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Abusi sessuali e confessione: p. Zollner chiede una nuova istruzione

Abusi sessuali e confessione: p. Zollner chiede una nuova istruzione

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 08/01/2022

40922 LONDRA-ADISTA. «Il sacramento della Riconciliazione come luogo di sicurezza, di guarigione e di giustizia» nel contesto degli abusi sessuali: ribalta la prospettiva p. Hans Zollner, direttore dell'Istituto di Antropologia - Studi interdisciplinari sulla dignità umana e sulla cura delle persone vulnerabili (IADC), della Pontificia Università Gregoriana di Roma, nel contesto del dibattito sul segreto della confessione, riaccesosi di recente in seguito alla pubblicazione del rapporto sugli abusi sessuali nella Chiesa in Francia, il cosiddetto “Rapporto Sauvé”, che raccomandava di eliminare il segreto del confessionale, considerato un ostacolo nella lotta agli abusi. In un articolo sul settimanale cattolico inglese The Tablet (18/11, rilanciato il 28/12 dal sito tedesco katholisch.de), Zollner osserva che «non ci sono prove convincenti che dimostrino che l'abuso potrebbe essere impedito rimuovendo il sigillo del confessionale»; inoltre non è facile conciliare la natura della confessione con la necessità di proteggere i minori, dal momento che «c'è molto fraintendimento sulla natura della confessione nella Chiesa cattolica». L’articolo 983 §1 del Codice di Diritto Canonico definisce il “sigillo del confessionale” come «inviolabile»; un sacerdote, spiega il gesuita, «non può rompere il sigillo per salvare la propria vita, per proteggere il suo buon nome, per salvare la vita di un altro o per aiutare il corso della giustizia. I sacerdoti che violano il sigillo della confessione sono automaticamente scomunicati».

«L'assoluta segretezza del confessionale spiega perché le persone si sentano libere di dire cose in confessione che non direbbero da nessun'altra parte», ma l’insistenza sull'inviolabilità del sigillo è considerata da alcuni «come una conferma che la Chiesa non mette al primo posto la sicurezza e il benessere dei suoi figli». Ma occorre fare alcuni distinguo: intanto, «con l'eccezione dei cappellani delle carceri, è altamente improbabile che i preti ascoltino una confessione da un autore di abusi sessuali su bambini. Solo un prete mi ha detto di aver ascoltato la confessione di un aggressore». Inoltre, se si potesse infrangere il sigillo, «pochissime persone continuerebbero a confessarsi e sicuramente nessun aggressore rischierebbe l'arresto».

Anche senza eliminare il segreto del confessionale, però, la Chiesa può fare molto: «Mentre secondo il Diritto canonico l'assoluzione non può essere vincolata a una condizione come quella di denunciare il delitto alla polizia, il confessore deve fare tutto quanto è in suo potere per convincere un autore ad assumersi la responsabilità di ciò che ha commesso. Ciò include il tentativo di incontrarli fuori dal confessionale, dove il sacerdote può invitare l'autore a parlare di nuovo del crimine commesso e esortarlo a consegnarsi alla giustizia. Allo stesso modo, se una vittima si confessa, il confessore può offrirsi di incontrarsi al di fuori dello spazio confessionale o indicare il supporto e l'ulteriore guida disponibili da terapisti e avvocati»; insomma, argomenta Zollner, «se la Chiesa facesse di più per aiutare i confessori a essere ascoltatori empatici oltre che abili interpreti dell'insegnamento morale della Chiesa, renderebbe più chiaro che il Sacramento della Riconciliazione può essere uno strumento nella lotta contro gli abusi, e portare a una migliore comprensione del Sacramento della Riconciliazione e più fiducia nei confessori».

Di qui la proposta concreta di Zollner: la Santa Sede prenda in considerazione l'emanazione di una nuova istruzione per i confessori, per ribadire l'obbligo di rispettare le leggi per la segnalazione di abusi al di fuori del confessionale e riconfermare il sigillo; ciò «sottolineerebbe la responsabilità personale del confessore» anche rispetto all’«obbligo di chiedere all'autore di porre fine all'abuso, di denunciare se stesso alle autorità legali e di cercare aiuto terapeutico». Perché la contrizione non basta, se non è accompagnata dalla volontà di riparare il danno arrecato.

L’istruzione dovrebbe chiarire anche che «il confessore deve ascoltare con empatia e rispetto», incontrando la persona al di fuori dello spazio confessionale e incoraggiandola a contattare terapisti e avvocati: «Occorre un adeguato accompagnamento, dato che molte vittime che parlano di abuso per la prima volta si sentono a disagio nel riprendere l'accaduto, soprattutto se questo può aprire l'area di un procedimento giudiziario».

L’istruzione dovrebbe definire a chi possono rivolgersi i confessori per i chiarimenti e gli orientamenti di cui hanno bisogno, in modo da poter indirizzare le vittime e le altre persone bisognose a un aiuto specialistico; quali procedure deve seguire un confessore quando una persona – autore o vittima – accetta di incontrarsi al di fuori della confessione; e di quale formazione e accompagnamento necessitino i confessori. «Il sigillo della confessione crea uno spazio sacro in cui il penitente è completamente libero di mettere davanti a Dio tutto ciò che ha sulla coscienza e, quando mostra contrizione, trova il perdono, la riconciliazione e la guarigione», ribadisce Zollner in conclusione. «Che il sigillo sia stato in passato un pretesto per abusi e altri crimini non dovrebbe portare a scartare quello che è un canale di grazia. Ma intorno a esso ci sono questioni complesse che devono essere affrontate con sensibilità e ragionamento e nel contesto di un rapporto di reciproca fiducia Chiesa-Stato. Potrebbe essere il momento per la Chiesa di dare istruzioni più chiare sull'esercizio del Sacramento della Riconciliazione, in modo che sia meglio compreso dai penitenti, dai confessori e da coloro che sono al di fuori della Chiesa come luogo di sicurezza, di guarigione e di giustizia». 

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