
Parlando di scienza e di religione
Tratto da: Adista Documenti n° 43 del 04/12/2021
Se anche gli angeli esitano
Quel che segue intende rispettare quanto indicato nel titolo dell’articolo, vuol essere nient’altro che un semplice conversare fra amici e amiche di scienza e di religione. E vorrei iniziare col ricordare la figura di Gregory Bateson, studioso versatile con una rigorosa formazione scientifica di base (si era laureato in Biologia a Cambridge) che l’aveva condotto a rivolgersi in seguito ad altri campi del sapere, quali l’etnologia, la psicologia e la cibernetica. Nell’ultimo periodo della sua vita si era convinto che l’unità della natura che andava esplorando fosse comprensibile attraverso il genere di metafore per lo più rinvenibili nel mondo religioso. Cominciò a sostenere che la nostra capacità di comprendere la natura dei processi naturali subiva una deformazione imputabile al costante perseguimento di finalità con cui era abituata a operare – soprattutto nella cultura occidentale – la coscienza umana (ciò che gli antichi greci chiamavano hybris, l’orgogliosa tracotanza dell’essere umano). Non solo: Bateson avvertiva di essere prossimo a quella dimensione integrale dell’esperienza cui dava il nome di “sacro”. Ciò che le religioni denominano come “illuminazione” per Bateson era nient’altro che il riconoscimento profondo della natura biologica del mondo in cui viviamo, l’improvviso riconoscimento o scoperta della vita nella sua pienezza.
Questo lo convinse che la religione non è che una variante del problema del rapporto fra corpo e mente e ciò lo condusse a mettere radicalmente in questione tutto il dualismo cartesiano, con la separazione tra mente e materia, verso una concezione unificata. La visione di Bateson era orientata in favore di una mente immanente, vale a dire di una serie di processi mentali che avvengono all’interno di strutture fisiche in perpetua relazione fra loro. A questo proposito c’è un passaggio esemplare in Verso un’ecologia della mente (Milano, Adelphi, 1976) – il libro che lo rese celebre (un’ampia raccolta di scritti compresi tra gli anni Trenta e Settanta del secolo scorso) – che merita riportare per intero: «La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo: essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta Mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. Questa più vasta Mente è paragonabile a Dio, ed è forse ciò che alcuni intendono per “Dio”, ma essa è ancora immanente nel sistema sociale totale interconnesso e nell’ecologia planetaria». Per questo descriveva la struttura che connette i viventi nei termini di una “sacra unità”, un processo alquanto complesso che rinvia a una conoscenza più ampia, sottesa ai più diversi tipi di apprendimento e operante nel mondo biologico in cui viviamo (Una sacra unità è pure il titolo di un libro – anche questo tradotto da Adelphi – che raccoglie gli ultimi suoi interventi).
Bateson aveva in mente di dedicare un testo interamente a questo argomento, da lui definito “epistemologia del sacro”, ma purtroppo la malattia, che l’aveva da tempo colpito, impedì la piena realizzazione del progetto. La figlia si assunse il compito di raccogliere, riordinare e curare i manoscritti preparatori che presero corpo in un volume che mantenne il titolo pensato dallo stesso Bateson: Dove gli angeli esitano (Milano, Adelphi, 1989). Queste parole, ricavate da un’opera di Alexander Pope (grande poeta inglese del Settecento) e famosa nel mondo anglofono, provengono da un aforisma la cui traduzione può essere così riportata: «Gli stolti si precipitano là dove gli angeli esitano a posare il piede» e costituisce un ammonimento: la sfera del sacro corrisponde al luogo dove gli angeli appaiono esitanti, mentre gli stolti si precipitano vociferanti, presto appagati da semplificazioni o riduzioni sommarie. È un’esitazione palpitante, quella evocata da Bateson, non dettata dalla paura, bensì orientata, come quella degli amanti, da una passione trepidante.
Ecco, questo invito a un inoltrarsi esitante mi sembra un viatico propizio per aprire una riflessione sul rapporto tra scienza e religione. Dico ciò perché se è vero che per molto tempo il rapporto tra le due è stato di tipo conflittuale, nel senso che una invocava la superiorità sull’altra, cercando di subordinarla alle proprie precomprensioni per ridurla a uno stato ancillare, se non addirittura al silenzio, si sta assistendo oggi a posizioni che propongono o una coesistenza pacifica delle due, tentando di tracciare in modo rigoroso, co me in una sorta di tregua o di transazione politico-diplomatica, le aree di influenza di entrambe; o, se le frontiere vengono aperte, ci si mostra disponibili a compromessi a volte controversi, se non opinabili. A questo proposito mi soffermo, a mo’ di esempio, su un paio di saggi, dedicati al rapporto tra scienza e religione, che hanno ottenuto notevoli riscontri positivi.
Analogie e quadrature
Il primo libro è Il Tao della fisica di Fritjof Capra, un testo di grande successo, apparso nel 1975 (l’edizione italiana è del 1982), in cui l’autore – un fisico e teorico dei sistemi – coglie una serie di impressionanti affinità fra le teorie relativistiche e quantistiche della fisica contemporanea e le spiritualità orientali (dall’induismo al buddhismo, fino al taoismo), per giungere alla conclusione che le due visioni sono fra loro coerenti e complementari. Sia il mistico che lo scienziato, ricorrendo entrambi al metodo empirico, giungerebbero alle medesime conclusioni, uno partendo dalla propria interiorità, l’altro dall’osservazione del mondo esterno.
Le analogie che Capra illustra sono indubbiamente ricche di suggestioni e aprono scenari intriganti, sollecitando interrogativi e aperture di orizzonti. Il problema sorge quando si rischia di voler sovrapporre sic et simpliciter il piano del pensiero analogico, vale a dire una procedura di pensiero laterale che innesca relazioni, similitudini e metafore, con quello del pensiero logico, sia esso di tipo induttivo o deduttivo, che segue ben altre vie. Cogliere un’analogia, come accade nel testo di Capra, non significa aver dimostrato un’identità e una corrispondenza logica. Affermare poi che la mistica e la scienza ricorrono a uno stesso metodo di indagine è alquanto generico. È vero che entrambe si basano sull’esperienza, ma tale parola viene ad assumere valenze assai diverse nei due campi. Nella fisica indica una prassi formalizzata, con linguaggio matematico e tecnologie altamente sofisticate, mentre nella mistica rimanda a pratiche meditative e, in certi casi, a percezioni extrasensoriali. In altre parole, apprezzo il lavoro di Capra, ma penso che cercare di sostenere il valore della mistica puntellandola con la scienza, e viceversa, alla fine rischia di rendere cattivo servigio a entrambe. Se, ad esempio, una delle teorie scientifiche da lui menzionate venisse falsificata (come è accaduto), questo finirebbe per minare anche le tradizioni mistiche a essa collegata? L’altro saggio che desidero prendere in considerazione è Dio e la scienza di Jean Guitton (uscito in Francia nel 1991 e in Italia l’anno successivo). Si tratta di un libro sotto certi aspetti differente da quello di Capra. Qui l’autore – filosofo cattolico, primo uditore laico al Concilio Vaticano II – dialoga con due scienziati circa la possibilità di un’alleanza, se non addirittura una convergenza («seppur ancora oscura», la definisce lo stesso Guitton), tra scienza e fede. In questo caso, più che cogliere analogie tra i due campi, l’autore sembra proporre un supplemento interpretativo: sulla soglia ove si ferma la ricerca scientifica può giungere, secondo Guitton, la teologia a quadrare il cerchio. Così, per esempio, l’origine della colossale quantità di energia alla base del big bang viene spiegata con l’esistenza di un Creatore increato, senza però prendere in considerazione l’eventualità di una creazione dal vuoto per effetto di una fluttuazione casuale rapidissima e molto energetica, così come viene dibattuta dalla cosmologia quantistica (ipotesi, quest’ultima, che se esclude l’immagine di un agente creatore esterno, non elimina quella di una forza immanente alla natura, come era stata già tratteggiata da Giordano Bruno e Spinoza). Oppure la teoria dell’ordine implicito (implicate order), soggiacente all’ordine esplicito che percepiamo coi sensi. Elaborata dal fisico David Bohm, viene riletta rinviando anche qui a un Creatore trascendente, potente, libero, esistente all’infinito, senza valutare il fatto che Bohm era sì persona con profondi interessi spirituali, ma vicini più alla sensibilità orientale che a Tommaso d’Aquino (vi sono testi noti, tradotti anche in italiano, che raccolgono le conversazioni fra Bohm e il pensatore indiano Jiddu Krishnamurti). Più che una nuova e fertile alleanza tra scienza e religione sembra di assistere in questo caso a una sottile ma non innocua sovradeterminazione nei confronti della ricerca scientifica.
Per un’idea esagerata di libertà
Detto ciò, sembra di essere fermi al punto di partenza. Ma allora da quale parte possiamo innescare agganci possibili tra scienza e religione, senza con questo venir meno all’invito di Bateson di un esitare trepidante e partecipe? Forse più che cimentarsi nell’offrire interpretazioni religiose a indagini scientifiche può risultare proficuo volgersi agli studi sulla metodologia della ricerca scientifica e vedere se da ciò possiamo trarre suggestioni che consentano nuove aperture, facendo compiere qualche passo avanti al sentire religioso.
È nota l’affermazione di Stephen Hawking secondo cui esiste una fondamentale differenza tra la religione, fondata sull'autorità, e la scienza, basata sull’osservazione. C’è del vero in quel commento. Indubbiamente le tradizioni religiose si sono strutturate su credo, dogmi e testi intangibili, ma, a ben vedere, non sempre è andata così, grazie alla presenza di numerosi cercatori spirituali. E anche oggi, dinanzi alle trasformazioni socio-culturali in atto che vedono profilarsi all’orizzonte nuove prospettive, come quella post-religionale che descrive l’avvento di una sensibilità spirituale fuori dai canoni delle religioni istituite.
Ed è pure vero che l’impresa scientifica è un’attività antidogmatica, non offre, o non dovrebbe offrire, spazio per alcun principio di autorità che non sia l’osservazione e l’esperienza (per questo e per i successivi pensieri devo rendere omaggio a Ludovico Geymonat e Giulio Giorello che ebbi come docenti alla Statale di Milano). Se Karl Popper ci ha insegnato che una teoria è scientifica solo se è suscettibile di essere falsificata, nel senso che ogni scienziato dovrebbe impegnarsi a mettere in crisi le concezioni accettate, tentando di falsificarle e quindi migliorarle, in un avvicinamento progressivo, ma mai definitivo alla verità, ponendo così la ricerca scientifica in uno stato di “rivoluzione permanente”, altri pensatori hanno ritenuto troppo idealizzata tale prospettiva. Thomas Kuhn, ad esempio, analizzando la struttura delle rivoluzioni scientifiche (sua è la nozione di paradigm shift, “cambio di paradigma”, largamente adoperata in diversi campi del sapere) giungerà a sostenere che non sarà necessariamente la teoria più vera o più efficiente a imporsi, ma quella in grado di catturare l'interesse e la fiducia della comunità scientifica, al punto che la stessa idea di una crescita costante della conoscenza scientifica va posta sempre come ipotetica e da verificare.
Ancora più in là si pose Paul Feyerabend, che fu allievo di Popper. Secondo Feyerabend la ricerca scientifica non obbedisce ad alcun metodo, ma avanza trasgredendo le regole e le prescrizioni proprie del metodo scientifico. Anzi l’immagine di un metodo scientifico universale, immutabile e astorico è irrealistica, rinvia a una visione ingenua dell’essere umano e del suo ambiente sociale. Secondo la sua visione la scienza può trarre un effettivo beneficio ponendosi in una prospettiva di “anarchismo epistemologico”, nel senso che per progredire la scienza ha bisogno proprio di abbracciare un’idea esagerata di libertà, non riconoscendo alcun vincolo alla sua attività, né alcuna autorità al di sopra di sé, neppure la stessa ragione. Per avvalorare le sue tesi, Feyerabend analizzò una serie di episodi scientifici, generalmente presi come esempi indiscutibili di progresso (come la rivoluzione copernicana), illustrando come le più comuni regole prescrittive della scienza fossero state violate, aggiungendo che, al contrario, l'applicazione di tali regole, in quel contesto storico, avrebbe in realtà impedito ogni progresso (su ciò v. P. Feyerabend, Contro il metodo, Milano, Feltrinelli, 1979).
Anche se ci sarebbe altro da dire, mi fermo qui, lasciando aperta la questione se, proprio da quest’ordine di discorsi, l’interrogazione religiosa non possa trarre qualche benefica indicazione di percorso, perché oggi c’è davvero un grande bisogno di spazi aperti e ariosi ove porre in tutta libertà la domanda di senso. Penso a luoghi fisici e mentali dove condividere i sogni, le speranze e i timori che ci abitano; domande che sarebbe limitante dire che provengono solo dal nostro intimo o dalle relazioni, a volte armoniose a volte conflittuali, coi nostri simili, ma che paiono invece scaturire da qualcosa di più grande dentro cui siamo avvolti e con cui interagiamo, anche se non ce ne accorgiamo; domande che nascono dall’aria che respiriamo, dall’acqua e dal cibo con cui ci nutriamo, dagli altri viventi con cui condividiamo la terra che calpestiamo e di cui facciamo parte. Perché, forse, religione è proprio questo
Ricercatore indipendente nel campo del religioso contemporaneo, Federico Battistutta è coordinatore della comunità di ricerca “libero spirito” (www.liberospirito.org); tra i fondatori di “Inedito Cammino”, gruppo di riflessione sui nuovi paradigmi teologici.
Dipinto di Maximino Cerezo Barredo, per gentile concessione dell'autore.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!