
In aumento la vendita di armi nel mondo, nonostante la pandemia. I dati del Sipri
Business as usual? Sono le prime parole che lo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) usa per introdurre e commentare i dati emersi nell’ultimo rapporto annuale sulle spese militari nel mondo.
Secondo il Sipri, che il 6 dicembre ha diffuso i nuovi dati, nonostante la pandemia abbia rallentato la produzione industriale in tutto il mondo, segnando una contrazione dell’economia globale superiore al 3%, nel 2020 le 100 più importanti società del settore armiero hanno portato a casa 531 miliardi di dollari, l'1,3% in più rispetto al 2019, il 17% in più rispetto al 2015 (primo anno in cui l’istituto di Stoccolma ha inserito nel computo anche le imprese cinesi). Da 6 anni, insomma, il comparto delle armi cresce senza sosta e senza subire più di tanto la crisi economica generata dalla diffusione del virus e dai lockdown e dalle restrizioni anti-contagio.
A sostenere la crescita dei «giganti del settore», ha affermato Alexandra Marksteiner (ricercatrice del Sipri), è stata la domanda di beni e servizi militari dei governi: «In gran parte del mondo la spesa militare è cresciuta e alcuni governi hanno persino accelerato i pagamenti all'industria degli armamenti per mitigare l'impatto della crisi di Covid-19».
Le aziende statunitensi continuano a fare la parte del leone, con 41 imprese che hanno totalizzato 285 miliardi di dollari (più 1,9% rispetto al 2019). Al secondo posto si piazzano le aziende cinesi (5 società hanno venduto armi per 66,8 miliardi di dollari nel 2020, più 1,5% sul 2019). Gli ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, volti a modernizzare il settore, lasciano presupporre che le aziende cinesi cresceranno ancora nei prossimi anni. Il dato sulla stima, sottolinea il Sipri, potrebbe dimostrarsi sottostimato, a causa dell’insufficienza di dati relativi a importanti aziende.
Leggi la presentazione del rapporto (in inglese) sul sito del Sipri
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