
Se la politica fa acqua...
Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 12/02/2022
La rielezione (forzata e condivisa per inerzia) di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica per un secondo mandato, è il seguito naturale di un’evidente debolezza dei leader di partito (chi più, chi meno) nel trovare un accordo che individuasse un “alto profilo” per la carica principale dello Stato. Che poi si trattasse di una donna (per la prima volta nel nostro Paese che, in merito, si colloca agli ultimi posti dell’Occidente e non solo…) è apparso in tutta evidenza richiamo strumentale e retorico, ma privo di una convinta volontà politica.
Siamo di certo contenti, perché stimiamo personalità, stile e valori del Presidente Mattarella. Ma delusi (eufemismo) per come si è giunti alla decisione.
Detto ciò, e ora? Che accadrà? Nulla di clamoroso, pare. Continuerà tutto come prima, senza neppure un rimpasto di governo. Almeno fino alla prossima scadenza elettorale.
Ma, appunto, non si potrà far finta di niente. È partita (forse lo era già) la campagna elettorale. Il quadro in movimento delle forze in campo, terremotato dagli “incidenti” elettorali, mette in primo piano alcune questioni di cui si dovrà tenere conto. E impone, a chi crede ancora nel valore della democrazia e della politica, un fermo e attento dovere di vigilanza.
Primo: il governo potrà imporre con forza i criteri di fondo del PNRR. Le forze che hanno “ceduto” su Mattarella bis appaiono più deboli nel dire di no a Draghi. Ma proprio per questo le forze sociali debbono vigilare con maggior severità che Decreti e Leggi che “metteranno a terra” (scusate, abuso anche io di questa logora espressione per farmi capire…) il Piano, siano il più possibile inclusive e socialmente equilibrate. Al netto della “sapienza tecnica” che alcuni vogliono come unica bussola, le scelte che si faranno dovranno considerare l’alto livello di diseguaglianze già esistente nel nostro Paese e peggiorato con la pandemia. Secondo: le leadership partitiche sono fortemente in discussione. È chiaro e non da ieri. È il frutto – anche – della delegittimazione dei partiti e dei corpi intermedi che sono stati condannati all’inutilità da pratiche e provvedimenti che, nel rapporto diretto tra capo e popolo (finto e pretestuoso), vede la cifra del futuro in tutti i campi. Ma la politica non ammette vuoti, e se si aprono varchi c’è il rischio (la storia insegna) che si imponga il peggio. Terzo (a ruota del secondo): il “presidenzialismo”, o meglio, l’elezione diretta del Capo dello Stato, invocata come soluzione, sarà tema centrale della campagna elettorale. E chi la sosterrà porterà la “prova” (falsa e ambigua) che il Parlamento non è adatto e perciò bisogna “porre rimedio” con ciò che fanno in gran parte delle democrazie occidentali. A mio modesto parere non funzionerà, politicamente e ragionevolmente, contrapporre ai “direttisti” – solo – la tesi che la Costituzione non la prevede e che il popolo non sarebbe pronto (alias, capace), perché si corre il rischio di votare PincoPallo, inadatto o – peggio – proprio già incandidabile. Si aprirebbero praterie a loro favore. Bisognerebbe invece ragionare – prima e comunque – del complessivo bilanciamento di poteri nelle istituzioni; di pluralismo, correttezza e trasparenza dell’informazione; di reale partecipazione del cittadino ai processi decisionali; di allargamento della base elettorale a cittadini di nuova generazione; di legge elettorale sufficientemente rappresentativa delle istanze; della candidabilità o meno (a tutti i livelli) di chi si è macchiato di reati. In sintesi, di un allargamento, vero, della pratica democratica. Bisognerà, insomma, a mio avviso, contrapporre a una seducente e finta perché opportunistica “restituzione di potere al popolo”, una più vera e plausibile, perché concreta, “restituzione dello scettro al principe”, cioè al cittadino elettore, perché potere fatto di coordinate, strumenti, indicazioni, progetti, relazioni, istituzioni, soggetti, meccanismi, criteri, ecc. Prima parliamo di questo e poi si discute di altro…
Infine: chi interpreterà le esigenze del disagio, della povertà, della protesta, dell’esclusione, delle voci non ascoltate, della rabbia sociale, che se cova e non trova sbocchi, si fa violenta e distruttiva? I partiti (ovvio, soprattutto quelli del centro-sinistra) si pongano sul serio questo problema e si ragioni con sincerità, non trincerandosi dietro la necessità di un “campo largo” finalizzato alla vittoria elettorale sulla destra.
I cosiddetti tecnici (ma se si mettono in gioco, restano sempre tali…?) oggi sembrerebbero vincenti (attenzione, i “mattarelliani” hanno vinto solo perché gli altri non sono stati capaci di trovare un accordo, non perché la politica ha dato il suo meglio…). Gli esperti tornano a dire (in un italiano forbito e furbesco) “fateci largo che passiamo noi…”, perché la politica ha fallito. Male, e non mi pare ci sia da essere soddisfatti. Perché la politica, da sempre, offre un quadro istituzionale certo, comprovato e condiviso. Nonostante tutto. Se viene meno la pratica della prima, viene, di conseguenza, meno anche il secondo. Ergo: anche il perimetro e lo scenario all’interno del quale possono agire i sedicenti tecnici.
Anche solo per periodi brevi e forzati…
Vittorio Sammarco è giornalista e scrittore, docente di Comunicazione politica e Opinione Pubblica nella Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell'Università Pontificia Salesiana
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