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I vantaggi dell’accoglienza

I vantaggi dell’accoglienza

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 03/08/2019

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Economia

La crescita economica in Italia è da due decenni più bassa rispetto a quella media europea. Dopo la grande crisi del 2008 è intervenuta anche la recessione, superata con difficoltà e con una ripresa lenta e con insufficienti ripercussioni sull’occupazione.

Sono bassi e lenti gli investimenti interni e si sono ridotti quelli esteri. Languiscono la ricerca e l’innovazione. A ciò si aggiungono la pesantezza della burocrazia, il funzionamento della giustizia, la ridotta diffusione della ricerca e della tecnologia, la bassa produttività, l’ampiezza del sommerso, le accresciute disparità sociali e l’aumento del debito pubblico con i relativi costi. Gli immigrati non sono la causa di questo andamento bensì una forza che lo contrasta. Essi incidono per oltre un decimo sugli occupati e sui titolari d’azienda, pagano 3,3 miliardi di imposte sulle persone fisiche (proporzionate al loro reddito medio annuo che è di un terzo più basso rispetto alla media: 13.000 euro). A ciò si aggiungono 4 miliardi di euro di altre tasse da loro pagate (consumi, carburanti, lotterie, pratiche per la cittadinanza) e i rilevanti importi dei contributi previdenziali. Se si detraggono le spese pubbliche per loro sostenute, al “sistema paese” rimane annualmente un vantaggio netto di 1,17 miliardi di euro, per cui sono dei contributori netti.

Demografia

È in atto una forte riduzione della popolazione italiana, secondo i dati Istat sull’andamento demografico. Anche nel 2018 la popolazione residente in Italia (60.391.000) è diminuita (di 90.000 unità) a causa del calo degli italiani: infatti, i decessi sono prevalsi sulle nascite di 187.000 unità. È basso il numero medio di figli per donna (1,32). Gli immigrati residenti, invece, sono leggermente aumentati. La speranza di vita è alta (80,8 anni per gli uomini e 85,2 per le donne). La popolazione diventa sempre più anziana (gli ultrasessantacinquenni incidono per un quinto) e aumenta sempre più il bisogno di assistenza. Gli immigrati sono d’aiuto non solo per assistere gli anziani ma anche per rinforzare l’andamento demografico.

Occupazione

In Italia oltre il 70% della popolazione è insoddisfatta della sua situazione economica (fonte: Unipolis 2019). A pagare più pesantemente gli effetti della crisi sono gli immigrati, la cui precarietà occupazionale determina un alto tasso di disoccupazione. In totale, i lavoratori immigrati sono 2,4 milioni e svolgono mansioni poco gradite agli italiani: manovalanza nell’industria e in agricoltura, facchinaggio, bassi servizi nella ristorazione e negli alberghi, impiego nelle famiglie come domestiche e badanti e così via.

Per il 34% degli immigrati le mansioni svolte sono inferiori alla preparazione ricevuta e danno luogo a una retribuzione del 27% inferiore a quella degli italiani. È consistente il numero di lavoratori, in nero o assunti irregolarmente (oltre 100.000 presso le famiglie secondo alcune stime). Dal 2014 non sono state più stabilite le quote d’ingresso annuali per nuove assunzioni di lavoratori anche non stagionali (gli unici attualmente presi in considerazione).

Previdenza sociale

Un sistema socio-previdenziale rivolto a una popolazione caratterizzata da un forte invecchiamento e dall’ampliarsi delle prestazioni economiche assistenziali ha bisogno del sostegno di un’ampia base di forza lavoro in attività e tali sono gli immigrati. Essi pagano annualmente 11,5 miliardi di euro di contributi previdenziali e, essendo più giovani, ricevono in misura minima un corrispettivo in termini di prestazioni: non incidono neppure per l’1% sulle oltre 16 milioni di pensioni in pagamento (fonte INPS). Sono semmai più visibili nel ricevere le prestazioni di disoccupazione perché più soggetti alla perdita del posto: (406.000 disoccupati nel 2017 secondo l’Istat) e quelle di maternità (le donne immigrate hanno più figli di quelle italiane).

È aumentato il numero degli immigrati che richiedono prestazioni assistenziali, comunque ancora in misura inferiore alla loro incidenza sulla popolazione. Diverse disposizioni restrittive fatte valere nei loro confronti sono state dichiarate illegittime dai giudici di merito, dalla Corte di Cassazione, da quella Costituzionale, dalla Corte di Giustizia dell’UE e dalla Corte europea dei diritti umani.

Accoglienza

Solitamente si ritiene che agli immigrati basti venire in Italia per ottenere le prestazioni socio-previdenziali, mentre la loro tutela è ristretta e difficile. Gli immigrati hanno un trattamento più restrittivo sia a livello nazionale (un eccessivo numero di anni di residenza per poter ottenere il reddito di cittadinanza), sia a livello comunale e regionale (aumento talvolta abnorme dei costi per la richiesta dell’idoneità alloggiativa, condizioni differenziate per la concessione di determinate prestazioni, richiesta di documenti difficili da ottenere dai paesi di origine).

È vero che molte limitazioni vengono superate ricorrendo in giudizio, come lo fu l’abbattimento dell’alto costo del rilascio per il permesso come lungo-residenti sanzionato dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Tuttavia per vincere le cause si richiedono tempo e denaro, mentre i bisogni socio-previdenziali hanno carattere di immediatezza.

Pluralismo religioso

Gli accurati rapporti annuali del Cesnur (Centro Studi Nuove Religioni di Torino) attestano che 2 milioni di italiani fanno riferimento a una confessione religiosa diversa da quella cattolica. La presenza ebraica precede quella cristiana, mentre quella dei valdesi è medioevale. Dal XVI secolo sono presenti i luterani e gli altri evangelici, mentre è più recente la presenza di religioni orientali.

La multireligiosità riferita agli immigrati riguarda gli ultimi 40 anni ed è così ripartita (fonte Idos): oltre a 1 milione di cattolici, tra di essi 4 milioni appartengono ad altre confessioni religiose, per cui complessivamente in Italia sono 6 milioni i non cattolici, il 10% della popolazione totale.

In particolare, tra gli immigrati la maggioranza (52,6%) è costituita da cristiani (oltre ai cattolici si aggiungono 1,5 milioni di ortodossi e 220.000 protestanti). Gli altri grandi gruppi religiosi sono quelli dei musulmani: oltre 1.600.000, quasi un terzo di tutti gli immigrati. Seguono, per importanza numerica, gli induisti, i buddisti e altri gruppi minori. È consistente anche il numero degli atei e degli agnostici (il 14,6% del totale). Tuttavia non sussiste, neppure in prospettiva, il rischio dell’islamizzazione e, comunque, il pluralismo religioso correttamente inteso non va considerato un pericolo.

Criminalità

Nel biennio 2015-2016, il 10,2% dei residenti nel corso degli ultimi 12 mesi è stato vittima di reati (borseggi, aggressioni e rapine). 1 residente su 4 non si sente sicuro neppure a casa (Fonte: Istat). È diffusa l’opinione secondo la quale gli immigrati sono autori di reati in misura più che proporzionale rispetto alla loro incidenza sulla popolazione. In realtà, le statistiche possono essere lette diversamente.

Risulta dall’Archivio della Polizia criminale presso il Ministero dell’Interno che tra il 2004 e il 2016 le denunce sono aumentate del 31,7% per gli italiani una popolazione in diminuzione, e sono cresciute solo del 13,7% per tutti gli stranieri, la cui presenza è aumentata notevolmente. In particolare, gli immigrati residenti sono più che raddoppiati. Il confronto, quindi, va a svantaggio degli italiani.

Inoltre nel 2005 (ultimo anno in cui il Ministero fornì tale disaggregazione) le denunce contro gli stranieri riguardavano solo nel 28,9% gli immigrati regolarmente presenti, mentre nel passato ben il 16% delle denunce contro stranieri ha riguardato violazioni delle norme migratorie, che non hanno un corrispettivo tra gli italiani. Quando si tiene conto di questi aspetti viene a cadere il mito che considera l’immigrato residente “più delinquente di noi”.

Movimenti migratori con l’estero

Sono ancora molti i giovani italiani (anche di origine immigrata) che lasciano l’Italia per recarsi all’estero. L’Istat ha calcolato che nel 2017 sono emigrati 120.000 italiani mentre solo 47.000 sono rimpatriati. In realtà, ad essere effettivamente emigrati sono stati circa 300.000 in Italia secondo il Centro studi Idos, che si è basato sugli archivi dei principali Paesi esteri di destinazione (Conf. L’Europa dei Talenti, Edizioni Idos).

Si può ipotizzare, sulla base delle proiezioni demografiche dell’Istat, che dopo metà secolo vi sarà una diminuzione di oltre 7 milioni di residenti, che potranno essere rimpiazzati da immigrati in arrivo dall’estero se si vorrà mantenere un certo equilibrio demografico, occupazionale e previdenziale: questi flussi saranno considerati un sostegno indispensabile e non un’invasione.

Fattori di espulsione

Nei loro Paesi, per cause interne o esterne, manca a molti una “speranza di vita” dignitosa e ciò spinge i più coraggiosi a emigrare nonostante il rischio di morire in mare o di essere incarcerati nei lager libici.

Gli immigrati di oggi sono come gli emigranti italiani del passato, espulsi dalla mancanza di sviluppo e di occupazione, nonché dalle disumane condizioni di vita. Rispetto ad allora, però, le persone che si spostano sono più istruite (all’inizio dell’unità d’Italia si arrivava a punte di analfabetismo del 90%).

Come allora avveniva in Italia, oggi specialmente in Africa e in Asia, è la povertà assoluta che affligge più di 800 milioni di persone nel mondo a spingere molti a migrare. Inoltre, conflitti di vario tipo hanno fatto lievitare il numero dei profughi. Per legare il presente al passato è d’aiuto un brano della lettera scritta nel 1876 al Ministro dell’Interno Giovanni Nicotera, da un gruppo di contadini lombardi: «La nostra vita è tanto amara che poco più è morte. Coltiviamo frumento e non sappiamo cosa sia il pane bianco. Coltiviamo viti e non beviamo vino. Alleviamo bestiame e non mangiamo mai carne. Vestiamo fustagno e abitiamo ovili. E voi con tutto ciò pretendete che non dobbiamo emigrare?».

Regolamentazione

L’Unione Europea non è finora riuscita a far approvare una linea comune di intervento a tutti gli Stati membri per correggere l’impostazione penalizzante del Regolamento di Dublino, che addossa per intero la responsabilità ai Paesi di primo approdo. Il Parlamento europeo e la Commissione si sono mossi in tale direzione, alla quale gli Stati membri, nella loro “sovranità”, non hanno dato un seguito. Sarà il futuro a costringere all’azione: basti pensare che ben 143 milioni emigreranno dall’Africa per i cambiamenti climatici (fonte: Save the Children).

Continuano a essere operanti i corridoi umanitari, un’esperienza significativa ma, trattandosi ancora di poche migliaia di persone, del tutto insufficiente. Peraltro, nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, è d’obbligo l’accoglienza, come previsto dalla Costituzione italiana e la Convezione di Ginevra del 1951.

Permane, quindi, l’esigenza di riuscire a coordinare la solidarietà con la gestione ordinata dei flussi. Le Nazioni Unite si sono mosse a livello globale proponendo il Migration Global Compact, firmato a dicembre 2018 a Marrakech da numerosi Paesi del mondo ma non dall’Italia.

Sviluppo in loco

“Aiutiamoli a casa loro” è una tesi che suona bene, ma che molti considerano solo un pretesto per disimpegnarsi: infatti, non sono stati varati piani al riguardo e non si è ricorso alle competenze delle Ong per lo sviluppo.

In Italia, per l’aiuto pubblico allo sviluppo, lo stanziamento per il 2019 è sceso al di sotto dello 0,30% del PIL (traguardo faticosamente raggiunto nel 2017), mentre la media europea è pari al 0,50% del PIL e raggiunge in alcuni Stati membri il 0,70%. I 507 milioni di euro stabiliti per il 2019, scenderanno ulteriormente nel biennio successivo (-7%).

Questo importo è tutt’altro che elevato: basti pensare che lo spreco alimentare ammonta a 2 miliardi di euro l’anno, secondo l'Osservatorio Waste Watcher (2019). Per di più, solo una parte della somma stanziata arriva ai Paesi in difficoltà. Sono ben più consistenti i risparmi (5 miliardi di euro nel 2017) che gli immigrati inviano dall’Italia nei loro paesi, assicurando un sostegno al benessere delle loro famiglie e anche alle finanze pubbliche.

Per la prima volta in Italia, alla fine del 2018, è stata fissata una tassa dell’1,50% sulle somme superiori a 10 euro, che vengono inviate all’estero: in pratica verranno così recuperati i soldi stanziati per aiutare i Paesi poveri. Se nel mondo venisse seguito l’esempio italiano si determinerebbe una vistosa decurtazione dei 560 miliardi di rimesse, che secondo stime verranno inviate nel corso del 2019 (fonte: Migration Development Brief).

Integrazione

La legge Salvini sulla sicurezza (dicembre 2018) ha portato da 2 a 4 anni l’attesa per la definizione di una pratica di cittadinanza, nonostante i 10 anni di residenza previa siano tra i più rigorosi requisiti previsti negli Stati membri. Di estrema difficoltà è anche il conseguimento obbligatorio del livello B1 nella conoscenza della lingua italiana. In questa legge, così come nel decreto sicurezza bis, non ricorre mai la parola integrazione, che sembra scomparsa dal vocabolario governativo.

I costi per l’accoglienza dei richiedenti asilo è stato ridotto da 35 a 23 o 21 euro, a seconda della grandezza delle strutture da convenzionare, rendendo difficile assicurare gli interventi socio-culturali che vadano oltre il vitto e l’alloggio, il ricorso all’accoglienza diffusa e il coinvolgimento delle associazioni e delle ong di ridotte dimensioni.

Future prospettive

Secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) il fatto che siano state soppresse le possibilità di ottenere un permesso per motivi umanitari ha inciso sulla forte diminuzione dei cittadini stranieri regolarmente presenti e, di converso, sull’aumento delle presenze irregolari che, già pari a 533.000 all’inizio del 2019, sono andate in continuo aumento successivamente.

La speranza che la spinta migratoria si riduca nel futuro è irrealistica. Secondo gli esperti a metà secolo non solo crescerà la popolazione mondiale (fino a quasi 100 miliardi di persone rispetto agli attuali 7,3 miliardi) ma quasi raddoppieranno i migranti nel mondo (dagli attuali 286 milioni a circa 460 milioni). L’Africa diventerà il continente più popolato con circa 2,5 miliardi di abitanti.

In Italia, gli stranieri residenti (attualmente poco al di sopra di 5 milioni), a metà secolo, includendo anche saranno diventati italiani, arriveranno a incidere per più di un quarto sulla popolazione totale. Sarà una situazione simile a quella già riscontrabile in Svizzera e in Canada, Paesi moderni e prosperi: una situazione fruttuosamente gestibile con una politica adeguata. I dati sono desunti dal “Dossier Statistico Immigrazione 2018” e saranno aggiornati con l’uscita, a fine ottobre, della nuova edizione del 2019 a opera di Idos, in partenariato con Confronti e con il finanziamento dell’Otto per Mille della Tavola Valdese.  

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