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L'antisemitismo che risorge. Indignato commento-testimonianza di Nino Lisi

L'antisemitismo che risorge. Indignato commento-testimonianza di Nino Lisi

«Il nostro Governo ha eliminato la modesta pensione assegnata sin dal 1955 a coloro (in maggioranza ebrei) che avevano subito persecuzioni fasciste»: parte da questa notizia dell'iniziativa del governo gialloverde l'indignato e toccante commento di Nino Lisi apparso su "Articolo 21" il 29 ottobre, che riproduciamo qui di seguito 

«Per favore, se vi è un superlativo più forte di indecentissimo suggeritemelo: mi serve per qualificare il provvedimento con il quale – ahimè – il nostro Governo ha eliminato la modesta pensione assegnata sin dal 1955 a coloro (in maggioranza ebrei) che avevano subito persecuzioni fasciste. Era un piccolo, modesto segno del doverosissimo riconoscimento da parte dello Stato di aver compiuto un orrendo crimine ai danni di propri cittadini, in nome di un’aberrante ideologia razzista. Ed è stato eliminato proprio in un periodo in cui razzismo ed antisemitismo rigurgitano da più parti; è stato eliminato nell’ambito della spending review come se si trattasse di uno spreco!

Incredibile! Per favore, se esiste un superlativo più forte di squallidissimo suggeritemelo: mi serve per qualificare chi è stato capace di un’idea così meschina e chi le ha dato seguito non trovando in se stesso la forza di rifiutarsi di redigere quel provvedimento inqualificabile.

Ma chi sono costoro? Hanno idea di cosa sono state le leggi razziali? Evidentemente no. Ma non hanno scusanti; mai come in questo caso l’ignoranza non è ammissibile, non può essere una giustificazione. Si informino, si documentino da chi c’era.

Io c’ero. Io ho sentito che ai bambini ebrei della mia stessa età era proibito andare a scuola. Sei ebreo? Non hai diritto di imparare a leggere, scrivere e far di conto. Io l’ho vista – e mi si è impressa nella memoria – una bambina ebra, calzini bianchi nelle scarpette di vernice nera e una gonna a campana, attraversare il cortile del palazzo al n. 33 di Piazza della Borsa a Napoli, in cui abitavo. Con una cartella nella mano destra si recava a lezione privata da Ivonne, una giovane ebrea con la licenza magistrale, amica di mia madre, che le faceva scuola. Dalla mia finestra al terzo piano non ne vedevo l’espressione del volto, ma l’incedere lento e la rigidità del corpo, il capo fermo rivolto sempre e solo davanti manifestavano tristezza e paura. Era tutto il suo corpo a denunciare questi sentimenti.

Io li ho visti tanti negozi sostituire le insegne che recavano un nome ebreo. Sei ebreo? Ti devi nascondere! Sei ebreo? Non puoi fare l’avvocato, né il medico, né l’ingegnere. Fin quando non è arrivato il momento in cui si è detto: “Sei ebreo? Non hai diritto di vivere”. E ne sono stati e state uccisi e uccise sei milioni. Tra di essi 9 persone di 11 che io conoscevo perché amiche di mia nonna, di mia zia, di mia madre e di mio padre. Nella loro casa ho passato a giocare la gran parte delle mattinate della mia infanzia, poiché abitavano al primo piano nella mia stessa scala; una si chiamava Iole (ma per me era “mamma giù”) un’altra si chiamava Amedeo (ma per me era “babbo giù”), una Ivonne (ma per me è stata Tatita per tutta la vita), un’altra Elda (per me Ndindina) e poi Aldo, Sergio, Milena, Loris, Renato e i due ultimi nati di cui non ricordo il nome, che forse non ho mai conosciuto.

Il 4 dicembre del 1942, il giorno dopo il primo bombardamento “a tappeto” delle fortezze volanti statunitensi a Napoli, scappammo insieme con lo stesso tram per andare a prendere la Circumvesuviana e “sfollare” nei paesi ai piedi del Vesuvio. Ma le bombe ci raggiunsero anche lì. Allora i nostri anici ebrei pensarono di trasferirsi in Toscana (madre e padre erano fiorentini) e fu la loro rovina. In una retata delle truppe tedesche furono catturati tutti, tranne Ivonne, Renato e Sergio. Sergio chiese ad un amico “ariano” di portare ai congiunti in carcere un cambio di biancheria. I soldati tedeschi capirono che qualche ebreo era scampato al rastrellamento e fermarono l’“ariano”, facendo sapere che lo avrebbero rilasciato solo quando l’ebreo scampato si fosse presentato. Fu così che Sergio dette un bacio alla moglie Ivonne e al figlio Renato e raggiunse i parenti insieme ai quali fu messo in un vagone piombato e avviato ad un viaggio che si concluse nel camino di un forno crematorio.

Dopo la guerra incontrai nuovamente Ivonne e Renato dai quali ho appreso quel che era accaduto dopo il congedo ai piedi del Vesuvio. Ed ho assistito alla loro immane fatica di riprendere a vivere portandosi dentro una caverna scavata dal dolore.

Ecco, io ho vissuto tutto questo, ne sono testimone. Perciò non riesco a trovare parole sufficientemente efficaci per esprimere la mia rabbia per questo provvedimento governativo – che è niente di meno che un’infamia – e il mio disprezzo per chi lo ha ideato e per chi non si è rifiutato di redigerlo.

Per favore, se vi è un superlativo più forte di indecentissimo suggeritemelo: mi serve per qualificare il provvedimento con il quale – ahimè – il nostro Governo ha eliminato la modesta pensione assegnata sin dal 1955 a coloro (in maggioranza ebrei) che avevano subito persecuzioni fasciste. Era un piccolo, modesto segno del doverosissimo riconoscimento da parte dello Stato di aver compiuto un orrendo crimine ai danni di propri cittadini, in nome di un’aberrante ideologia razzista. Ed è stato eliminato proprio in un periodo in cui razzismo ed antisemitismo rigurgitano da più parti; è stato eliminato nell’ambito della spending review come se si trattasse di uno spreco!

Incredibile! Per favore, se esiste un superlativo più forte di squallidissimo suggeritemelo: mi serve per qualificare chi è stato capace di un’idea così meschina e chi le ha dato seguito non trovando in se stesso la forza di rifiutarsi di redigere quel provvedimento inqualificabile.

Ma chi sono costoro? Hanno idea di cosa sono state le leggi razziali? Evidentemente no. Ma non hanno scusanti; mai come in questo caso l’ignoranza non è ammissibile, non può essere una giustificazione. Si informino, si documentino da chi c’era.

Io c’ero. Io ho sentito che ai bambini ebrei della mia stessa età era proibito andare a scuola. Sei ebreo? Non hai diritto di imparare a leggere, scrivere e far di conto. Io l’ho vista – e mi si è impressa nella memoria – una bambina ebra, calzini bianchi nelle scarpette di vernice nera e una gonna a campana, attraversare il cortile del palazzo al n. 33 di Piazza della Borsa a Napoli, in cui abitavo. Con una cartella nella mano destra si recava a lezione privata da Ivonne, una giovane ebrea con la licenza magistrale, amica di mia madre, che le faceva scuola. Dalla mia finestra al terzo piano non ne vedevo l’espressione del volto, ma l’incedere lento e la rigidità del corpo, il capo fermo rivolto sempre e solo davanti manifestavano tristezza e paura. Era tutto il suo corpo a denunciare questi sentimenti.

Io li ho visti tanti negozi sostituire le insegne che recavano un nome ebreo. Sei ebreo? Ti devi nascondere! Sei ebreo? Non puoi fare l’avvocato, né il medico, né l’ingegnere. Fin quando non è arrivato il momento in cui si è detto: “Sei ebreo? Non hai diritto di vivere”. E ne sono stati e state uccisi e uccise sei milioni. Tra di essi 9 persone di 11 che io conoscevo perché amiche di mia nonna, di mia zia, di mia madre e di mio padre. Nella loro casa ho passato a giocare la gran parte delle mattinate della mia infanzia, poiché abitavano al primo piano nella mia stessa scala; una si chiamava Iole (ma per me era “mamma giù”) un’altra si chiamava Amedeo (ma per me era “babbo giù”), una Ivonne (ma per me è stata Tatita per tutta la vita), un’altra Elda (per me Ndindina) e poi Aldo, Sergio, Milena, Loris, Renato e i due ultimi nati di cui non ricordo il nome, che forse non ho mai conosciuto.

Il 4 dicembre del 1942, il giorno dopo il primo bombardamento “a tappeto” delle fortezze volanti statunitensi a Napoli, scappammo insieme con lo stesso tram per andare a prendere la Circumvesuviana e “sfollare” nei paesi ai piedi del Vesuvio. Ma le bombe ci raggiunsero anche lì. Allora i nostri anici ebrei pensarono di trasferirsi in Toscana (madre e padre erano fiorentini) e fu la loro rovina. In una retata delle truppe tedesche furono catturati tutti, tranne Ivonne, Renato e Sergio. Sergio chiese ad un amico “ariano” di portare ai congiunti in carcere un cambio di biancheria. I soldati tedeschi capirono che qualche ebreo era scampato al rastrellamento e fermarono l’“ariano”, facendo sapere che lo avrebbero rilasciato solo quando l’ebreo scampato si fosse presentato. Fu così che Sergio dette un bacio alla moglie Ivonne e al figlio Renato e raggiunse i parenti insieme ai quali fu messo in un vagone piombato e avviato ad un viaggio che si concluse nel camino di un forno crematorio.

Dopo la guerra incontrai nuovamente Ivonne e Renato dai quali ho appreso quel che era accaduto dopo il congedo ai piedi del Vesuvio. Ed ho assistito alla loro immane fatica di riprendere a vivere portandosi dentro una caverna scavata dal dolore.

Ecco, io ho vissuto tutto questo, ne sono testimone. Perciò non riesco a trovare parole sufficientemente efficaci per esprimere la mia rabbia per questo provvedimento governativo – che è niente di meno che un’infamia – e il mio disprezzo per chi lo ha ideato e per chi non si è rifiutato di redigerlo». Nino Lisi

*Foto di JoJan tratta da Wikipedia Commons immagine originale e licenza

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