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"Un Ponte Per": in Siria situazione pandemica esplosiva

Drammatica la situazione della pandemia da Covid-19 in Siria. Ne riferisce l’associazione “Un Ponte per...” in un comunicato (17 settembre) secondo la quale «aumentano i casi positivi al Covid-19 nel nord est della Siria, dove non c’è certezza sul numero di persone contagiate e dove le strutture sanitarie sono troppo vulnerabili per fronteggiare un picco pandemico ancora atteso».

Entrando più nel dettaglio, afferma che, a oggi, «i casi positivi di Covid-19 nel nord est della Siria confermati sarebbero 3.576, su una popolazione di 3 milioni di persone. Ma i dati sarebbero fortemente sottostimati: pochi infatti sono i test effettuati, e poco affidabili. Centinaia sarebbero i decessi correlati al Covid-19 non confermati».

«Sono i numeri a dare un quadro esaustivo della situazione: se in Italia al 12 settembre la percentuale dei casi positivi riscontrati sul totale di tamponi effettuati era dell’1,6%, nel nord est della Siria ha toccato quota 34%. Al netto dei pochi tamponi effettuati, questo significa che potrebbero essere moltissime le persone contagiate non identificate, che stanno involontariamente contribuendo alla diffusione del virus». Tutto ciò a fronte di misure di protezione insufficienti, tanto che «anche medici, operatori e operatrici sanitarie stanno iniziando ad ammalarsi, rendendo più alto il rischio di contagio, e più difficile il funzionamento di cliniche e ospedali».

Nei campi profughi, poi, la situazione è ancora più critica che nelle città, perché essi oggi accolgono centinaia di migliaia di persone: «il rischio di un’emergenza incontenibile è ogni giorno più alto». «Qui l’accesso all’acqua corrente non è garantito  – afferma l’associazione – e assicurare misure di distanziamento sociale è quasi impossibile. Nei campi di Al Hol e Areesha, dove siamo presenti da anni con le nostre cliniche, sono stati imposti alcuni giorni di lockdown, particolarmente difficili da sostenere però quando le case sono tende».

«Un’emergenza – spiega ancora “Un Ponte Per” – che viene fronteggiata con determinazione e coraggio dal personale sanitario e dall’Amministrazione autonoma dell’area, ma con un sistema sanitario estremamente vulnerabile: 9 anni di conflitto hanno ridotto in macerie la gran parte del paese, e l’ultima offensiva turca dell’ottobre 2019 ha ulteriormente indebolito la rete di cliniche e ospedali che stavamo gradualmente ricostruendo».

I dispositivi sanitari sono assolutamente carenti, quando non assenti: «Basti pensare che ad aprile - racconta l'associazione - quando siamo riusciti/e a rendere operativo il primo reparto Covid-19 di terapia semi-intensiva nell’ospedale di Hassakeh insieme alla Mezzaluna Rossa Curda, nostro storico partner nell’area, in tutto il nord est della Siria non era disponibile uno solo respiratore, un solo letto in rianimazione».

Per sopperire a così gravi carenze, “Un Ponte Per” sta lavornado per «allestire altri 3 reparti Covid-19 negli ospedali di Derek, Membij e Tabqa, le principali città del nord est della Siria, dove non sono presenti altre organizzazioni umanitarie e dove i medici si attendono la più alta percentuale di aumento dei casi nei prossimi mesi». I reparti saranno «operativi a fine settembre, con un totale di 40 posti letto di terapia intensiva e 20 di sub-intensiva, per il trattamento di casi moderati e gravi di infezione da Covid-19. A questo “Un Ponte Per” affiancherà sia «la formazione del personale sanitario» medico e infermieristico», mentre da mesi porta avanti nei campi profughi «intense campagne di sensibilizzazione» finalizzate alla prevenzione.

(Per una donazione a “Un Ponte Per” vedere qui)

*Foto di kalhh da Pixabay, immagine originale e licenza

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