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Libro sull’Opus Dei. Un romanzo-verità sempre attuale

Libro sull’Opus Dei. Un romanzo-verità sempre attuale

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 42 del 27/11/2021

Durante la dittatura franchista in Spagna – come in tante altre dittature di destra – per togliere agli oppositori “rivoluzionari” il possibile ricambio generazionale si ricorreva a vari espedienti. Tra questi la sottrazione di neonati ai genitori biologici che venivano dati in adozione a famiglie “sicure” dal punto di vista della fede politica e dell’ortodossia cattolica: come ad esempio le famiglie vicine all’Opus Dei.

Da queste vicende storiche trae ispirazione lo “strano” testo I gemelli rubati e l’Opus Dei (Ducale, Milano 2021) di Cesare Bianco. Perché “strano”? La trama si presenta come invenzione letteraria, ma l’ordito è fitto di documenti storici, di cui in bibliografia si citano puntualmente le fonti. È dunque, inscindibilmente, un romanzo e un articolato cahier de doléances sulle vicende interne di tanti movimenti cattolici contemporanei. Questa duplicità di registro risulta, insieme, un vantaggio e un difetto: un vantaggio perché il genere narrativo attrae il lettore più di quanto avvenga, abitualmente, ai saggi monografici; un difetto perché può indurre a supporre che – come recita anche la dicitura sul retro del frontespizio – «ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale» (dicitura stampata o per distrazione o per evitare fastidi giudiziari da parte delle potenti organizzazioni ecclesiali citate, Opus Dei in primis).

Non rubo al lettore il gusto di seguire, passo dopo passo, la trama romanzesca, raccontata in maniera piana e accessibile, senza pretese di originalità stilistica.

L’aspetto più interessante, comunque, mi pare sia nei contenuti, attinti da libri scritti o autobiograficamente da membri dell’Opus Dei fuggiti dalla gabbia dell’istituzione (a partire da Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei di Maria del Carmen Tapia, pubblicato in Italia da Baldini & Castoldi) o storiograficamente da studiosi esterni (come Opus Dei segreta di Ferruccio Pinotti, edito dalla Rizzoli). Il quadro che emerge non è, dunque, del tutto inedito, ma non per questo meno sconcertante: l’Opus Dei, per le relazioni simbiotiche con il fascismo di Francisco Franco, è riuscito a realizzare in maniera integrale – si direbbe paradigmatica – l’idea di una struttura religiosa verticistica, imperniata sul culto della personalità del “padre” fondatore (Josemaría Escrivá de Balaguer) e sul primato dell’obbedienza ai superiori nella catena gerarchica, ossessionata dalla fedeltà alla Tradizione (ovviamente solo recente, dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II escluso) e dalla diffidenza verso ogni anelito teologico e/o politico e/o culturale alla libertà, all’uguaglianza dei diritti (anche tra maschi e femmine) e alla fraternità (effettiva, non solo retoricamente proclamata).

Indubbiamente chi ha avuto esperienze dirette di organizzazioni come l’Opus Dei o Comunione e liberazione (cfr. http://www.brunovergani.it/item/3330-memorie-diun-ex-monaco-testo-completo.html) sa che nessuna di esse avrebbe coinvolto migliaia di persone in mezzo mondo se fosse stata priva di aspetti positivi: sia pur in misura – mi pare – decrescente, esse continuano ad attrarre soprattutto giovani a cui offrono, in società sempre più frammentate, non solo degli ideali “forti”, ma anche dei riferimenti comunitari cui aggrapparsi per sfuggire l’angoscia dell’isolamento individualistico (non siamo lontani dalle motivazioni psico-sociali che, in alcune aree, spingono giovani uomini e donne a entrare in associazioni di stampo mafioso o in formazioni fondamentalistiche in cui sacrificano le vite reali nell’illusione di trovarvi un senso assoluto: cfr. http://www.digirolamoeditore.com/pocket/psicologia-mafiosa/).

Se questa analisi è, almeno approssimativamente, corretta, il superamento di tali aggregazioni perverse (un tradimento del vangelo di Gesù) non può avvenire mediante provvedimenti legislativi e giudiziari repressivi a posteriori: o si taglia la radice o l’albero continuerà a riprodurre frutti tossici. E la radice è, prima di tutto, l’assenza (o almeno la progressiva scarsità) di alternative valide.

Può darsi che, sino a una certa età, ci si accontenti del benessere economico, del consumismo, del “divertimento” eretto a sistema, della pedissequa adesione alle mode, dell’arrivismo carrieristico…; ma può capitare che ci si chieda – nei pochi momenti liberi dagli impegni scolastici, dalla palestra, dal corso di inglese per futuri manager, dagli aperitivi serali e dalle feste notturne – se tutto questo può bastare a giustificare l’esistenza (con le sue potenzialità entusiasmanti e con le sue sofferenze ineliminabili). È a questo punto che il giovane si guarda intorno e cerca, invano, uno spazio davvero libero per confrontare con altri – coetanei o più adulti – le proprie idee senza timore di giudizi censori; associazioni politiche o sindacali i cui leader non siano concentrati nel mantenimento del proprio potere personale; circoli artistici dove la ricerca della bellezza prevalga davvero, e tangibilmente, sul narcisismo e sull’esibizionismo; comunità di matrice religiosa (occidentale o orientale) in cui si persegua primariamente l’esercizio meditativo e la sintonia compassionevole per i viventi…

In questo deserto di proposte autentiche, manifestate da persone autentiche, il ripiegamento verso atteggiamenti rinunciatari e depressivi può essere contrastato solo da appelli altisonanti, superominici, a uscire dal “gregge”, farsi “santi” e combattere la “buona battaglia” (più o meno armata), diventare “salvatori del mondo” nella certezza che qualsiasi fallimento terreno sarà solo l’anticamera del paradiso celeste. Per ragioni più o meno genetiche, gli esseri umani abbiamo sete di senso: o lo troviamo in spazi di “spiritualità” critica, adulta, aperta, cooperativa, nonviolenta, proattiva o saremo tentati di tapparci occhi e mente per affidarci ad abili manipolatori (talora talmente abili da manipolare, per primi, se stessi) che ci daranno “una pietra al posto del pane” o “una serpe al posto di un pesce”.

* Filosofo e saggista, Augusto Cavadi dirige a Palermo la “Casa dell’equità e della bellezza” (www.augustocavadi.com)

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