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 Zingari: non ruspe ma solidarietà ed educazione.

Zingari: non ruspe ma solidarietà ed educazione.

Significativa presa di posizione, sul tema dei Rom e del "censimento" che il governo vorrebbe attuare nei loro confronti, del settimanale della diocesi di Vittorio Veneto (TV) L’Azione. L'articolo, pubblicato sul n. 28, dell’8 luglio 2018, è di don Mirko Dalla Torre, collaboratore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Vittorio Veneto. Lo riproduziamo qui di seguito

 

 

 

Una delle “priorità” del nuovo governo è il censimento dei Rom in Italia, anche se il Ministro dell’Interno lo definisce un “monitoraggio” per rilevare la situazione di questa antica etnia di donne e uomini, cittadini italiani che condividono la nostra quotidianità con il loro stile di vita. Infatti tra loro c’è chi vive di manghel, ossia carità, accattonaggio, chiromanzia, ma c’è anche chi è insegnante universitario.

Censirli è già stato un obiettivo di governi passati, come nel 2008 quando l’esecutivo in carica tentò l’ardua impresa, rilevatasi poi fallimentare.

Dal mio punto di vista, non ci siano problemi di ordine pubblico tali da giustificare la necessità di censire il popolo Rom. Allora per quale scopo censirli, se non quello di riservare loro speciali misure di sicurezza, alimentando così ulteriormente quei pregiudizi, che nel corso della storia non si sono mai sopiti? Nel passato contro gli zingari furono attuate molte iniziative persecutorie, perfino l’olocausto; si pensi ad esempio, ai decreti emessi dalla Serenissima tra il ‘500 e il ‘600 dove un provvedimento citava: “…chi consegnerà uno zingaro alla giustizia riceverà in premio 10 ducati, sia esso vivo o morto”.

Il nostro tempo, per fortuna, non registra più violente persecuzioni contro il popolo Rom. Assistiamo invece a quotidiani episodi di puro razzismo, che solo loro possono raccontare. Noi stanziali, noi gagi come loro ci chiamano, puntiamo il dito su di loro accusandoli di essere ladri, scippatori, rapitori di bambini. Perché questa paura? La risposta la troviamo nell’educazione che abbiamo ricevuto: quella di fare attenzione a chi è diverso da noi, emarginandolo e rifiutandolo per sola paura. Da qui nasce il razzismo verso gli zingari. Li abbiamo sempre isolati, ci siamo rifiutati di conoscere la loro cultura, perché considerati diversi e perciò da tenere distanti.

Non saranno le ruspe a risolvere il problema degli zingari; sarà invece un’adeguata attenzione affinché nei campi Rom ci siano le condizioni elementari di vita, perché coloro che hanno scelto di vivere in questi luoghi non siano ghettizzati, ma accolti ed educati alla vita sociale. Attrezzare i campi Rom con i minimi servizi igienici, uno spazio per le carovane, l’assistenza di mediatori culturali, non sarà questo un modo più umano di monitorare la loro presenza? Una politica sociale è tale se fondata sulla solidarietà e sulla tolleranza, che non guarda solamente al denaro da spendere, ma al bene comune.

Terminando, ripropongo un detto da me già  citato in passato a proposito degli zingari: “Quando un cane non mi conosce, mi abbaia e io ne ho paura. La stessa cosa avviene per gli uomini e le donne appartenenti ad una cultura che non conosciamo: “abbaiamo” e di essi abbiamo paura!”. Fermarci a questo, però, ci aiuterà certo a conoscerci reciprocamente e a camminare insieme.

 

 

 

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