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«In nome dei soldi». L'Italia, l'Egitto, i diritti e le strategie. Un editoriale di

«In nome dei soldi». L'Italia, l'Egitto, i diritti e le strategie. Un editoriale di "Nigrizia"

È una ferma e puntuale denuncia dei rapporti diplomatici e commerciali tra Italia ed Egitto, alla luce dell’omicidio Regeni, l’editoriale di gennaio 2021 di Nigrizia, il periodico dei missionari comboniani.

«La Repubblica italiana fondata sugli affari svende i suoi giovani sul libero mercato delle armi, del petrolio e del gas». Scrive Filippo Ivardi Ganapini, autore dell’editoriale, che la vicenda che ha portato all’uccisione di Giulio Regeni è «vergognosa». Vergognosi i fatti («pedinato, arrestato, torturato al Cairo e ucciso nel febbraio del 2016 dai servizi segreti egiziani»). Vergognoso il seguito, con le «tante vane promesse di ricerca della verità da parte dei politici italiani che, alla prova dei fatti, si sono inginocchiati davanti all’odore degli affari lasciando sola la famiglia Regeni, il lavoro della magistratura italiana e l’impegno della società civile».

«In nome dei soldi», prosegue l’autore, i nostri politici strizzano l’occhio ad al-Sisi, «che viola ripetutamente i diritti umani, silenzia ogni dissenso interno e tiene in prigione oltre 60mila prigionieri politici». Tutto questo sarebbe sufficiente, secondo la normativa italiana ed europea, per interrompere il flusso di armi verso il Paese nordafricano. Eppure, dice ancora l’autore, «nonostante questi crimini, nonostante i boicottaggi dei magistrati egiziani nelle indagini su Regeni e la detenzione prolungata del giovane studente all’Università di Bologna, Patrick Zaki, non si è arrestata la “commessa del secolo” (al momento 1,2 miliardi di euro, in futuro probabilmente tra i 9 e gli 11 miliardi di euro) per la vendita di sistemi militari italiani all’Egitto, come denuncia la Campagna di pressione alle Banche armate».

Nonostante tutto l’Egitto di al-Sisi resta il principale cliente italiano di armi: «Pur di vendere non guardiamo in faccia a nessuno!». Con le armi italiane, l’Egitto reprime la contestazione interna, difende i giacimenti di gas in mare dalla minaccia turca, fa la parte del leone con l’Etiopia nella contesa sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam (la mega-diga sul Nilo Azzurro voluta dal premier etiope Abiy Ahmend Ali che ridurrebbe il flusso di acqua in Egitto).

Ma le questioni diplomatiche e geostrategiche non finiscono qui: «L’alleanza italo-egiziana sul versante economico sembra sia stata determinante anche nella liberazione in Libia dei 18 pescatori di Marzara del Vallo, nel dicembre scorso», spiega l’editoriale. La questione dei pescatori italiani, l’amicizia con l’Egitto e il sostegno di al-Sisi ad Haftar, avrebbero «rilanciato, sul piano internazionale», il ruolo politico del generale, «in affanno da mesi». «In contropartita, sottobanco, al-Sisi porta a casa un allentamento della pressione italiana su Regeni e l’Italia la garanzia per le aziende petrolifere italiane di continuare ad avere un pezzo della torta nel giacimento di Abu Attifel, nel cuore della Cirenaica».

«L’odore degli affari e i traffici che li alimentano non sentono il grido della giustizia, della dignità delle persone e dei diritti», accusa Nigrizia. «Vergognati Italia! La richiesta della famiglia Regeni di ritirare l’ambasciatore dal Cairo è finita nel vuoto della politica schiava della finanza». Se a questo poi si aggiunge il riconoscimento della legione d’onore ad al-Sisi da parte della Francia, ecco che «Venduto Regeni, sono affondate l’Italia e l’Europa del diritto».

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