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"Adista" vota No

Tratto da: Adista Notizie n° 31 del 12/09/2020

Adista è una rivista militante. Non ha mai dato indicazioni di voto per una lista o un partito, ma si è sempre schierata per il voto a sinistra. Siamo e rappresentiamo un’area politico-culturale molto variegata e composita, anche al nostro interno. Che esercita una ampia libertà critica, ma che si riconosce in alcuni valori fondamentali.

Tra questi valori c’è indubbiamente la Costituzione. E per questa ragione sui referendum costituzionali la testata si è sempre schierata in maniera molto netta. Riteniamo infatti che la Costituzione stabilisca quella cornice di valori, diritti, princìpi, che tutela e garantisce tutti e che sia quindi un istituto da promuovere e proteggere. Si può modificare, certo, ma con molta attenzione e ponderazione.

E dunque Adista intende manifestare in maniera convinta la propria opzione per il “No” alla riduzione del numero dei parlamentari, su cui si voterà il prossimo 20 e 21 settembre. Sgombriamo subito il campo dal primo e a nostro avviso specioso argomento di chi ritiene necessaria questa riforma perché “taglia” i costi della politica. L’unità di misura dei caffé per giorno/anno, su cui da anni si misura il beneficio di ogni spesa o taglio, dice che la riforma otterrà il solo effetto di far risparmiare meno di un caffé all’anno per cittadino (in termini assoluti, circa 57 milioni l’anno, lo 0,007% della spesa pubblica italiana). Un po’ poco per una misura che era stata annunciata come epocale. Ma pure se il risparmio fosse molto più consistente non cambierebbe nulla: riteniamo che, se su ciò che è essenziale – salute, alimentazione, istruzione, ambiente, ecc. – il risparmio di denaro non è da considerare un valore, tanto meno lo è quando l’ambito attiene alla democrazia e alla rappresentanza popolare, specie se si tratta del Parlamento, che di tale rappresentanza è la sede fondamentale.

Inoltre, in assenza di un ridisegno complessivo dei collegi elettorali, molti territori si troverebbero a essere sottorappresentati rispetto ad altri.

Il fatto poi che il ceto politico si sia da diversi decenni rivelato molto al di sotto dei compiti cui è stato chiamato; che sia stato selezionato dalle segreterie di partito e dai gruppi di potere; che non di rado sia stato mosso da interessi meramente personali, non sposta affatto i termini del discorso. Anzi, ci fa propendere maggiormente verso il “No”, perché rende ancora più evidente come questa riforma costituzionale sia stata ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei parlamentari. Finendo, paradossalmente, con il punire non i “rappresentanti” (che continueranno a essere selezionati con gli stessi criteri e opereranno secondo i medesimi fini), ma i “rappresentati”, ossia noi, e soprattutto l’istituzione rappresentativa, cioè il Parlamento. Perché la qualità di chi ci rappresenta poco o nulla ha a che fare con il ruolo e la funzione dell’organo parlamentare. Ed è davvero miope sperare che con circa 350 (!) parlamentari in meno il livello qualitativo della rappresentanza aumenterebbe. O che il Parlamento diverrebbe più efficiente. Inoltre, in assenza di una legge elettorale fortemente proporzionale – che è illusorio attendersi se non nella variante cosiddetta “tedesca”, ossia con un cospicuo sbarramento, al 4 o 5% dei consensi – se prevalesse il “Sì” dal 22 settembre le minoranze culturali e politiche di questo Paese farebbero grande fatica ad avere una minima rappresentanza parlamentare. Fino al 1994 (prime elezioni con il sistema maggioritario) il Parlamento è stato lo specchio fedele dell’orientamento del Paese, ma da allora ciò non avviene più, in nome – di volta in volta – di slogan come bipolarismo, governabilità, semplificazione, efficienza, ecc. Ora però la situazione rischia di aggravarsi in maniera irrimediabile. La prospettiva che una forza minoritaria non ottenga nemmeno un “diritto di tribuna” in Parlamento ci preoccupa, perché la pluralità e la diversità delle opzioni e delle visioni sono sempre state un valore nel dibattito pubblico e in quello parlamentare in particolare. E hanno reso possibile il miglioramento della qualità delle leggi approvate. La storia della sinistra cristiana e della sua rappresentanza parlamentare (nella Democrazia Cristiana, nella Sinistra Indipendente, nei partiti che provenivano dalle vicende della Nuova Sinistra e dei gruppi extraparlamentari, ecc.) lo dimostra.

Votiamo “No” perché ci stanno a cuore le ragioni del dibattito plurale, delle minoranze, dei pensieri divergenti, delle opposizioni, dei territori e delle periferie. E ci sta a cuore la democrazia parlamentare, fondamentale conquista della Resistenza al fascismo.  

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