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Suore oggi, tutta un’altra storia. L’ultimo numero di “Donna Chiesa Mondo”

Suore oggi, tutta un’altra storia. L’ultimo numero di “Donna Chiesa Mondo”

“Suore, oggi non è ieri” è il titolo dell’ultimo numero (2/1/2121) del magazine Donna Chiesa Mondo edito mensilmente dall’Osservatore Romano.

Nella presentazione del contenuto (“La ricchezza della Chiesa”), il mensile precisa: «Non racconteremo in questo numero della rivista chi sono le suore oggi. Non potremmo farlo. Le religiose costituiscono i tre quarti della Chiesa, ne sono la struttura portante, l’anima. Sono sparse nei cinque continenti, svolgono le più svariate funzioni. L’obiettivo di questo numero è più limitato ma importante. Vogliamo segnalare il distacco, la contraddizione fra la realtà delle religiose e il modo in cui ancora vengono percepite in gran parte del mondo laico e della Chiesa. Fra un immaginario, costruito dalla letteratura, dalla storia, dal cinema e dalla tv», tipo la «religiosa subalterna ed emarginata», «azzittita dalla gerarchia ecclesiastica, esclusa dai centri della vita economica sociale e culturale», e «il ruolo concreto che esse svolgono nella società. Fra modernità della loro presenza e l’arretratezza che viene loro ancora attribuita».

È bene fare luce su questo “nuovo modo” delle religiose, perché, sostiene DCM, «abbiamo l’impressione che ancora, anche nelle gerarchie ecclesiastiche, c’è chi non si sia accorto del cambiamento. E chi ne abbia timore. Chi non intenda accogliere la nuova ricchezza che viene dal mondo delle suore e delle monache. Chi preferisca pensare a loro con vecchi schemi. La paura delle donne si è manifestata nella storia e nella storia della Chiesa in modi diversi. Oggi si manifesta chiudendo gli occhi di fronte a un cambiamento che già c’è, di cui la Chiesa si potrebbe arricchire. Per il bene di tutti. Non solo delle donne».

Le donne, approfondisce questo numero di DCM nell’articolo «Le disturbanti teologie delle donne», «sanno bene che l’ingiustizia non ha pudore e che spesso si traveste con gli abiti della parità. Continuamente ci ricordano che non basterà discutere di giustizia sociale o di fratellanza per trasformare il mondo in un luogo effettivamente ospitale per chiunque. (…). In ascolto di queste donne si impara l’urgenza di interrogare gli immaginari della differenza sessuale, perché in essi si nasconde spesso qualcosa di ingiusto».

«E come mai – chiede il mensile – in una versione ecclesiologica centrata sulla dignità battesimale, i legami tra i sessi risultano squilibrati nei tanti modi che conosciamo, oscillanti tra la demonizzazione e l’idealizzazione del femminile senza soluzione di continuità?». Per rispondere bisogna «immergersi nel regno umbratile degli immaginari culturali in cui viene espressa la differenza sessuale». E «in questa complessità ci può orientare una sapienza femminile, riconoscibile nel pensiero filosofico della differenza (Diotima) e nelle teologie di genere del Coordinamento delle Teologhe Italiane (Cti)».

Da questi studi, emerge che la «trama patriarcale che interrompe i legami giusti tra donne e uomini – giusti sul piano affettivo, interpretativo, giuridico, simbolico, pratico – è piena di quelle contraddizioni che l’inconscio si può permettere». È in esso, sottolinea l’articolo, che si instaura «un immaginario patriarcale che esalta e disprezza il femminile al contempo. La donna così disegnata è paradossalmente troppo angelica e troppo demoniaca per essere ascoltata in quello che ha da dire o per essere lasciata agire».

Un «intreccio deleterio», questo, «perché neutralizza tutto ciò che mette in questione il senso unitario della realtà. Perché, si sa, è questo che fanno le donne: esprimono disagi e desideri che smascherano la parzialità delle tradizioni che non le hanno previste e che non le vogliono ancora incontrare e, in questo modo, aprono il discorso a molte altre differenze».

Ecco dunque, deduce in conclusione l’articolo, che «le teologie delle donne sono disturbanti per la richiesta che portano con sé: chiedono di salvare il particolare. Parlano di corpi, di sentimenti, di oppressioni, di vita e di storie, forse perché sono meno preoccupate di ciò che va finendo e molto più attratte da ciò che va nascendo. Così si incamminano per i sentieri dei processi pasquali che attraversano l’esistenza. In questo senso, non si tratta di teologie progressiste: non è il nuovo ad attrarre, ma la fioritura dell’essere».

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