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È tempo di risveglio dal lungo sogno patriarcale

È tempo di risveglio dal lungo sogno patriarcale

Tratto da: Adista Documenti n° 1 del 12/01/2019

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Il tremendo scandalo che ha colpito la gerarchia cattolica cilena sta aprendo un vaso di Pandora. Il re è nudo. È da tempo che le cattoliche e i cattolici comuni sospettavano che nella Chiesa qualcosa andasse storto: si notava nella bassa frequentazione alla messa domenicale; nella crisi delle un tempo vivacissime comunità ecclesiali di base; nella ricerca di altre pratiche di spiritualità accompagnata dalla precisazione "Sì, sono cattolica, ma a modo mio"; nello scarso entusiasmo per la visita del papa lo scorso gennaio, forse per l'ormai avanzata secolarizzazione che si registra in Cile.

Infine, grazie alla tenacia di Juan Carlos Cruz, James Hamilton e José Andrés Murillo, tutti abusati da Fernando Karadima, è venuto alla luce, in tutta la sua crudezza, lo scandalo di abusi sessuali su bambini e giovani come qualcosa di comune all'interno del clero cileno. (...). Ancora più orribile è stata la rete di protezione di queste pratiche da parte dei vescovi cileni. È grazie anche all'insistenza dei cattolici e delle cattoliche di Osorno sul fatto che il vescovo Juan Barros non fosse degno della sua carica a causa del ruolo da lui giocato nell'insabbiamento degli abusi di Karadima che alla fine papa Francesco si è visto obbligato a indagare a fondo sulle accuse. Il risultato: il Rapporto Scicluna – presentato dall'arcivescovo di Malta, Charles Scicluna, giunto in Cile per esaminare in dettaglio le accuse di abuso – ha talmente colpito il papa da indurlo a convocare tutti i vescovi cileni a Roma e ad accusarli – in un documento di 10 pagine – di gravi negligenze in relazione alla mancata condanna degli abusi sessuali e degli abusi di potere e di coscienza. Il papa ha detto che i vescovi hanno perso il loro centro, concentrandosi su se stessi e rivelando una psicologia elitaria e clericale. I loro «circoli chiusi sfociano in spiritualità narcisiste e autoritarie dove, anziché evangelizzare, quello che conta è sentirsi speciali». Il papa ha documentato gli abusi in dettaglio e riconosciuto che c'è qualcosa di malato nel corpo ecclesiale cileno, affermando che è il sistema a produrre tante aberrazioni.

D'altro lato, la direttrice del Centro de Investigación Periodística (CIPER) Mónica González, co-autrice del libro Los secretos del imperio de Karadima, evidenzia qualcosa che può chiarire cosa vi sia alla radice di queste “aberrazioni”: «Nel caso preciso di El Bosque (la parrocchia di Karadima), c'era un completo disprezzo per il ruolo della donna. (…). Non abbiamo mai analizzato questo punto di vista, ma esisteva nei confronti della donna una permanente sottovalutazione. La Chiesa dovrebbe farsi carico di questa cultura maschilista, che è quella che fa proliferare tali mafie, e capire come affrontarla» (intervista pubblicata su La Tercera il 14 maggio 2018).

È su questo punto che noi teologhe femministe abbiamo un grande contributo da offrire. A partire dagli anni '70, in America Latina, abbiamo alzato la voce sulle radici della misoginia – l'odio verso la donna – nella Chiesa cattolica. Come le nostre sorelle femministe, abbiamo analizzato l'origine e le strutture del patriarcato.

Nel gruppo Con-spirando, dove lavoro, abbiamo costruito teologie a partire dai nostri corpi, dalle nostre intuizioni, dalle nostre esperienze come donne. Abbiamo creato spazi in cui abbiamo potuto affrontare senza paura le nostre esperienze – a volte negative e persino traumatiche – rispetto alla formazione religiosa che abbiamo ricevuto. E abbiamo cercato nuove immagini del sacro, immagini che non siano maschili. Abbiamo scoperto che quando il femminile è assente dall'immaginario divino, noi donne siamo disprezzate e rifiutate.

Questa negazione primordiale della donna ci ha condotto a studiare l'evoluzione delle nostre immagini del sacro. Abbiamo constatato che, alle nostre origini come specie umana, abbiamo onorato la terra come la madre da cui siamo venuti e a cui torneremo alla fine dei nostri giorni (cosa che i nostri popoli originari ancora fanno) e ci siamo chieste: cos'è che ha fatto sì che la Grande Madre, la Pachamama, venisse sostituita dal Padre Onnipotente? Abbiamo cominciato a studiare appassionatamente i miti delle origini perché questi rivelano un'esperienza interpretativa orientata a dare significato al mondo. Ci restituiscono uno sguardo su noi stessi/e e ci garantiscono una difesa contro il caos. E ci offrono una guida per dirci come dobbiamo agire. Come ha detto la filosofa Madonna Kolbenschlag, «i miti sono le forze più potenti dell'universo. Possiamo rimanerne prigionieri, ma possono anche liberarci ed emanciparci. (…). I miti ci dicono la verità riguardo alla nostra stessa esperienza. Riflettono la nostra storia personale. Ma sono anche rivelazioni di una storia più ampia che sta evolvendo: la storia della terra stessa e di tutte le sue creature».

In un primo momento, abbiamo analizzato il mito della Genesi, la creazione di Adamo ed Eva, il mito fondante che sostiene la nostra attuale cultura patriarcale cristiana. Abbiamo cominciato a renderci conto quanto abbiamo interiorizzato questo mito: siamo “il secondo sesso” dal principio. In seguito al nostro lavoro di decostruzione della Genesi, abbiamo deciso di esaminare i più antichi miti dell'origine che hanno influenzato la costruzione della Genesi. Siamo giunte al mito de Babilonia, l'Enuma Elish, dove il giovane guerriero Marduk uccide la Grande Madre Tiamat. Da qui, abbiamo costruito una linea temporale evolutiva delle nostre immagini del sacro dalla Grande Madre verso il Padre Onnipotente.

Le origini (20.000-5.000 a.C.)

Le prime immagini del sacro che abbiamo incontrato in ogni parte del pianeta sono quelle della donna incinta, simbolo dell'origine della vita. Rendevamo lode alla Grande Madre per la sua eccezionalità fertilità, per il suo potere di dare vita e anche per il suo potere di dare la morte. Era venerata come la forza femminile connessa con la natura e la fertilità, responsabile della creazione e della distruzione della vita. Il corpo femminile rifletteva la Grande Madre. Era un recipiente magico: poteva sanguinare senza morire (e in sincronia con la luna!), aveva una straordinaria capacità in relazione al piacere sessuale, poteva generare e dare alla luce, aveva l'abilità di nutrire allattando i neonati. All'epoca il corpo della donna era onorato e la sessualità e il piacere erano sacri, perché l'unione sessuale tra l'uomo e la donna rifletteva i misteriosi poteri che sostengono la vita.

Il rito più importante in epoca neolitica è stato quello della ierogamia o hieros gamos, il “matrimonio sacro”. Era un rito erotico per celebrare l'inizio di un nuovo anno. Il rito serviva a onorare la fonte della vita, esprimendo il piacere, la gioia e la gratitudine delle persone nei confronti della Grande Madre, incoraggiandola a essere fertile nell'anno che si apriva.

La transizione (4.300-2.800 a.C.)

Tra i popoli paleolitici e neolitici, fondamentalmente matristici, ve ne furono alcuni che si spostarono verso il Nord dell'Europa e verso l'Asia, seguendo le migrazioni annuali delle mandrie di animali silvestri e addomesticando il cavallo. Vi furono anche pastori del deserto dell'Arabia, i semiti, che addomesticarono le pecore, le capre e i cammelli. E svilupparono la pastorizia come un modo di vivere, controllando e dominando i loro animali e proteggendoli da altri, come per esempio il lupo, visto come un “nemico”. Diedero importanza alla fertilità delle femmine per accrescere il gregge. Diedero importanza alla procreazione. E, a partire da questa esperienza, associarono la sessualità delle donne alla procreazione anziché al piacere, cercando di controllarla. Si verificò un'appropriazione graduale della capacità delle donne di riprodursi. Ciò cambiò la relazione tra i due esseri prima uguali: gli uomini, come gruppo, cominciarono a esercitare sulla donna un potere che le donne, come gruppo, non avevamo mai avuto sull'uomo.

Vi furono almeno tre ondate di invasioni distruttive tra il 4.300 e il 2.800: mille e cinquecento anni che cambiarono drammaticamente i villaggi neolitici. Apparvero tribù di pa stori e guerrieri che cominciarono a invadere le zone agricole dell'Asia Minore e del Mediterraneo. Il loro tratto caratteristico era il saccheggio dei villaggi, insieme al massacro degli uomini e al rapimento delle donne fertili. Questi invasori erano “patrifocali”, si spostavano con il cavallo o il cammello ed erano amanti della guerra. Gli invasori consideravano se stessi come un gruppo superiore in virtù della loro capacità di conquistare i villaggi agricoli (pensiamo alla successiva conquista dell'America).

Due esperienze psichiche differenti

Gli invasori erano pastori. Passavano molto tempo soli, a prendersi cura del gregge. Erano esposti agli spazi sterminati del cielo stellato, ai tuoni e ai fulmini. Sentivano che il cosmo era qualcosa di immensamente grande e temibile, minaccioso per il suo potere e per la sua forza. Le loro divinità erano trascendenti, avevano un'autorità assoluta, arbitraria e invisibile che esigeva una sottomissione totale a un ordine già stabilito. La cultura patriarcale propria dei pastori deve essere stata un'esperienza di connessione con un regno astratto, di natura completamente diversa da ciò che avveniva nella vita quotidiana della gente matristica. La loro devozione era rivolta a un dio del cielo, una figura maschile, guerriera, un giudice terribile che li accompagnava nei loro saccheggi e che era con loro quando invadevano villaggi matristici. Questo dio, come loro, utilizzava la forza, il timore, il dolore e il castigo; loro e le divinità a cui si rivolgevano erano ascetici e gerarchici.

La gente del villaggio neolitico sperimentava una connessione concreta con la vita quotidiana. Viveva secondo i ritmi della semina e del raccolto, all'interno di una comunità in cui tutto era vivo. Sentiva la propria appartenenza alla stessa rete di esistenze interconnesse. Sperimentava la condivisione, una partecipazione armonica come stile di vita. La sua esperienza era terrestre. Sentiva di appartenere a una rete più ampia di esistenza ciclica: il flusso di nascita, crescita, morte e rinascita. Riponeva la sua fiducia nella Madre Terra.

A poco a poco, però, la Grande Madre si trasformò nella sposa subordinata degli dei invasori. Gli attributi e il potere che originariamente appartenevano alla divinità femminile vennero espropriate dalla divinità maschile. Nei miti apparve per la prima volta lo stupro. Emersero miti in cui gli eroi uccidevano “mostri” (come Tiamat). La Grande Madre fu suddivisa tra molte divinità minori (come le dee dell'antica Grecia e di Roma).

L'Epoca Classica (3500 a.C.-1500 d.C.)

Quest'epoca è segnata da grandi salti in avanti nella produzione e nella tecnologia. Vennero costruite le grandi città: Gerusalemme, Atene, Roma, Il Cairo, Cuzco, Tenochtitlán. Tutte le grandi città avevano mura che le proteggevano. Furono scoperti i metalli: il bronzo e, più tardi, il ferro. Non c'era più necessità che tutti lavorassero la terra o facessero i pastori: si svilupparono le specializzazioni. Artigianato di ogni tipo. Trasporto, scambio di beni, migrazioni, eserciti, costruzione di grandi templi, piramidi, strade. Le società divennero sempre più stratificate e gerarchiche. Si stabilirono le classi e le caste.

Una prima separazione fu quella tra i padroni della terra e quelli che lavoravano la terra per i padroni. C'erano sacerdoti per la matematica, la scrittura, le leggi, l'amministrazione politica. E i re con i loro eserciti. La guerra diventò cronica. La subordinazione della donna era già qualcosa di “naturale”. Il patriarcato era ormai saldo e istituzionalizzato in tutti i codici legali e religiosi. Non fu un “fatto” specifico a produrre la subordinazione della donna. Fu un processo che si svolse nel corso di più di mille anni e a ritmi diversi in tutte le parti del pianeta.

Quanto al nostro sviluppo psichico, la nostra coscienza di provenire dalla Grande Madre e di dover fare ritorno ad essa venne sostituita da una fede in divinità che rappresentavano una mentalità legata al potere patriarcale. La Terra non era più considerata come un Essere Vivente, ma come una fonte di risorse da sfruttare. Da un atteggiamento di gratitudine nei confronti della fecondità della Terra siamo passati all'ossessione di accumulare cose come fondamento della nostra sicurezza.

Durante l'Età del Ferro (1.250-800 a.C.), il passaggio della sede della divinità dalla Grande Madre al Dio Padre era ormai compiuto. In epoca neolitica, l'immagine della Dea Madre rappresentava la fonte di vita. Suo figlio fu colui che emerse dalla totalità della Madre, perché questa potesse conoscere se stessa. Ma quando il figlio crebbe, nell'Età del Bronzo, si trasformò nel consorte della dea e qualche volta in co-creatore insieme ad essa. Ora, nell'Età del Ferro, un dio padre divenne l'essere supremo. A poco a poco, questo si trasformò in un dio senza consorte come è quello che vediamo nelle tre grandi religioni patriarcali.

Questo dio è l'unico creatore del cielo e della terra. Ed è, inoltre, colui che fa il cielo e la terra, in contrasto con la Grande Madre che era il cielo e la terra. Cosicché l'identità fondamentale tra il creatore e la creazione si dissolve. Nella tradizione della Grande Madre, la Natura e lo Spirito non sono separati, perché la divinità è immanente alla creazione. Ma nella tradizione del Dio, la divinità diventa trascendente. Di più, la creazione si trasforma in un fatto destinato a porre ordine nel caos.

È sempre nell'Età del Ferro che sono nati Confucio, Budda, Gesù e Maometto, i quali hanno tutti offerto una risposta all'angoscia che proviamo di fronte alla morte. E hanno tutti offerto un altro mondo trascendente al di là della morte. Il patriarcato e la fede nell'immortalità sono profondamente connessi.

L'Epoca Moderna (dal 1500 al presente)

Inizia l'era industriale, epoca di combustibili fossili. L'uso di fonti di energia non rinnovabili (carbone, petrolio, gas naturale) si stabilisce in ogni parte. È l'epoca della scienza e della tecnologia, della ragione e della laicità. La specie umana è ormai un potere planetario.

Tuttavia, cominciamo a renderci conto di ciò che significa la nostra superbia nel ritenerci “padroni” della terra. La terra è un sistema chiuso. I combustibili fossili sono stati custoditi per milioni di anni nelle sue viscere. A causa della loro estrazione stiamo sperimentando il riscaldamento della terra. Non è possibile riciclarli. La rivoluzione industriale non ha contaminato solamente i nostri suoli, ma anche le nostre anime.

Allora, perché è scomparsa l'immagine della Grande Madre? Quando andiamo a cercare nella storia dei miti e dell'evoluzione delle nostre immagini del sacro, vediamo chiaramente che, a partire dal mito babilonico della morte di Tiamat per mano di Marduk, circa duemila anni a. C., la Grande Madre è stata sempre più associata alla Natura come una forza caotica che doveva essere tenuta sotto controllo. E, a poco a poco, con l'evoluzione verso l'immagine di un dio maschile, questa Natura comincia a essere conquistata e controllata dal suo regno superiore della mente o dello spirito. Durante la nostra storia più antica questi opposti non esistevano. Ma, come abbiamo visto, la storia della specie umana è quella di una continua separazione dalla Terra, un processo progressivo di disconnessione che ci ha condotto al momento attuale, in cui siamo così indipendenti dalla Terra da vederla semplicemente come una fonte di risorse da utilizzare e dominare. Un atteggiamento molto presente nella nostra eredità giudaico-cristiana. Tuttavia, la presenza della Grande Madre non è stata completamente cancellata: è talmente dentro ai nostri geni che non è possibile estirparla. Ci chiediamo allora: dove si trova attualmente? Siamo molte a credere che stia emergendo sotto una nuova forma: non più come un'immagine concreta di una divinità femminile, ma come ciò che tale immagine rappresentava: una visione della realtà in cui tutta la comunità della vita partecipava a una relazione mutua. Queste nuove intuizioni stanno arrivando da ciò che definiamo come la “Nuova Scienza”. La fisica quantistica ci mostra come tutto sia interconnesso in termini di relazionalità. È come se la Terra stessa ci stesse risvegliando da un lungo sogno, facendoci ricordare che siamo sue creature, i suoi figli e le sue figlie.

L'invito ai vescovi e ai sacerdoti è quello a ricordare chi siamo: una specie all'interno di una comunità di specie. Viviamo e moriamo. Consumiamo e siamo consumati. I membri della comunità della Terra si alimentano gli uni degli altri. La morte di uno è la vita dell'altro. In fin dei conti, ciò crea un'intimità molto profonda.

Teilhard de Chardin disse una volta che la grande scoperta dell'epoca moderna era stata quella dell'evoluzione. L'evoluzione può essere intesa come un continuo risveglio, come un processo sempre più complesso di trasformazione. Invitiamo vescovi e sacerdoti a risvegliarsi e a scoprire quello che i popoli indigeni hanno sempre saputo: la terra è la nostra Madre, da essa siamo venuti e ad essa faremo ritorno. Siamo terrestri, non extraterrestri.  

Statua della Fede di fronte alla Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino -  foto [ritagliata] di Claude del 2005, tratta da it.wikipedia.org, immagine originale e licenza

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