Nessun articolo nel carrello

PRIMO PIANO. Chi uccide nell’est della Repubblica congolese

PRIMO PIANO. Chi uccide nell’est della Repubblica congolese

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 10 del 13/03/2021

Guardando la bara dell’ambasciatore Luca Attanasio passare nel silenzio dei suoi concittadini per l’ultimo saluto, pensando a Vittorio Iacovacci, a Mustafà Milambo, a quei figli che cresceranno senza padre, a quei sogni troncati, ho pensato che onorarli davvero è cercare la verità. E sarà una verità che non riguarderà solo loro, ma quel fiume di sangue che da anni scorre nel Nord-Kivu e in Ituri in particolare, nell’estremo est della Repubblica Democratica del Congo.

Varie voci sono circolate sugli autori dell’attacco. Un’autorità locale lo ha attribuito quasi subito alle FDLR (Forze democratiche di Liberazione del Ruanda), esuli Hutu armati. Essi hanno prontamente smentito dichiarando di trovarsi lontani... ...dal luogo dell’accaduto e accusando piuttosto l’esercito congolese e quello ruandese. Qualcuno ha parlato di un complotto organizzato da un membro delle FRD (l’esercito ruandese) con dettagli di nomi e di luoghi. Altri hanno puntato il dito contro il terrorismo (Comunicato del CEPADHO del 23.2.2021), in genere attribuito alle ADF, il gruppo d’origine ugandese cui vengono addossati molti dei massacri nella zona di Beni e in Ituri.

Quella delle FDLR è un’ipotesi facile e comprensibile, scrive il sito Beni- Lubero (https://benilubero.com/lassassinat-de-lambassadeur-de-litalie-en-rdcongo-a-goma-qui-la-tue/), «perché gli Hutu ruandesi e le loro organizzazioni politico-ribelli si sono resi padroni dello spazio del parco nazionale di Virunga», confinante col Ruanda, «iniziando in questa zona la cultura di rapina, saccheggio, sequestri di persona sconosciuta ai banditi autoctoni». Oggi però «a fianco delle FDLR, gli attacchi armati sulle strade del parco di Virunga e altrove sono pure l’opera di banditi locali, come anche di elementi indisciplinati provenienti dalle FARDC» (esercito congolese; la stessa gestione del Parco è stata tempo fa messa sotto accusa dalla società civile:).

L’articolista segnala che «l’Ambasciatore Luca Attanasio è stato attaccato in una zona che si trova sotto la sorveglianza permanente dei servizi di sicurezza ruandesi», zona che «si trova sull’asse conosciuto come itinerario principale dell’infiltrazione di truppe ruandesi», denunciata dalla società civile di Nyiragongo all’inizio di quest’anno.

Al di là dell’identificazione degli autori diretti, ancora da chiarire, diversi dibattiti e approfondimenti in questi giorni hanno riportato alla nostra attenzione l’economia di rapina che impera in quelle zone senza curarsi di seminare morte: avidità di minerali, di legno, di petrolio, d terre... Attori internazionali, Paesi vicini, complici locali: un mix che crea un sistema mafioso.

Si vorrebbero risposte semplici, ma in realtà sono complesse e coinvolgono tutto un sistema di rapina segnato anche dall’espansionismo in particolare del Ruanda: «Il regime di Kigali è pronto a tutto, se può trarne la legittimazione per il ritorno ufficiale delle sue truppe nella Repubblica Democratica del Congo, da cui continua a proclamare dinanzi al mondo l'incapacità di autogestirsi nel senso di promuovere la pace e lo sviluppo nella sotto-regione».

Nel 2017, a quattro anni dai primi massacri a Beni e dintorni, il “Groupe d’Étude sur le Congo” (GEC) produsse un’analisi (cfr. http://congoresearchgroup.org/newcrg-investigative-report-mass-killingsin-beni-territory/?lang=fr; cfr. Congo Attualità n. 402, http://paceperilcongo.it/fr), arrivando ad alcune conclusioni. Esse parlano di implicazioni di certi ufficiali militari e di politici congolesi, ma anche di oppositori, per affermare i loro interessi politici, economici e militari. Il GEC denuncia l’agire delle ADF e anche di una rete di origine ruandese. Segnalano la strategia della confusione e dissimulazione sistematiche: «Per dissimulare la nostra identità, abbiamo adottato il metodo delle ADF», ha dichiarato un partecipante ai massacri.

Sembra che le autorità congolesi abbiano frettolosamente messo in carcere preventivo i congolesi sopravvissuti all’attacco… Ci sarà una reale volontà di arrivare alla verità, per questi tre morti e per tutti gli altri? E di intervenire efficacemente? E che dire della missione Onu in Congo, la Monusco, costosa, numerosa e incapace di proteggere la popolazione?

Nel settembre scorso, l’abbé Aurelien Rukwata, direttore della Commissione diocesana di Giustizia e Pace di Beni, in un’intervista, ricordava al presidente della Repubblica che all’inizio della sua presidenza nel 2019 aveva promesso la pace entro tre mesi: eppure la gente continua a seppellire gli uccisi, uomini, donne, bambini. L’abbé Rukwata rilevava alcune sfide maggiori nelle province dell’est: restaurare l’autorità dello Stato, quasi assente; far funzionare la giustizia; affrontare il problema dei gruppi armati (se ne segnalavano 132 nell’est a fine 2017) e quello della complicità locale.

È urgente che tutte le forze religiose, civili, educative di ogni genere presenti sul terreno si coalizzino per fare del rispetto della vita umana e della compassione il loro messaggio e impegno comune. Che l’Italia non manchi a fianco delle autorità congolesi per giungere a una verità che non si limiti agli esecutori e che apra uno spiraglio anche per tutta la popolazione di queste zone che ha troppo sofferto.

C’è una storia recente della RDCongo che l’ONU ha prodotto dopo sei mesi d’indagine; essa riguarda gli anni 1993-2003 e si chiama Rapporto Mapping. Da dieci anni giace nel cassetto. Invano finora tanti, congolesi e non, hanno chiesto l’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale al riguardo. L’Europa non l’ha chiesto con abbastanza forza. Milioni di morti chiedono giustizia. Approfondirlo, aiuterebbe a capire le situazioni odierne. Intanto, all’indomani dell’attacco al convoglio dell’Ambasciatore, il 23- 24 febbraio, più a nord, nei territori di Beni (Nord-Kivu) e Irumu (Ituri), in tre attacchi sono stati uccisi almeno ventitré civili, e, pochi giorni prima, altri cinque. Nel fine settimana, altri nove uccisi (Cfr. Comunicati del CEPADHO del 25 febbraio e del 1° marzo 2021). Fino a quando?

Riziki Mapendo  è esperta di questioni congolesi

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.