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Coronavirus: chiese chiuse

Coronavirus: chiese chiuse

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 14/03/2020

  Di fronte alla decisione di chiudere le chiese in alcune zone e di limitarne le attività in tutto il Paese, a causa del “coronavirus”, i vescovi italiani si sono espressi unanimemente, attraverso la Conferenza Episcopale Italiana e quelle regionali, per l’accoglimento delle disposizioni del governo e degli Enti locali, che vietano gli assembramenti e limitano i rapporti diretti e ravvicinati tra le persone, anche per quanto riguarda le chiese e le messe. Il tutto affidato soprattutto al buonsenso e alla responsabilità di ciascuno, delle comunità e gruppi di appartenenza. Si segnala solo qualche sporadica critica da parte di singoli che accampano ragioni perlopiù serie, quando però non rasentano il ridicolo. Come il “moderato” Riccardo Bonacina, direttore di Vita, il giornale del non profit, che si esprime contro l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, rivolgendogli un patetico appello: «Caro vescovo disobbedisca se le è stato imposto, o ritrovi la ragione se è stato frutto di una sua scelta». Per poi scadere in una sproporzionata preghiera: «Il Signore ispiri i Fontana e gli Speranza di turno perché ne hanno molto bisogno, ma ispiri anche lei e le faccia capire che è una misura insensata. Anche umiliante per chi crede, per chi ogni giorno cerca l’incontro con l’Eucaristia. Lei sa e dovrebbe insegnare quando sia importante l’incontro personale con Cristo nell’Eucaristia. E allora non lo vieti. Il suo divieto lascerà campo aperto ai profeti di sventura e a chi da Radio paracattoliche racconta l’inizio dell’Apocalisse». Amen!

Confesso di non avere elementi per schierarmi tra chi vuole le chiese aperte e chi è contrario; propendo per la prudenza e chiuderle, affidando al buonsenso di parroci e fedeli delle zone “verdi”, consultate le autorità competenti, la decisione di svolgere celebrazioni, comunque seguendo le raccomandazioni del decreto governativo.

Intanto il coronavirus racconta la nostra epoca di sovranismi estremi, di isolamento esasperato, di rapporti virtuali tra persone, e di paura immotivata o di indifferenza colpevole nei confronti di chiunque altro; meglio di una foto ben riuscita, mostra nitido lo scorcio della storia che stiamo vivendo. Mette a nudo la nostra epoca nella quale ciò che più ci interessa è non essere contaminati, non solo dal maledetto Covid-19, ma da qualunque cosa venga da fuori il metro di distanza che si deve tenere, oggi giustamente, rispetto all’altro. E porta allo scoperto la nostra crescente paura di entrare in contatto con qualcosa che possa incrinare le nostre presunte certezze, la nostra egoistica sicurezza, la nostra finta spensieratezza, la stessa che ha guidato la mano di qualche prete che ha affisso alla porta della sua chiesa un avviso per i «comportamenti igienici da tenere durante la messa», che dal non usare l’acquasantiera, sedersi ad almeno un metro dagli altri fedeli, evitare di darsi la mano, arriva a uno squallido «vi ricordo che monete e banconote non trasmettono il virus». Amen!

Ma è anche vero che proprio nelle emergenze noi italiani tiriamo fuori il meglio. Allora attraverseremo anche questa crisi imprevista, peggiore di un terremoto o di un eruzione vulcanica: i medici, gli infermieri e i volontari potranno finalmente riposarsi un po’; riapriranno le scuole, le chiese, i teatri, i mercati, i ristoranti; riprenderà il solito, e forse indispensabile, teatrino della politica. Non so come, ma si dovrà affrontare anche la crisi economica, che si prevede dolorosa… E spero che finalmente potremo anche occuparci di trovare urgentemente un “vaccino” totalmente innovativo, che ci permetta di curare anche l’altra “malattia” che ci ha infettato, spesso in modo sotterraneo e apparentemente asintomatico, e che il coronavirus ci ha permesso di individuare: quella voglia attualmente diffusa di non mescolarsi agli altri, i miti risorgenti della razza, il modo in cui trattiamo gli stranieri, gli zingari, i musulmani, i “negri”, i diversi da noi, gente “impura” da cui stare alla larga; altro che un metro, meglio mettere il mare, i lacrimogeni o il filo spinato tra noi e loro! Bisogna curarsi dal “virus” degli integralismi raccolti dietro le bandiere o, peggio, dietro crocifissi e rosari assurti a simbolo dell’identità nazionale. Separare, dividere, alzare steccati: noi egoisticamente in paradiso, gli altri inesorabilmente all’inferno. Tutto questo è inaccettabile, spero anche per voi e per chiunque voglia continuare a sognare e guardare le cose e gli altri, fuori dal metro di distanza che, oggi giustamente, dobbiamo tenere rispetto all’altro. Voglio essere contaminato – e spero anche voi – dal “virus”, pure questo potentissimo, la cui infezione positiva è scritta, in inglese, sul muro dell’aula scolastica di don Lorenzo Milani e dei suoi ragazzi a Barbiana: “I care”. L’altro mi sta a cuore.   

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino

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