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Per il rotto della cuffia: tempi stretti per Biden

Per il rotto della cuffia: tempi stretti per Biden

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 30/01/2021

40526 PALM DESERT-ADISTA. (dal corrispondente) Il 19 gennaio, dopo due ore d’auto, siamo arrivati in un Comune il cui nome mi era ignoto, dove, nella farmacia di una grande catena di supermercati, abbiamo ricevuto la prima dose del vaccino anti-Covid. Le prenotazioni erano andate a ruba e non ero riuscito a prenotare in un posto più vicino. Il farmacista ci ha detto che le scorte stavano finendo e nessuno sapeva quando sarebbero arrivate altre dosi.

Il 20 gennaio anche Joe Biden ce l’ha fatta a diventare il 46esimo presidente degli Stati Uniti. In una Washington in stato d’assedio, con 25mila soldati della Guardia Nazionale a rinforzare le varie polizie locali. Il paventato intervento di milizie armate pro-Trump non c’è stato, come non c’era stato il 17, quando i Campidogli di ogni Stato erano difesi dai militari, con tanto di fili spinati in certi casi. Cose che qui nessuno aveva mai visto prima e che forse hanno funzionato da deterrente. Come deve avere scoraggiato gli irriducibili il fatto che il capo messianico sembra avere buttato la spugna e ha lasciato la scena, dopo una serie di interventi finali per piazzare propri fedelissimi, con contratti difficili da rescindere, per esempio nei servizi segreti militari.

Quando la religione è politica

La dinamica dell’insediamento di Biden era studiatissima. In mattinata abbiamo avuto un passaggio del quasi-presidente in chiesa, con i media che riproponevano la triste storia del figlio morto di tumore, dell’incidente d’auto, della sua fede profonda. Lungi da me criticare le sofferenze umane o non apprezzare l’empatia; la riflessione politica, tuttavia, è che in questo Paese lo scontro e il confronto di idee viene vissuto in termini religiosi e che, se si vuole fare qualcosa, si deve dare a quel qualcosa una base religiosa. Come con la battaglia per i diritti civili. Biden, per andare avanti, deve conquistare l’appoggio delle forze religiose statunitensi, strappando il consenso raccolto da Trump. Sarà un compito arduo recuperare soprattutto l’ala conservatrice evangelica come quella cattolica, sia perché Biden ha poco di messianico, sia per i macigni sulla sua strada rappresentati dalle normative a favore dell’aborto e del matrimonio fra omosessuali. E i fondamentalisti non si convertiranno.

Il 17 ho guardato l’intervista a un giovane armato che stazionava davanti al Campidoglio nel Michigan. Tra i vari orpelli cuciti sulla tuta mimetica mi ha colpito uno scudo bianco con una croce rossa e la scritta in caratteri goticheggianti Deus vult. Era l’urlo di battaglia dei primi crociati ed è uno dei simboli di un medioevo presunto cristiano fatti propri oggi dai gruppi di suprematisti bianchi, in chiave anti-islamica e anti-afroamericana. Che può fare Biden con questi?

La Chiesa visitata da Biden era la cattedrale cattolica di San Matteo Apostolo, sede arcivescovile di Washington, guidata dal neocardinale Wilton Gregory, il primo cardinale afroamericano della storia. Dopo la cerimonia religiosa, la cerimonia civile pubblica si è svolta come da copione. L’italoamericana Lady Gaga, che si era esposta a viso aperto contro Trump, ha cantato l’inno nazionale e la latinoamericana Jennifer Lopez, pure lei attiva contro Trump, ha cantato “This Land Is Your Land” e “America the Beautiful”, inserendo anche una frase in spagnolo. Il cantante country Garth Brooks, bianco e col suo cappello da cow boy sulla testa, ha eseguito “Amazing Grace” (cavallo di battaglia di cantanti neri), subito seguito da una giovane nera, Amanda Gorman, poetessa e attivista californiana, proclamata nel 2017 prima National Youth Poet Laureate, che ha recitato un’intensa poesia politica, “The Hill We Climb” (un paio di anni fa, in un’intervista, aveva dichiarato che nel 2036 si candiderà alla presidenza). La cerimonia è stata chiusa da una preghiera-benedizione di Silvester Beaman, definito “vecchio amico” di Biden, pastore nero della Chiesa metodista episcopaliana africana “Bethel”, Chiesa storica (fondata nel 1846) di Wilmington, Delaware, oggetto recente di un video diffamatorio da parte della campagna elettorale di Trump.

Esortazione all’unità

La precisa distribuzione delle funzioni simboliche dei vari interventi, calibrata col bilancino, così come nei giorni precedenti era stata calibrata la composizione del gabinetto di ministri e collaboratori, i colori delle cui epidermidi riflettono la situazione etnica statunitense, pare rivolta a riflettere per immagini l’esortazione all’unità che caratterizza questa primissima fase della presidenza Biden. E, insieme, a consolidare, convincere e possibilmente espandere la base elettorale democratica. Biden deve infatti poter contare su tutti gli 81 milioni di elettori che hanno votato per lui, magari turandosi il naso o anche solo per liberarsi di Trump. Il suo discorso, quindi, per quanto ben costruito e con una solida retorica presidenziale, può anche essere secondario. Il tentativo chiaro e forte è stato quello di infondere fiducia nonostante i tempi e dopo la notte della presidenza Trump. E Biden ha citato il Salmo 30, quello che assicura che la collera del Signore dura un istante: «Alla sera, le lacrime passano la notte, ma al mattino, ecco la gioia» (Sal 30,5b). I 4 anni passati, quindi, sono da dimenticare. Osservo, tuttavia, che in chiusura siamo ritornati al “God Bless America”, bypassando il tentativo di Obama di proporre “God Bless the United States of America”. Nel sentito popolare, gli Stati Uniti sono l’America, e su questa nota patriottica e unificante si ricomincia a (ri)costruire il futuro.

Cancellare Trump

Come promesso, Biden si è messo subito al lavoro, firmando 17 decreti ministeriali che dovrebbero incominciare a smantellare il mefistofelico sistema istaurato da Trump. Priorità forte ai temi ecologici: fra l’altro, gli Usa rientrano negli accordi di Parigi ed è cancellata l’estensione del Keystone XL pipeline, l’oleodotto che avrebbe dovuto portare negli States il petrolio sabbioso e sporco del Canada. Ma anche decisioni sociali forti: fermata la costruzione del muro sul confine messicano, abolito il “Muslim ban” che rendeva quasi impossibile l’arrivo negli Usa di cittadini di certi Paesi islamici, ripresa e allargata l’accoglienza di immigrati e ricostituzione del sistema che tollera la presenza dei loro figli, con un progetto che dovrebbe garantire l’acquisizione della cittadinanza a milioni di lavoratori in massima parte latinoamericani.

Soprattutto queste ultime decisioni spaventeranno proprio quei 71 milioni di elettori che hanno sostenuto Trump. La maggior parte dei quali ancora ritiene che Trump abbia vinto le ultime elezioni e che il risultato ufficiale sia truccato. Nei giorni scorsi i media di area liberal dicevano trionfalmente che la popolarità di Trump, dopo l’assalto al Parlamento, era scesa a poco sotto il 30% degli intervistati. Grosso modo il peso percentuale dei suoi elettori. Io trovo la cosa pericolosa: Lenin diceva che con il 5% della popolazione si può vincere una rivoluzione e lui di rivoluzioni se ne intendeva. Un 30% di abitanti spaventati dai fantasmi di nemici reali o immaginari, è una percentuale pericolosa e Biden dovrà lavorare sodo e subito, con provvedimenti decisi per aiutare soprattutto disoccupati e sottoccupati, spesso bianchi precipitati nelle fasce di reddito più basse; gente socialmente disperata, che ha appoggiato Trump e rimpolpato le varie milizie già prima delle elezioni e che oggi va a costituire nuovi gruppi di difesa armati che sembra si stiano formando soprattutto nei centri rurali sempre più colpiti dalla crisi.

Per fortuna sembra che Trump, l’abbia smessa con le esortazioni alla ribellione, anche se circolano voci che stia preprando un ritorno il 4 marzo, antica data di insediamento dei presidenti prima del 1933. Assisteremo a un nuovo Last Stand, che riecheggia l’ultima difesa di Custer nella battaglia di Little Bighorn, da subito (1876) mitizzata a simbolo dell’eroismo dei bianchi nella lotta della civiltà contro la barbarie?

Più realistica è l’ipotesi che Trump stia per fondare un proprio partito, il “Patriot Party”, che riecheggia nel nome sia un movimento socialista ora defunto, sia il “Tea Party Patriots”, espressione della destra repubblicana. Penso che questa sarebbe una benedizione perché per un verso permetterebbe al Partito Repubblicano di ricostruirsi un’ossatura morale grazie allo sganciamento delle frange estreme e per altro renderebbe meno pericolosa l’esistenza del neo-costituito “People’s Party”, che dovrebbe raccogliere le energie e i voti della sinistra democratica. In un sistema bi-partitico, la formazione di un nuovo movimento che toglie voti a un partito, causa quasi necessariamente la vittoria elettorale dell’altro partito. E, quindi, l’eventuale successo del People’s Party sarebbe destinato a portare a una vittoria repubblicana nel 2024, Se, però, si crea sull’altro fronte una spaccatura opposta e parallela, questo spezzerebbe finalmente la diarchia repubblicano-democratica e porterebbe forse un po’ di ossigeno a una democrazia che fatica a respirare.

E comunque dovrà agire in fretta, Biden, anche per arginare la pandemia e superare l’impasse attuale. Oggi abbiamo avuto conferma che qui, in una delle contee più colpite della California, le grandi catene private di farmacie hanno davvero sospeso le vaccinazioni e stanno cancellando le prenotazioni, mentre nessuno sa quando, dove o come saranno distribuite le seconde dosi. Lo sconcerto della disorganizzazione colpisce proprio negli Usa, dove hanno trionfato studi e applicazioni di programmazione, lineare e dinamica, a partire almeno dal secondo dopoguerra.

A noi le nuove dosi servirebbero fra 27 giorni. Speriamo in Biden? 

* Il futuro presidente degli Usa Joe Biden in una foto [ritagliata del 2019] di Gage Skidmore tratta da wikimedia commons, licenza Creative Commons

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