicuramente in modo non intenzionale, alla situazione italiana . Papa Francesco ha scritto il 16 novembre alla WMA (World Medical Association) della necessità di soluzioni condivise sul fine vita tenendo “conto della diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto e accoglienza” “per trovare soluzioni-anche normative- il più possibile condivise” . Ricordiamo queste parole del papa (che riteniamo laiche e democratiche) per metterle a confronto sia con la ben nota, tenace e chiassosa mobilitazione contro la legge che c’è stata da parte di una pattuglia di parlamentari “cattolici” collocata sulla destra dello schieramento politico sia con posizioni cattoliche ufficiali e molto influenti, prima e dopo il varo della legge. Sullo sfondo della contestazione c’è sempre stata la convinzione che la legge possa aprire ad una deriva di tipo eutanasico.

e il sistema ecclesiastico italiano

Ha iniziato l’arcivescovo di Trieste mons. Crepaldi con parole disdicevoli, poi quello di Torino Mons. Nosiglia, i responsabili del Cottolengo ed altri vescovi tra i quali Mons. Ricchiuti, presidente di Pax Christi, il Card. Bagnasco (“la legge non è una scelta di civiltà”) e il presidente della CEI Card. Bassetti che ha auspicato la possibilità dell’obiezione di coscienza nei confronti della legge anche da parte delle strutture sanitarie legate alla Chiesa. Don Angelelli, direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute della CEI, ha dichiarato: “Come cattolici non possiamo riconoscerci in questo testo”(2) . La legge è stata anche oggetto di un intervento critico del Card. Parolin. Sono le strutture sanitarie cattoliche quelle che sono sul piede di guerra. Appena dopo la sua approvazione sei organizzazioni nazionali rappresentative dei medici cattolici e di queste strutture hanno chiesto al Presidente Mattarella di non promulgare la legge perché esse in assenza di una norma sull’obiezione di coscienza che permettesse loro di non applicarla, si sarebbero viste revocare le convenzioni con il servizio sanitario (3). Sul piede di guerra da sempre è stato l’Avvenire e il suo direttore Tarquinio (4). Il quotidiano della CEI è stato ed è portavoce di ogni voce critica passando, con una serie interminabile di interventi, dal sospetto nei confronti di una legge che sarebbe, aldilà delle parole, di fatto eutanasica fino alla denuncia di un testo confuso ed oscuro che sarebbe solo passibile di interpretazioni difficili (apertura di prima pagina del 31 gennaio “Sul biotestamento 10 nodi da sciogliere”).

La ministra e quanti invece accettano la legge

Ciò premesso, appare ci evidente che l’approvazione della legge non è che un primo passo. Per le sue caratteristiche intrinseche di non essere applicabile con gli interventi normali di tipo burocratico che fanno seguito di solito alle leggi, essa sarà efficace anzittutto se non sarà boicottata (fatto a cui sembrano preludere la prese di posizione delle citate autorità ecclesiastiche) e poi, e soprattutto, se “entrerà” nella formazione di tutto il personale sanitario con gli strumenti necessari (nelle facoltà di medicina, nelle scuole per infermieri ecc…) e diventerà cultura diffusa nella società e quindi anche tra tutti i soggetti direttamente coinvolti, malati e famigliari. Dopo un primo passo è necessario il secondo, altrettanto decisivo del primo e, in ordine a ciò, le preoccupazioni sono molte per le resistenze già in atto dal giorno dopo il voto definitivo del Senato il 14 dicembre. Ha iniziato la stessa ministra della Sanità Lorenzin che si è dimostrata subito molto sensibile alle proteste e ha detto di voler “dialogare con le strutture sanitarie cattoliche per condividere con loro opportune modalità applicative della legge”. Cosa ciò possa significare non si sa ma la ministra ha lanciato un messaggio nella direzione attesa dai critici della legge. Ma non si potrà certamente innovare o interpretare per decreto nel senso richiesto dai contestatori. Tutto ciò sta ad indicare comunque un terreno di possibile aspro contenzioso nell’applicazione della legge, mediante disposizioni di carattere amministrativo. I primi pronunciamenti di questa campagna elettorale non fanno presagire nulla di buono. Il PD nel suo programma cita la legge di passaggio ma nulla dice della sua applicazione ( forse non la considera un problema), LeU e i 5stelle non ne parlano mentre Berlusconi si è pronunciato esplicitamente per modificare le legge (5). La legge è quindi sotto attacco e i rischi che essa si impantani sono reali o che comunque nascano lunghi e combattuti contenziosi. Di qui l’importanza della linea che prevarrà nel mondo cattolico.

I cattolici favorevoli

La situazione tuttavia è aperta e in controtendenza c’è l’importante posizione di appoggio alla legge da parte dei gesuiti di “Aggiornamenti sociali”(6) e un diffuso sentire non ostile tra i medici cattolici di base; inoltre la Federazione dell’Ordine dei medici (FNOMCeO) giudica la legge “condivisibile, nella misura in cui vi si ritrovano principi che derivano dal nostro stesso Codice deontologico e rispecchiano abbastanza l’orientamento dei medici”. Ha poi spiazzato il fronte oltranzista i ripetuti e autorevoli interventi di Francesco D’Agostino, Presidente dell’Unione Giuristi Cattolici, che pur partendo da posizioni molto prudenti, ha alla fine affermato che la legge non permette alcuna deriva eutanasica, che essa “non va né esaltata, né a maggior ragione criminalizzata. Va riconosciuta per quello che è e che doveva essere: un necessario passo in avanti per adeguare la giustizia in sanità alla realtà” (“Il sole24ore “del 15 dicembre) (7)

Il Consiglio Episcopale permanente

In questa situazione calda, alla vigilia dell’entrata in vigore della legge il 31 gennaio, c’era molta attesa per il pronunciamento del Consiglio Episcopale Permanente della CEI di fine gennaio. Il Presidente Card. Bassetti ha introdotto in modo moderato (“ci preoccupa la salvaguardia della speciale relazione tra paziente e medico, la giusta proporzionalità delle cure – che non deve mai dar luogo alla cultura dello scarto –, la possibilità di salvaguardare l’obiezione di coscienza del singolo medico e di evitare il rischio di «aziendalismo» per gli ospedali cattolici”), ignorando il problema delle strutture sanitarie e della loro possibile obiezione alla legge. Poi il Consiglio ne ha parlato in una specifica comunicazione ma nel documento conclusivo del 24 gennaio sulle strutture non vi è alcun cenno. Si dice però che i vescovi hanno “giudicata ideologica e controversa la legge specie nel suo definire come terapia sanitaria l’idratazione e la nutrizione artificiale e nel non prevedere la possibilità di obiezione di coscienza da parte del medico”. Stante le forti pressioni in atto per una presa di posizione ufficiale e impegnativa sulla questione delle strutture sanitarie è da ritenere che ci sia stata una discussione non conclusiva o che i contrasti abbiano fatto accantonare la questione. Non è cosa da poco. Supponiamo che la spaccatura nel mondo cattolico sia arrivata fino ai vescovi. In seguito, nella conferenza stampa per presentare le conclusioni del Consiglio permanente, Mons. Galantino “ha invocato un intervento da parte dell’Ordine dei medici”; per dire o per fare che cosa? Non si capisce se questa sia una formalizzata posizione collettiva dei vescovi (sarebbe grave) oppure una semplice uscita estemporanea del frequentemente intemperante segretario della CEI.

Una legge ideologica?

Il giudicare in modo sbrigativo la legge come “ideologica” ci sembra cosa perlomeno curiosa se si tiene conto di quante siano le attenzioni che essa ha per il paziente nel suo rapporto coi famigliari e col personale sanitario. Una lettura attenta permette a chiunque di rendersene conto. A noi sembra che questo giudizio nasconda una precomprensione che si ha del fine vita (e dello stesso ruolo del medico), ancora fondata su una concezione patriarcale-autoritaria del rapporto col paziente che è già (o che dovrebbe essere già) superata dai fatti. La legge non è ideologica ma pragmatico-possibilista cercando di dare ruoli appropriati ai vari soggetti coinvolti, recependo molte delle prassi già in vigore ed essendo consapevole che è il discernimento delle situazioni specifiche ciò che conta. A noi invece sembra ideologica la pretesa vecchia onnipotenza del tradizionale personale sanitario che vive l’autodeteminazione del malato con sufficienza, se non con ostilità.

L’obiezione da parte del medico potrebbe essere introdotta

Altra questione è quella dell’obiezione di coscienza da parte del singolo medico. Pretendere che essa fosse regolamentata, come nella 194, era veramente troppo. E’ stata però introdotta una norma che surrettiziamente la accetta. E’ quella del comma 6 dell’art. 1, dove si dice che “il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari alle norme di legge (cioè eutanasia), alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico assistenziali”. Concretamente, quando ricorrano queste fattispeci il medico si può tirare indietro. Non riteniamo rilevanti le prime due ipotesi (eutanasia e deontologia) perché abbastanza chiare ma ci sembra molto preoccupante il terzo caso, quello delle “buone pratiche” la cui opportunità è lasciata alla libera determinazione del sanitario. Non vorremmo che questo punto, introdotto in extremis nella discussione alla Camera, porti in futuro, come conseguenza di un’apposita campagna, alla diffusione di obiezioni ex comma 6 che creino situazioni generalizzate che indeboliscano molto l’applicazione della legge. Ma perché la professionalità del medico cattolico non dovrebbe essere esaltata da una rispettosa e amorevole partecipazione alla volontà del malato di cui cerca di capire, aiutandolo, anche tutte le storie e le dimensioni esistenziali?

Idratazione e nutrizione artificiale

Resta l’ altro cavallo di battaglia di chi non accetta la legge, quello della nutrizione e della idratazione artificiali considerate non come interventi di tipo terapeutico ma come “sostegno vitale” e quindi non rifiutabili dal paziente. E’ un mantra che viene continuamente ripetuto. Ma perché non voler prendere atto, con una testardaggine degna di miglior causa, che la scienza medica afferma in modo costante che si tratta di terapie e che debbano di conseguenza essere considerate trattamenti da sottoporre alla normativa generale ? (8) La linea del sostegno vitale, che non può essere negato, è quello che è stato alla base della fanatica campagna per “salvare” Eluana. Si doveva continuare ad alimentare per sempre un corpo morto! Non possiamo dimenticare che nessuna delle autorità della Chiesa ha mai fatto autocritica su quella vicenda e ora sospettiamo che ci si rammarichi, in modo non esplicito, di non essere riusciti a prendersi una assurda rivincita ottenendo la bocciatura di quanto dice la legge al comma 5 in proposito sull’idratazione e la nutrizione artificiali. Dopo Englaro e Welby altri sono i casi recenti in cui la “linea della vita” fa battaglie che potrebbe evitare usando solo un po’ di buonsenso ed un approccio non ideologico al fine-vita (9).

La legge 219 è già in vigore e deve essere applicata subito

La 219 (questo è il numero che la legge ha avuto sulla Gazzetta Ufficiale) ha concluso, in modo quasi miracoloso, una vicenda parlamentare iniziata dodici anni fa. Essa è stata ostacolata in tutti i modi da una minoranza, anche e soprattutto cattolica, che avrebbe dovuto avere più senso della laicità dello Stato, più rispetto del vissuto del malato e più considerazione per gli aspetti di altruismo e di dedizione insiti nelle professioni sanitarie. Ci sembra una legge complessivamente positiva, coerente con la Costituzione e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Essa non si occupa solo del consenso informato e della DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) ma anche della terapia del dolore rifacendosi alla legge ad hoc n.38, della sedazione palliativa profonda, dei minori e degli incapaci e infine della pianificazione condivisa delle cure tra il medico e il paziente. Si dà in questa modo stabilità e certezza a pratiche cliniche e a situazioni limite che esigevano delle indicazioni di base ben definite per tutti quelli che operano quotidianamente nel vissuto dei momenti estremi e, spesso, molto difficile del fine vita. Essa deve essere applicata da subito senza riserve o retro pensieri che inducano a decreti o a regolamenti che tentino di imbrigliarne la chiarezza e l’immediata esecutività. Non si tratta di una legge cosidetta di programma, si tratta di norme che devono essere in vigore da subito, dal 31 gennaio. Rimane un unico punto da regolamentare ed è relativo alla necessaria raccolta e relativa accessibilità delle DAT (sono stati stanziati due milioni nella legge di bilancio per organizzare, appena possibile, questo importante aspetto) . Tutto il sistema sanitario si deve fare carico da subito di organizzare la conoscenza della legge, la formazione del personale e le prassi per dare ad essa esecuzione.

Michele Gesualdi o i “valori non negoziabili”?

Pensiamo che gli operatori sanitari cattolici o comunque di sensibilità prossima dovrebbero assimilare la legge in tutti i suoi aspetti umanistici e valorizzarla soprattutto per quanto riguarda l’accompagnamento dei malati, l’attenzione alle loro sofferenze e alla dimensione spirituale del momento del passaggio. La tanto declamata alleanza terapeutica non può limitarsi a informare bene il paziente ma richiede che quest'informazione scorra in due direzioni, diventi, cioè, reciproca. Occorre, quindi, saper ascoltare le richieste e le aspettative che il paziente, talvolta in modo inespresso fa al proprio curante e porre attenzione a tutti quei messaggi che vengono trasmessi attraverso la comunicazione anche non verbale. E’ necessaria poi la continuità del rapporto medico-paziente. L’organizzazione dei nostri servizi sanitari, in linea generale, non garantisce ciò. La continuità dovrebbe essere una vera preoccupazione di tutta la politica sanitaria. Pensiamo che i vescovi italiani non debbano continuare a intervenire con i giudizi facili e poco riflessivi delle ultime settimane. I vescovi pensino a rispettare la laicità della nostra Repubblica. Le voci diverse dalla vulgata sul fine vita, a cui molti di loro credono ancora, sono tante, siano ascoltate. Ci sono tanti Michele Gesualdi nel tessuto del nostro mondo cattolico. Le tante strutture sanitarie che fanno capo, in modi diversi, alla Chiesa abbandonino o non inizino interventi che prefigurino la non accettazione, totale o parziale, della legge. Invece di minacciare obiezioni leggano il comma 9 dell’art.1 dove si dice che “ogni struttura pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale”. Si facciano incontri per capire meglio, guardare in avanti, si prendano in considerazione i danni enormi che deriverebbero alla credibilità della nostra Chiesa se partisse un’altra campagna falsamente “identitaria” su queste tematiche. Non si faccia finta di ignorare l’intervento di papa Francesco di novembre che va in direzione opposta di quanto sta avvenendo e che scavalca il problema delle norme per arrivare alle questioni di fondo.

Papa Francesco

L’ottica pastorale del papa è quella di prendere atto della difficoltà di capire e di decidere in molte situazioni estreme proponendo l’attenzione alla situazione concreta del paziente, considerandone il bene integrale. Egli dice “Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita – e del morire stesso, che è pur sempre un momento estremo del vivere – deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano.” “Non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale” e via di questo passo. Si tratta di capire che l’amore per la vita deve anche significare l’umanizzazione del fine vita. Di qui il suo ragionamento sulla “prossimità responsabile” nei confronti del malato, sulle cure palliative, contro “il morire più angoscioso e sofferto, ossia quello del dolore e della solitudine”. Francesco parla di una visione serena della morte, umana e cristiana.

Noi Siamo Chiesa

Roma, 6 febbraio 2018

 

Note

(1) I punti di vista sull’approccio al fine vita sono sintetizzati all’inizio del testo di NSC del 21 ottobre scorso (www.noisiamochiesa.org) di cui, per comodità del lettore, riprendiamo questo passaggio: “è difficile per la legge intervenire sul fine vita stante l’intreccio tra coscienza del malato, presenza dei famigliari e del personale sanitario e condizioni concrete dell’assistenza. L’attuale cd “area grigia” è quella dove si discute, ci si angoscia e alla fine si decide. Essa è difficile da definire, è mutevole da caso a caso, e sicuramente non scomparirà anche in presenza di buone leggi. La norma deve essere consapevole dei suoi limiti. Si è parlato giustamente di “diritto mite” o “gentile” che deve limitarsi a stabilire dei paletti e a indicare dei percorsi. Ma la norma ci pare necessaria per affermare diritti e obblighi nella situazione troppo indeterminata di adesso. I medici devono avere alle spalle norme che li tutelino se rispettano la volontà del malato e che li sollecitino a farlo. In ogni modo siamo convinti che, nel campo del fine vita, prima delle leggi siano necessarie culture ed etiche che le preparino e le informino e che percorsi ed esperienze di spiritualità (laica o religiosa) abbiano un ruolo molto importante”

(2) Angelelli così continua “Nel momento in cui un paziente venisse ricoverato in un ospedale cattolico e presentasse delle DAT volte a porre termine alla propria vita o lesive dell’integrità della persona esse non verranno eseguite” (su “L’Avvenire” del 15 dicembre). Angelelli ha una strana idea delle DAT e parla prefigurando comportamenti obbligati, manco fosse il papa.

(3) I responsabili di questo Appello hanno scritto: “ La perdita dell’accreditamento avrebbe come effetto di impedire tout court l’operativita? di realta? come la Fondazione Policlinico A.Gemelli, l’Ospedale pediatrico Bambin Gesu?, l’Ospedale Fatebenefratelli, l’Ospedale Cristo Re, il Campus Bio-Medico, l’Associazione la Nostra famiglia, la Fondazione Poliambulanza, la Fondazione Maugeri, la Casa di Sollievo della Sofferenza di S. Giovanni Rotondo, e le altre 100 strutture analoghe esistenti sul territorio nazionale”. Di una linea del tutto opposta sono gli ospedali evangelici in Italia che “non fanno obiezioni, anzi guardano a tale nuova normativa come ad un segno tangibile di una cultura che valorizza la maggiore responsabilità nel rapporto tra medico e paziente e garantisce ulteriormente il rispetto dei diritti dei malati”.

(4) Nel suo editoriale del 15 dicembre Tarquinio scrive di “incredibile e deresponsabilizzante esautoramento dei medici e di impostazione dirigista verso le strutture sanitarie pubbliche e private” e “della gravità del colpo che, con leggerezza infelice, viene assestato al bene essenziale dell’alleanza terapeutica tra il paziente e i medici”.

(5) In una intervista a “Libero” del 2 febbraio Berlusconi ha detto ” Sono leggi sbagliate (quella sulle unioni civili e sul testamento biologico), alle quali ci siamo opposti con chiarezza, pur rispettando la libertà di coscienza dei nostri parlamentari su temi etici così complessi e delicati. Non abbiamo cambiato idea, quindi è naturale che nella prossima legislatura, se come credo avremo la maggioranza, le modificheremo. ….. Sul tema del testamento biologico, credo si dovrà riportare al centro il rapporto fiduciario medico-paziente, o medico-familiari del paziente, se questi non è in grado di prendere decisioni.”

(6) Si legga il testo del Gruppo di studio sulla bioetica (fascicolo di settembre-ottobre) e, nella stessa direzione l’articolo di Carlo Casalone sul fascicolo di febbraio 2018.

(7) D’Agostino, di fronte alle barricate del fronte avverso, pur avendo nostalgia della “erosione della dimensione personalista della medicina” prende atto delle mediazioni faticose ma positive (i commi 2,5,6,7 e 10 dell’art.1), tutte finalizzate alla attenzione e alla preoccupazione nei confronti del malato. In conclusione-dice D’Agostino- i cattolici curino di più la dimensione spirituale e formativa di tutti gli aspetti del fine vita e ritengano “insindacabile (ma non sacra!) la volontà del paziente nel paradigma post-ippocratico” (“Avvenire” del 16 gennaio, il quotidiano non può negargli di scrivere!).

(8) La posizione ufficiale delle società scientifiche viene bene espressa da Olle  Ljungqvist (Presidente della ESPEN, European Society for Clinical Nutrition) e da Maurizio  Muscaritoli (Presidente della SINuC, Società Italiana di Nutrizione Clinica e metabolismo) è la seguente:  “La nutrizione   artificiale è terapia medica a tutti gli effetti: utilizza nutrienti (e non alimenti) che sono preparati con procedure farmaceutiche e vengono somministrati per via artificiale – entrale o parenterale- cioè senza ricorrere al normale processo di deglutizione. La nutrizione artificiale richiede, per essere praticata, il consenso informato del paziente (o suo delegato, se incosciente), la collaborazione del farmacista, il regolare controllo e monitoraggio del medico specialista. La decisione di accettare o rifiutare una terapia resta un diritto dell’individuo da esercitare direttamente o attraverso un suo delegato, se incosciente”.

(9) Il noto caso Charlie Gard ha visto il quotidiano cattolico in prima file su posizioni esagitate salvo poi non poter fare a meno di pubblicare un intervento di D’Agostino (14 agosto) in cui si dice:” sono orientato a pensare che il povero Charlie fosse sottoposto da mesi e mesi a un ingiustificabile accanimento terapeutico”. E in questi giorni ha caratteristiche analoghe il caso di Inès, la ragazzina francese la cui vicenda è arrivata fino alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha confermato le decisioni precedenti della giustizia francese.

* Fotografia di Archangel12, tratta da Flickr, immagine originale e licenza. L'immagine originale è stata tagliata.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.