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Giorgio Beretta: e se fossero le aziende armiere a dettare la politica estera dell'Italia?

Giorgio Beretta: e se fossero le aziende armiere a dettare la politica estera dell'Italia?

Tratto da: Adista Notizie n° 6 del 15/02/2020

40131 ROMA-ADISTA. Per approfondire alcuni aspetti relativi all’export di armi italiane verso la Turchia rivelati da Altreconomia (v. qui), Adista ha intervistato Giorgio Beretta, autore dell’inchiesta insieme a Duccio Fanchini e analista dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere di Brescia (Opal). 

Beretta, la vostra inchiesta su Altreconomia documenta un grande aumento delle esportazioni di armi made in Italy verso la Turchia, che di fatto è un Paese in guerra contro i curdi. La legge 185/90 sul commercio delle armi consente queste esportazioni? Cioè si tratta di un export illecito o solo inopportuno?

Ci sono due modi per interpretare la legge 185 del 1990 e lo stesso Trattato sul commercio di armi che l’Italia ha ratificato nel 2013. Il primo è quello di considerare le normative solo dal punto di vista strettamente legalistico badando cioè soprattutto a non violare espliciti divieti per non incorrere in possibili sanzioni. Il secondo è quello di considerare le norme e i divieti della legge come criteri valutativi per accertare con attenzione, prima di rilasciare un’autorizzazione, la possibilità di uso illegittimo delle armi, per commettere violazioni del diritto internazionale umanitario, ecc.

Cosa vieta precisamente la 185?

Vieta l’esportazione di armamenti «verso i Paesi in stato di conflitto armato» e «in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta dell’Onu»; «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione»; «verso Paesi nei cui confronti siano in vigore forme di embargo totale o parziale delle forniture di armi da parte delle organizzazioni internazionali (Onu, Ue, Osce)»; verso «Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa» e «verso i Paesi che, ricevendo dall’Italia aiuti, destinano al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze della difesa». Ma l’unico divieto che renderebbe in qualche modo sanzionabile l’autorità preposta è quello della violazione esplicita di un embargo. Ho l’impressione, pertanto, che l’Uama sia più interessata a favorire le aziende italiane e le loro esportazioni di armamenti piuttosto che ad osservare quei criteri e divieti che sono esplicitamente indicati dalle normative vigenti ma che non rendono sanzionabile l’Autorità per un’autorizzazione rilasciata. Va detto inoltre che sia la legge 185 del '90 sia il Trattato internazionale non prevedono esplicite sanzioni per chi li viola. Si tratta pertanto soprattutto di una questione reputazionale e tutto questo permette, a chi rilascia le autorizzazioni, di utilizzare le norme secondo la propria discrezionalità.

Quanto conta che la Turchia, oltre ad essere un alleato Nato, è anche il principale partner europeo nel contrasto all’immigrazione?

Anche a questo riguardo ho l’impressione che il fatto che la Turchia sia un alleato della Nato e un partner nel contrasto all’immigrazione sia addotto non tanto come una convinzione, ma soprattutto come un pretesto, una giustificazione per legittimare esportazioni improprie se non illecite. È chiaro che la Turchia rappresenta un alleato e un baluardo per chi intende contrastare l’immigrazione in Europa, ma ciò non autorizza ad esportarvi armamenti che potrebbero essere utilizzati per commettere gravi violazioni del diritto internazionale, del diritto umanitario e alimentare conflitti in corso.

Ma il Movimento 5Stelle non aveva detto di voler bloccare l’export di armi alla Turchia? Ora c’è anche Di Maio alla Farnesina...

Un conto è ciò che dice il M5S, altro è ciò che i suoi rappresentanti al governo realmente fanno. Lo stesso Di Maio, a fronte delle contestazioni, a Napoli, dal palco in cui il Movimento celebrava il decennale, aveva annunciato che al Consiglio Ue dei ministri degli Esteri avrebbe chiesto come governo a tutta l’Ue di bloccare la vendita di armi alla Turchia. Per poi fare un dietrofront strategico e adottare la posizione più morbida decisa a livello comunitario e cioè, sostanzialmente, di lasciare ad ogni Paese membro di decidere autonomamente. Di Maio ha quindi esplicitato che la Farnesina intende sospendere solo le «vendite future di armi alla Turchia» e «avviare un’istruttoria sui contratti in essere». Una misura molto diversa da quella riportata nella nota ufficiale emessa nei giorni precedenti dalla Presidenza del Consiglio che aveva comunicato di voler promuovere una moratoria (cioè la sospensione) delle forniture di armi alla Turchia anche in sede europea.

Cosa dovrebbe fare la politica? Cosa può fare la società civile?

La politica o meglio i partiti dovrebbero innanzitutto ascoltare e confrontarsi di più con le associazioni della società civile in particolare con quelle che da decenni sono attive nel controllo del commercio di armamenti. Ho la forte impressione, invece, che i partiti – e intendo tutti o quasi – siano molto autoreferenziali su questo così come su altri temi. Anche quei partiti che storicamente sono stati sensibili alle istanze della società civile, sembra che oggi non vogliano affrontare questi argomenti per non rischiare di scontentare la cosiddetta opinione pubblica, finendo così per alienarsi anche parte del proprio elettorato. E lo stesso vale per quei partiti che dicono di voler rappresentare la novità e discontinuità con la politica tradizionale. Ma c’è un terzo punto, che ritengo sia fondamentale. Ho la forte impressione che da diversi anni non sia più la politica a indicare le priorità e ad assumere le decisioni ma che siano alcune realtà vicine alle aziende, soprattutto quelle a controllo statale come Leonardo e Fincantieri, a definire le scelte e le strategie anche politiche nel settore degli armamenti. Questo rappresenta un pericolo non solo per la politica ma per tutti noi, come Paese. Credo che oggi il principale compito della società civile stia proprio nello smascherare queste dinamiche che condizionano non solo la politica, ma anche la nostra democrazia. E lo si fa non in modo ideologico, ma mostrando – proprio come nel caso delle forniture di armamenti alla Turchia – le contraddizioni tra ciò che la politica proclama e tenta di far credere e ciò che poi effettivamente decide.

* Fotogramma [ritagliato] di Giorgio Beretta tratto dalla video-intervista "Nutrire il pianeta col cibo - 23 dicembre 2014, © ControllArmi - canale YouTube Rete Italiana contro il Disarmo; fonte: YouTube

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