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Sfuggire all’idolatria dell’incarnazione

Sfuggire all’idolatria dell’incarnazione

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 23/05/2020

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Alcuni anni fa, mentre ero in conversazione con il decano di un seminario teologico, egli ha espresso ciò che sicuramente pensava fosse una dichiarazione sicura: “Io baso la mia fede sull’incarnazione”. Per questo decano l’incarnazione era una sorta di Linea Maginot. Era già sottinteso sia in parole sia in atti che io non ero più un “vero credente”. Con suo sgomento, ho risposto: “Io no”. Sorpreso della mia affermazione, sebbene io sospetti che l’abbia vista come una conferma della mia eresia, è rimasto silenzioso. Quando è sfidata una Linea Maginot, segue sempre il silenzio. In questo capitolo mi volgo a ciò che è diventata per i cristiani tradizionali una parola in codice: “incarnazione”.

Cosa significa “incarnazione”? Non è chiaramente un concetto biblico. Riflette piuttosto la mentalità dualistica greca del quarto secolo in cui è nato. Essa afferma che il Dio esterno, teistico e soprannaturale, ha assunto la forma e la carne di una vita umana. In questo processo, i teologi cristiani hanno sostenuto per secoli, contro ogni evidenza del contrario, che né la divinità di Dio né l’umanità della vita biologica di Gesù erano state compromesse in quest’affermazione che chiamavano “incarnazione”. Queste idee non avevano alcun senso razionale ma sono state ripetute in continuazione. (...). Così i cristiani del quarto secolo hanno messo queste parole nel credo cristiano: “Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.

La chiara implicazione di quest’affermazione del credo era che in Gesù una forma di Dio era entrata nella vita umana. Gesù era quindi un essere divino in un travestimento umano. Dopotutto, “incarnazione” significa letteralmente “entrare nella carne”. (...).

Se Gesù era Dio in forma umana, allora tutti i miracoli attribuiti a lui nel Nuovo Testamento hanno senso. Gesù poteva dare vista al cieco, udito al sordo, integrità allo storpio e allo zoppo e voce al muto perché era “Dio incarnato”. Gesù poteva persino risuscitare i morti perché condivideva la vita eterna di Dio. (...).

Mentre si sviluppava, questa tradizione ha ampliato i racconti su Gesù per affrontare i problemi che sorgevano. Per esempio, se il Dio esterno, che viveva sopra il cielo, doveva assumere forma umana, doveva essere preparato un terreno di atterraggio sul quale questa divinità potesse arrivare sulla scena della vita umana. Dio, tuttavia, non poteva essere per sempre vincolato dai limiti della vita umana, quindi c’era anche bisogno di una piattaforma di lancio dalla quale il Dio incarnato potesse essere sospinto di nuovo nel dominio naturale di Dio nei cieli. Con il tempo entrambi questi elementi mitologici, e molti altri, sono stati aggiunti alla storia di Gesù. (...).

Quando, tuttavia, il concetto teistico di Dio è stato travolto dallo sviluppo della conoscenza, l’idea dell’incarnazione è diventata sempre più illogica. Ci sarebbero voluti, però, centinaia di anni prima che quest’aspetto del nostro datato linguaggio teologico diventasse evidente e iniziasse a sgretolarsi. Quel giorno è finalmente arrivato.

I cieli sono pieni di pianeti, di soli, di polvere, di materia oscura e buchi neri, e l’universo sembra essere infinito. Non c’è alcun essere soprannaturale che vive oltre le nuvole, vegliando sulla vita del pianeta Terra. Le leggi che governano le svolte e i colpi di scena della vita sono le leggi fisse della natura. Non sono soggette all’intervento di una divinità soprannaturale, che può cambiare il corso della storia per portare una nazione preferita alla vittoria militare o per creare esiti diversi secondo le esigenze della vita umana di coloro che pregano in modo appropriato. La vita umana non è una creazione speciale fatta a immagine di Dio. Tutta la vita è emersa dalla materia e poi si è evoluta nella complessità che segna oggi il nostro mondo. (...). Cosa significa allora – o anzi cosa può significare – affermare, come fa Paolo, che “Dio era in Cristo” (cfr. 2Cor 5,19) o che Dio abbia vuotato “l’essere” divino nella vita di un servo, “dall’aspetto riconosciuto” come uomo (Fil 2,5-8)?

Paolo era ebreo. Per un ebreo Dio non poteva essere definito o discusso come fosse un oggetto che potremmo osservare o controllare. Dio poteva essere sperimentato solo come una presenza che trasformava la vita umana e la conduceva oltre i suoi limiti. Dobbiamo quindi chiederci: qual è stata l’esperienza di Paolo, che l’ha portato a usare un linguaggio che in fondo poteva essere interpretato come “incarnazione” da coloro che avevano bisogno di definire l’esperienza? È possibile recuperare tale esperienza? Si tratta di qualcosa in cui noi potremmo incamminarci? Reso letterale all’interno del linguaggio umano, questo concetto non ha senso per le orecchie moderne. Noi cristiani, allora, dobbiamo affrontare ancora il mondo con questa pretesa come se fossimo persone dotate di suoni inarticolati di lingue sconosciute? Possiamo negare ogni aspetto delle nostre affermazioni letterali del credo riguardo a Gesù e chiamarci comunque cristiani? Possiamo ancora essere discepoli di Gesù? Io credo che lo possiamo ma non fino a che non ci libereremo del linguaggio del credo del quarto secolo, compreso il linguaggio dell’“incarnazione”.

Il divino può essere visto nell’umano? È da qui che dobbiamo iniziare. Può l’umano essere spinto oltre i propri limiti fino a diventare il veicolo attraverso il quale il divino è in grado di essere sperimentato? Cosa c’era in questo Gesù che si prestava a ciò che ora è pensato con lo strano linguaggio dell’“incarnazione”? (...).

Dobbiamo iniziare con le affermazioni negative perché, come esseri umani, non siamo in grado di dire ciò che Dio è, quindi dobbiamo limitarci a dire ciò che Dio non è o ciò che non può essere. La gente non ha visto un potere miracoloso in Gesù per poi passare da quell’esperienza alla conclusione della sua divinità. Il potere di Gesù è stato sperimentato molto prima che la gente attribuisse miracoli alla sua presenza. Nessuno, prima che Marco scrivesse, nell’ottavo decennio, sembra avere mai associato i miracoli a Gesù. Questo fatto sorprende molti. Paolo, che ha scritto tra il 51 e il 64 d.C., non ha mai parlato di Gesù come di un operatore di miracoli. (...). L’affermazione che Dio è stato rivelato in Gesù in un modo speciale e unico non aveva anche nulla a che fare con i racconti che affermavano la sua nascita miracolosa. Nessun racconto di nascita miracolosa o verginale è emerso nella tradizione cristiana fino al nono decennio (...).

No, c’è stato qualcosa di molto precedente e forse più profondo riguardo a questo Gesù che ha fatto sì che i suoi discepoli facessero affermazioni divine su di lui. È stato, io credo, il crollo di tutti i confini e di tutte le barriere con cui noi esseri umani ci separiamo gli uni dagli altri. Il potere di Dio visto in Gesù era il superamento di tutte le nostre paure e divisioni. Alla sua presenza e attraverso l’esperienza della sua vita, le barriere tra ebreo e gentile, ebreo e samaritano, maschio e femmina, Israele e Giuda, schiavo e libero, ricco e povero, vita e morte, sono tutte scomparse. In Gesù c’era un’umanità che includeva tutti e non scartava nessuno. In questo Gesù poteva essere vista una comunità umana senza confini. Dio era il potere della vita, la passione dell’amore, il fondamento dell’Essere che attrae tutte le vite in una nuova umanità. Questa è stata l’esperienza che ha spinto prima Paolo e poi molti altri a dire di questo Gesù: “Dio era in Cristo” (cfr. 2Cor 5,19).

(...). Gesù non è Dio mimetizzato. Gesù è il totalmente umano in cui un mondo separato trova una nuova unità. Il linguaggio dell’incarnazione oggi non ci darà mai questo. (...). Dio non ha invaso il mondo; piuttosto, l’umano è diventato il veicolo attraverso il quale il divino ha potuto essere ed è stato incontrato e conosciuto. (...).

Il crollo della storia della salvezza

Mentre le idee di Charles Darwin iniziavano a propagarsi nel mondo istruito, divenne chiaro che non era in gioco solo l’integrità della Bibbia: una minaccia di gran lunga più profonda proveniente da Darwin cominciò a essere percepita dai credenti (...). La conoscenza contemporanea e il modo principale in cui era raccontata la storia della salvezza non potevano in ultima analisi coesistere; l’una o l’altro doveva essere sbagliato e alla fine sarebbe stato costretto a morire. La battaglia era in corso e il mito cristiano primario che riguardava una creazione buona, seguita da una caduta nel peccato, che richiedeva allora un’operazione di salvataggio, affidata poi da Dio a Gesù con il suo apice sulla croce del Calvario, che ha prodotto così la pia affermazione che Gesù “è morto per i miei peccati”, tutto ciò era destinato a crollare. (...). La prima sfida che il cristianesimo tradizionale ha dovuto affrontare è il fatto che non c’è mai stata una perfezione originale da cui noi esseri umani siamo caduti. Gli studi sulla vita ci hanno messo di fronte a un processo evolutivo che non solo era reale ma anche significativamente incompiuto. Era una visione delle nostre origini che era sia in corso sia incompleta. In questo preciso momento, per esempio, si stanno ancora formando galassie e stanno nascendo varie specie di piante e di animali mentre altre si stanno estinguendo. Una creazione perfetta e completa è stata vista come un ossimoro. (...).

Circa sessantacinque milioni di anni fa i dinosauri occupavano il livello più alto della catena alimentare nel mondo. (...). Quei dinosauri, come l’Homo sapiens di oggi, non avevano motivo di credere che la loro influenza sarebbe stata messa in dubbio. Non è così, tuttavia, che funziona l’evoluzione. Nel processo evolutivo sempre turbolento, quando una porta si chiude per una forma di vita, si apre per un’altra forma di vita. In quell’antico momento del dominio dei dinosauri nella storia del nostro pianeta, è successo qualcosa di radicale, d’inaspettato e drammatico. La principale congettura scientifica di oggi è che ci sia stata una collisione tra il nostro pianeta e un meteorite gigante, forse grande quanto Marte. (...). Qualunque cosa sia successa, sappiamo che i dinosauri si sono estinti e con quell’estinzione, l’era dominata dai rettili giunse al termine. La porta era così aperta per l’ascesa dei mammiferi.

Il nostro primo antenato mammifero pare sia stato una creatura simile a un topo che abitava le praterie dell’Africa orientale. Da quel singolo antenato, i mammiferi si sono diffusi in un gran numero di direzioni. Ci furono molti tipi diversi di mammiferi, e ogni specie partecipava alla lotta per la supremazia. (...). Per milioni di anni, i rappresentanti di ognuno di questi sottoinsiemi di mammiferi combatterono tra loro e con gli altri per la supremazia fino a che alla fine il cervello superiore sviluppatosi nella linea degli ominidi li condusse al dominio del mondo animale. (...).

Nulla, tuttavia, in questo lungo processo evolutivo si riferisce alla perfezione originale rivendicata dal mito cristiano dominante. Nessuna forma di vita è oggi ciò che era in origine, e non sarà sempre com’è oggi. La vita non si ferma mai. È sempre in divenire. Nessuna parte della vita riflette uno stato di perfezione immutabile, come indicava la storia biblica della creazione. Il corollario di questa idea è che nessuna forma di vita è mai “caduta” dalla perfezione in ciò che abbiamo chiamato “peccato”. La realtà fisica conosce solo un mondo in evoluzione fatto di tentativi ed errori.

Le ramificazioni teologiche derivate da questa idea si sono rivelate scioccanti per il cristianesimo. I mattoni del mito della creazione si sgretolavano precipitosamente. Se non c’è stata nessuna perfezione originale, non ci poteva essere alcuna caduta dalla perfezione nel peccato originale. Se non c’era alcuna caduta nel peccato, non c’era alcun bisogno di un “salvatore” che ci riscattasse. Non si può essere salvati da una caduta che non è mai avvenuta, né essere “riportati” a una condizione mai posseduta. L’idea che Gesù sulla croce abbia pagato il prezzo della nostra caduta per salvarci dal peccato diventa quindi un’idea che non ha più alcun senso per nessuno. Quest’antica forma di raccontare la storia di Cristo è crollata davanti ai nostri occhi. È diventata non più credibile. (...).

Noi esseri umani non siamo stati fatti con uno speciale atto di creazione, né siamo stati creati a immagine di Dio. Come ogni altra forma di vita, abbiamo viaggiato per miliardi di anni da una singola cellula ai nostri diversi livelli di complessità, coscienza e autocoscienza. Solo molto recentemente, verso la metà del ventesimo secolo, abbiamo appreso del legame del nostro DNA con tutti gli esseri viventi. Sappiamo ora che non solo condividiamo il 99,9 percento di DNA con i grandi primati ma condividiamo anche una porzione di DNA con le vongole, i cavoli e persino il plancton del mare. La vita è un’unica espressione di un insieme in evoluzione. Non c’è stata alcuna perfezione originale seguita da una caduta nel peccato originale. C’è stata solo la lenta e graduale evoluzione della vita in un processo evolutivo. (...). Il mondo è cambiato. Il modo principale con cui abbiamo raccontato la storia del Cristo è sbagliato.

(...). Mentre le forme teologiche del passato fanno acqua da tutte le parti, dobbiamo abbandonare l’esperienza solo perché la spiegazione umana di quell’esperienza si è svuotata? La realtà della “trascendenza”, dell’“alterità” e di “Dio” dipende dalla verità della mitologia antica? Io non la penso così ma so che le nostre spiegazioni di oggi non possono iniziare nello stesso modo in cui sono iniziate le spiegazioni nel nostro passato religioso.

Gli esseri umani condividono il dono della vita con ogni essere vivente, sia animale sia vegetale. C’è qualcosa in comune a tutte le forme di vita? C’è una realtà comune che tutti questi esseri viventi condividono? Io penso che ci sia. Gli studi rivelano che ogni essere vivente, tra cui gli esseri umani, è orientato alla sopravvivenza. (...). La sopravvivenza guida il processo evolutivo. Si trova nella vita vegetale e in tutti gli animali. (...).

Gli alberi di mangrovie, piante di acqua dolce, ma che ora vivono anche in un fiume soggetto a marea che scorre verso il Mar dei Coralli nel North Queensland, in Australia, hanno sviluppato, a scopo di sopravvivenza, un elaborato sistema di radici che filtra la maggior parte del sale contenuto nell’acqua del fiume prima che possa uccidere l’albero. Quando una quantità eccessiva di sale minacciava comunque la vita di questi alberi, essi in qualche forma hanno ideato un modo per portare il sale verso particolari foglie, che poi diventavano color arancione e cadevano dai rami. Queste furono chiamate “foglie sacrificali”. Morivano perché l’albero potesse vivere. Gli alberi di mangrovie non sembrano in grado di pianificare questo mezzo di adattamento. Sono quindi guidati da un processo naturale che è orientato alla sopravvivenza.

I parrocchetti che vivono nella giungla amazzonica ricavano il nutrimento vitale dai semi di frutti che crescono nella giungla. Il problema è che quei semi sono tossici, così il cibo necessario alla loro sopravvivenza può anche ucciderli. Questi parrocchetti, tuttavia, hanno imparato ad andare quotidianamente in certi luoghi della foresta, chiamati “lecca argilla”, dove il suolo è ricco di anti-tossine. Qui ingeriscono la terra argillosa, ricavandone la loro dose di anti-tossine, un processo che consente loro di mangiare il loro cibo tossico e comunque sopravvivere.

Sempre nelle giungle dell’Amazzonia, le vespe e le formiche vivono in una relazione che permette la reciproca sopravvivenza. Le formiche costruiscono i loro nidi sui rami più bassi degli alberi, mentre le vespe li costruiscono sopra quelli delle formiche. Queste posizioni rendono possibile la sopravvivenza per entrambe. Il nemico primario delle vespe è un altro tipo di formica, conosciuta come formica soldato, che può scalare gli alberi fino ai nidi delle vespe per divorarne le larve, uccidendo così il nido. Le vespe sono indifese contro queste formiche soldato perché hanno solo i loro pungiglioni per difendersi. Le leggi della natura, tuttavia, fanno sì che le formiche soldato non oltrepassino il nido delle normali formiche sull’albero, dunque se le vespe costruiscono sopra di esse, sono al sicuro.

Come accennato, anche le normali formiche traggono vantaggio da questo accordo. Il nemico primario di queste formiche è il formichiere, un piccolo animale che sale con facilità sugli alberi per mangiare un intero nido di formiche. Il formichiere, tuttavia, è scacciato dalle punture delle vespe. Le formiche assicurano la sopravvivenza delle vespe, e le vespe fanno lo stesso per le formiche. La natura è determinata alla sopravvivenza. Con questo intendo dire che le leggi della natura proteggono le varie specie. (...).

La nostra stessa biologia ha sviluppato negli esseri umani autocoscienti una mentalità di sopravvivenza che è il nostro principale interesse. Questo desiderio di sopravvivenza comporta inevitabilmente che siamo egocentrici. (...). L’egocentrismo è radicato non nella nostra moralità, come pensavamo un tempo, ma nella nostra biologia. (...). Questa è l’esperienza umana universale che i nostri antenati un tempo hanno chiamato “peccato originale”. L’esperienza è stata reale; l’interpretazione era falsa. Non siamo “peccatori caduti” ma siamo piuttosto esseri umani incompleti. La nostra vecchia teologia è morta. La porta inizia ad aprirsi su un modo nuovo di dire l’antico racconto.  

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