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Parliamo di scisma?

Parliamo di scisma?

Tratto da: Adista Documenti n° 7 del 26/02/2022

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Il punto di partenza

Basta, chiamiamo le cose con il loro nome. E pronunciamole: senza il timore di tacere. È ben radicata una prassi corrosiva, nella Chiesa cattolica, che nasce dall’abitudine di edulcorare la verità, soprattutto quando risulta spiacevole o in grado di cambiare lo status quo. Il meccanismo – talvolta inconsapevole, sovente colposo se non doloso – riguarda sia il clero sia il laicato.

E negli ultimi decenni ha portato a nascondere situazioni terribili, come lo scandalo della pedofilia, che è tuttavia la punta di un iceberg. Non se ne parla, si nasconde, mettendo la polvere sotto i tappeti. Ipocrisia? Falsità curiali? Clericalismo mai sopìto che cerca di autoconservarsi?

Tutti questi elementi insieme, sicuramente. Non c’è soltanto la sfera della sessualità, che nell’autunno 2021 – con il drammatico Rapporto Sauvé(1) sui casi di pedofilia nelle comunità cattoliche della Francia – ha raggiunto punte di orrore inatteso. Esiste anche una ramificazione capillare delle radici del problema. Metastasi, a essere più realisti e sinceri. Vanno dalla incapacità di ascolto all’uso maldestro del denaro, dalla irrisolta questione femminile ai processi decisionali interni alle comunità. Fino alla copertura dell’attività di molti preti e comunità che cedono a talari, trini e merletti.

Qui esiste uno snodo significativo, con una data da te nere ben presente: il 7 luglio 2007. È il giorno in cui Benedetto XVI diffuse la lettera apostolica Summorum Pontificum, con cui autorizzò la messa in latino che si celebrava prima del Concilio Vaticano II, o meglio, con l’ultima stesura del Missale Romanum, pubblicata da papa Giovanni XXIII nel 1962. Con questo atto papa Ratzinger intendeva pacificare. In realtà, ha dato cittadinanza a tutto un mondo che covava sotto la cenere livore contro la modernità, con preti e laici certo più vicini ai tradizionalisti lefebvriani che alla Chiesa “in uscita” del suo successore Francesco. La questione è stata molto sottovalutata nei suoi effetti perversi. Pur di non perdere posizioni, pur di mettere qualcuno parroco, pur di non studiare formule alternative corresponsabilizzando il laicato, si sono affidate al primo che passa (preti, religiosi di congregazioni) ormai molte comunità. Qui emergono i problemi o si pongono le basi affinché esplodano, come bombe a orologeria: perché quelle che vengono indicate come “sfumature” per sedare perplessità o proteste, sfumature non sono affatto.

Deep Church e Deep State

Non è il preferire l’accompagnamento dell’organo alla chitarra nei canti. E non sono “angolosità caratteriali”: si tratta di teologia, di ecclesiologia e di pastorale profondamente e sostanzialmente diverse. Con uomini e donne consacrati che, in nome della sacra tradizione, non esitano a buttar fuori le “mele marce”, a creare steccati, muri. Così è stato il fiorire di siti tradizionalisti cattolici che grondano odio e che ogni giorno tuonano contro papa Bergoglio: eversore, massone, usurpatore, con ricostruzioni sulla sua elezione nel 2013 che neppure Dan Brown oserebbe ipotizzare. Lo stesso accade, con marcato spirito dietrologico, per quanti discettano intorno alla cosiddetta “mafia di San Gallo”: nell’abbazia svizzera si svolgevano incontri di studio e seminari ecumenici, ma per gli ambienti tradizionalisti erano incontri segreti di vescovi e cardinali progressisti intenzionati a orientare i Conclavi(2).

Sono, ancora, i deliri dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio negli Stati Uniti, negazionista del Covid, complottista in favore dell’ex presidente Usa Donald Trump, che paventa macchinazioni per costituire un nuovo ordine mondiale e lancia strali contro il Concilio Vaticano II e Francesco. Pronuncia appelli “urbi et orbi” per le piazze no-green pass. Sono le teorie della “Deep Church” e del “Deep State”. Si tratta, anche, delle eccentriche e infondate riflessioni via etere dell’italiano padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria: in modulazione di frequenza ripete – indisturbato dai vescovi della Penisola che alzano le braccia e non fanno nulla – che Dio ci castiga con terremoti e Coronavirus perché siamo peccatori. C’è da pensare che vescovi e Vaticano non agiscano nei loro confronti soltanto per non farne dei martiri.

Ma Dio ci vuole felici o infelici?

È questo il Dio di Gesù che vuole la nostra felicità? Nel luglio 2021, con il motu proprio Traditionis custodes papa Bergoglio ha rimesso i puntini sulle “i”: gli unici messali validi sono quelli conciliari approvati da Paolo VI e Giovanni Paolo II ed eventuali eccezioni dovranno essere autorizzate dai vescovi. Come dire: la liturgia è espressione di una visione di Chiesa che progredisce nella storia, e – in questo caso – è la declinazione del cattolicesimo del Concilio Vaticano II(3). Non una Chiesa contro il mondo, ma che con il mondo cerca di renderlo migliore grazie al sale del Vangelo. Che ci volesse un provvedimento del genere, è testimoniato dalle reazioni scomposte e stizzite dei tradizionalisti, che in Italia trovano voce soprattutto nei siti dei giornalisti Aldo Maria Valli e Marco Tosatti. Che danno spazio, con cattivo gusto, a quanti parlano con disprezzo del papa e si augurano la sua morte. Con i videomessaggi del solito arcivescovo Viganò, che parla male del Concilio, dell’ecumenismo e pure, mentre c’è, dei vaccini, sentendosi ormai (modestamente) oltre che un virologo anche come De Gaulle a Radio Londra.

Non solo. A Parigi sta diventando evidente la svolta tradizionalista dell’arcivescovo Michel Aupetit(4). Il quotidiano Le Monde ha svelato nel 2021 le polemiche sull’altar maggior della cattedrale di Notre-Dame, seriamente danneggiata dal terribile incendio dell’aprile 2019. Un detonatore nella diocesi della Ville Lumière. Già due vicari si sono dimessi, perché – approfittando dei danni subiti – monsignor Aupetit e altri vorrebbero far sparire l’altare conciliare che il cardinale Lustiger aveva commissionato allo scultore Jean Touret. Ritorno all’antico e divergenze sull’utilizzo dei fondi. È questo il Dio di Gesù che vuole la nostra felicità? No. Questa frattura profonda non è uno degli effetti della cosiddetta secolarizzazione. Per lo meno: anche, ma soltanto in parte. Il punto è che la crisi della pandemia esplosa a livello globale nel 2020 ha divaricato ulteriormente le posizioni da quando, nel 2013, è salito al soglio pontificio Jorge Mario Bergoglio dopo le dimissioni di Joseph Ratzinger. Una divaricazione sempre più evidente e graffiante. È questa la Chiesa del Vangelo? È questo il futuro della presenza dei cattolici nella società civile? Dovremo essere alabardieri di una società che non esiste più, cultori fuori dalla storia di una tradizione che può essere brandita come clava contro chiunque non si riconosca nei cosiddetti sacri valori? Sarà questo il new normal dei prossimi anni?

Il fattore «modernità» e le divaricazioni palesi

C’è una questione aperta e riguarda la Chiesa dentro la modernità. Nel 1999, con un libro che fece scalpore e creò dibattito, il filosofo italiano Pietro Prini, scomparso nel 2008, parlò di “scisma sommerso”(5). Quelle riflessioni partivano nel constatare una frattura ormai evidente nella prassi morale: sulla carta regole dure e intransigenti, in confessionale o di persona aperture ben diverse.

Lo spiegava bene lo stesso Prini nell’introdurre le sue argomentazioni: «La ragione principale che ha fornito il motivo probabilmente urgente delle mie riflessioni a questo proposito è nata dal riconoscimento che l’“aggiornamento” della Chiesa al mondo contemporaneo, così come fu iniziato dal Concilio e proseguito da una generazione di teologi eccezionalmente preparata e aperta, ha trovato da alcuni anni una visibile battuta di arresto e, direi, proprio là dove bisognava avere il coraggio di mettere a confronto la fede con i risultati dottrinali e metodologici delle scienze antropologiche di oggi».

Basta, dunque, chiamiamo le cose con il loro nome. E non nascondiamole. «Grazie per il tuo coraggio cristiano che non teme di essere umiliato davanti alla tremenda realtà del peccato. Assumere la crisi, personalmente e comunitariamente, è l’unica via fruttuosa»: sono le parole con cui papa Francesco ha respinto le dimissioni da arcivescovo di Monaco e Frisinga che il cardinale Reinhard Marx aveva presentato il 21 maggio 2021. Assumere la crisi. Cioè: affrontiamo i problemi, senza nasconderci di fronte alle evidenze. La vicenda della Chiesa tedesca, peraltro, è uno dei punti sul planisfero ecclesiale dove si è veramente vicini allo “scisma”, in un gioco sottile quanto pericoloso con Oltretevere di acceleratore e frizione.

In ogni caso, noi pensiamo che oggi, nell’anno 22 del terzo millennio, si debba avere il coraggio di parlare apertamente di uno “scisma emerso” di cui prendere atto. Enzo Bianchi, fondatore della Comunità ecumenica di Bose, finito in un tritacarne ecclesiale e mediatico del quale avremo modo di accennare in questo volume, lo aveva già scritto nel 2016, prima che esplodessero i conflitti nella sua fraternità: «Sì, siamo in una situazione di aporia, di incertezza e anche di “scisma” non più occulto tra posizioni e “gente di Chiesa”. Di fronte a tale scenario, indubbiamente si possono nutrire sentimenti di rincrescimento e di preoccupazione, ma credo si debba anche riconoscere che questo è il prezzo da pagare perché il Vangelo emerga con la sua egemonia nella comunità cristiana. È il Vangelo, infatti, che ha cambiato e cambia il nostro modo di essere cattolici, che ci ricorda che siamo cristiani perché discepoli di Gesù ben prima di esserlo per tradizione, cultura, appartenenza a una storia»(6). Fratel Enzo non si ferma qui. «C’è stata, purtroppo – incalza – una confusione tra carattere popolare della fede cristiana e appartenenza culturale tipica della “religione civile”, e così oggi dei cattolici che si pensavano tra i più militanti si ritrovano in contraddizione con l’emergere del primato del Vangelo. E significativamente in contraddizione – e in modo speculare a quanto denunciato da Prini nel campo dell’etica sessuale – anche con il magistero di papa Francesco, che quando interviene sulla condizione dei migranti, sulla loro mancata accoglienza in Europa, sulla bontà dell’incontro tra persone di diverse cultura, religione e terra, finisce per infastidire ed essere sordamente contestato, in ogni caso, non ascoltato»(7).

La Chiesa che sta bruciando

In questo quadro complicato pesa l’insistenza sul senso di colpa e del peccato, con cui molti uomini di Chiesa hanno manipolato generazioni di credenti, piegandole alla religione e non formandole a una fede adulta, matura, spiritualmente solida. È l’insistenza stucchevole sul Maligno, sul demonio. Prini lo aveva fotografato al meglio ragionando sull’etica sessuale. Ma vale, lo sappiamo bene, per ogni campo: «A non percorrere questa via aperta, in una feconda collaborazione con la riflessione antropologica, si rischia di lasciare fuori un’altra volta l’uomo – l’uomo reale – dalla possibilità di essere interpellato dalla predicazione cristiana. Colpevolizzare con gioghi che non sono di Dio, incattivire le coscienze con inibizioni che ne distraggono l’attenzione dalle grandi responsabilità di carità e di giustizia del vivere insieme, è un pericolo e una tentazione diabolica»(8).

Lo storico italiano Andrea Riccardi, proprio riflettendo intorno a quanto è accaduto tra 15 e il 16 aprile 2019 nella cattedrale di Notre-Dame de Paris, ha proposto nel 2021 un saggio dal titolo significativo: La Chiesa brucia. Un definitivo declino? Oppure una opportunità di risveglio? «Il futuro – risponde Riccardi – non sta ovviamente in una formula, bensì in una complessità di risposte, storie e strade da percorrere. Siamo in una situazione nuova rispetto al XX secolo: il mondo – globalizzandosi – è divenuto tanto diverso. Il dibattito del Novecento sul futuro della Chiesa può essere riassunto – semplificando molto – in due posizioni: chi ha creduto che sia stato un errore cambiare in un mondo che cambia e chi ha creduto che bisognasse riformarsi in profondità e divenire diversi, perché persone e linguaggi sono tanto differenti da ieri. In mezzo a queste due opzioni opposte ci sono infinite sfumature, che si accostano all’uno o all’altro capo del dilemma. Ma quasi tutte queste posizioni sono state spazzate via dall’avvento del tempo globale»(9).

Riccardi, pur nella preoccupazione, resta ottimista. Ed è giusto: «Un cristianesimo dalla storia millenaria può essere tentato da una postura passatista, ma deve vivere nella proiezione verso il futuro»(10). Tuttavia, aggiunge: «La crisi non è declino, o forse è declino di modelli di ieri. È anche logico che il passato declini: soprattutto la crisi è un passaggio verso il futuro, non solo di generazione, ma di concezione del mondo, con l’affermazione delle dimensioni globali e, alla fine, dell’esperienza dolorosa (e globale) della pandemia. Il cristianesimo, più che un’istituzione da conservare il più possibile, è una realtà del nostro futuro. Più che difendere le posizioni del passato o talvolta i loro resti, c’è da realizzare una scoperta del cristianesimo come parte integrante del futuro»(11). D’accordo, naturalmente. Però, insistiamo: questo passaggio verso il futuro necessita di chiarezza. Per cui: chiamiamo le cose con il loro nome.

«Scisma» ed «Esculturazione»

Siamo a un punto in cui è anche importante – e segno di responsabilità – imboccare i crocevia. Non possiamo continuare a ripeterci con “illogica allegria” – canterebbe Giorgio Gaber – che si può cambiare nella Chiesa, provando a sognare oltre il «normale malumore». Sostenere che lo scisma è emerso vuol dire prendere una direzione con serietà: la sinodalità di cui parla papa Francesco non è un ingenuo assemblearismo in cui si fa finta di volersi bene e poi tutto rimane come prima. Ci sono disagi crescenti.

Un dato costante nella storia millenaria della Chiesa o una situazione inedita dopo la pandemia da Covid-19? Il lockdown ha messo a nudo le peggiori fragilità di una fede basata sulle abitudini, di sacerdoti spiazzati esistenzialmente, di laici clericalizzati, annodati nel devozionalismo o schiacciati dall’attivismo. Non è forse così, quando si usa il camouflage con la solidarietà e nel sociale per nascondere l’incapacità di visione?

Ecco, molto probabilmente il tema della “esculturazione” del cristianesimo si annida su questo crinale, perché qui ha molte radici. “Esculturazione” (cioè, detta in modo semplice, la rimozione totale delle affinità elettive tra le radici cristiane e la società presente) è un neologismo nato già tempo fa nel dibattito francese(12). E riconoscere lo “scisma emerso” significa prendere atto della differenza profonda tra una “Chiesa in uscita”, o che vuole esserlo, e altre Chiese “uscite” dalla prospettiva evangelica. Nelle quali – per dire – ci sono porporati con i guanti bianchi e lo strascico nuziale, efebici volti curiali di preti e laici che si aggrappano alle rigidità delle norme, politici come l’italiano Matteo Salvini che si avvolgono nei rosari per difendere patria (assediata dai migranti musulmani) e famiglia (che lui stesso vive certo non secondo i più tradizionali canoni cattolici).

È la “religione senza Dio” di cui parla Adrien Candiard, giovane domenicano che vive al Cairo e che giustamente s’inalbera quando gli parlano di “islam moderato”. Io – ribatte – non voglio essere considerato un cristiano tiepido, moderato, ma un credente convinto e appassionato, sapendo che questo non significa ammazzare in nome di Dio chi è diverso da me. Sono gli idoli del fanatismo il guaio di questo nostro tempo.

«L’idolo crea un mondo chiuso e perfettamente coerente che il reale non arriverà mai a scalfire – scrive –. Della Bibbia come del Corano io posso fare un universo assolutamente chiuso, che non incontra mai il reale. Se la condanna biblica dell’omosessualità, per fare un esempio particolarmente delicato, mi impedisce di mettermi in ascolto di quello che le persone omosessuali hanno da dire sulla loro vita, se la loro testimonianza è per me inascoltabile a priori, è perché ho dato ad alcuni versetti il posto di un idolo, il quale mi impedisce di aprire gli occhi su realtà imbarazzanti che non erano previste dal programma. La Parola di Dio non fa il vuoto attorno a sé come se dovesse esistere da sola; viene invece a illuminare un reale complesso e spesso scomodo»(13).

Le radici bibliche

In queste pagine vorremmo proporre le riflessioni sullo “scisma emerso” che una teologa e un giornalista si sono trovati a condividere sul campo a partire da un complicato caso di cronaca che riguarda sacerdoti e vocazioni religiose a Torino, nel NordOvest d’Italia, e raccontato sulle pagine del quotidiano la Repubblica a partire dall’aprile 2020. Un cono d’ombra inquietante sul quale ci siamo trovati – spesso soli – a dover ragionare. Una sineddoche, in fin dei conti: una feritoia che ci ha fatto incontrare sofferenze, ipocrisie, falsità, una lama di luce da cui abbiamo potuto scorgere altri eventi ecclesiali che, intanto, s’intrecciavano nel mondo. Più piani incrociati che ci hanno svelato l’immagine di una Chiesa grigia, clericale, talvolta anche pusillanime.

Non intendiamo parlarne con spirito anticristiano o da “mangiapreti”. Tutt’altro. Vorremmo però chiamare le cose con il loro nome, senza tacerle, osando parlare di scisma perché si possa superare il crocevia dello stallo. Lo facciamo tenendo conto che la parola «scisma» non ha solo una triste accezione storica, evocatrice di divisioni che la Chiesa ha vissuto in passato senza più riuscire a recuperare una comunione piena, ma ha anche una radice biblica. Nei Vangeli schisma, tradotto normalmente con «strappo» (il famoso rattoppo sul vestito nuovo che produce uno strappo, uno «scisma» peggiore, come in Mt 9,16), «divisione», «dissenso». Il termine è presente soprattutto nel Vangelo di Giovanni. Si riferisce a situazioni che si vengono a creare in seguito a parole o azioni di Gesù. Parole sul dono dello Spirito (Gv 7,37-43), sui pastori buoni, o lupi e mercenari (Gv 10,19) e il segno della guarigione dell’uomo cieco dalla nascita nel giorno di sabato.

In tutti questi casi ciò che Gesù dice e fa provoca una reazione: di accoglienza stupita in alcuni, di rifiuto sdegnato in altri. Il risultato è il dissenso, la divisione; letteralmente, lo «scisma». Lo scisma, dunque, è propriamente una presenza evangelica, un dato di fatto inevitabile di fronte alla persona di Gesù, rispetto a cui non si può non prendere posizione. Anche il Vangelo di Luca, con parole diverse, ha espresso lo stesso concetto definendo Gesù «segno di contraddizione» di fronte a cui sono «svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34-35). È Gesù, il suo parlare, il suo agire a provocare reazioni e a svelare le persone. Lo scisma si dà così, anche senza arrivare a fratture ufficiali e scomuniche.

Pensiamoci. È bastato che papa Francesco pronunciasse con una certa chiarezza parole che di fatto sono del Vangelo (sui migranti, sulla fede, sulla Chiesa, sui poveri, sulla misericordia di Dio) e subito si sono svelati cuori e pensieri. Ognuno ha fatto capire «dove si trova» rispetto a queste parole. Tutto qui. Per questo osiamo pronunciare la parola scisma. Non per evocare secessioni dalla portata storica, ma per rifarci, biblicamente, a quella chiarezza che il Vangelo provoca su ogni realtà su cui si posa la sua luce. «La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore», scriveva l’autore della Lettera agli Ebrei (Eb 4,12), evidentemente convinto della stessa cosa.

Parlare di «scisma emerso» significa allora portare alla luce questo «punto di divisione», questi «segni di contraddizione», per un discernimento, per prendere posizione. Di fronte al Vangelo ci troviamo tutti come in una stanza in cui improvvisamente si accende la luce. Tanto vale guardare come siamo disposti, come ci collochiamo, come reagiamo. Per poi muoverci, lì dove quella luce ci fa strada.

Scriviamo unendo le nostre competenze e il comune sentire. Tuttavia, mantenendo ciascuno uno stile che attinge alla propria formazione e alla propria esperienza. Proprio per questo talvolta potrete avvertire un cambio di passo nell’esposizione dei diversi argomenti, ma – così com’è stato per noi – auspichiamo che venga percepito come una ricchezza della complementarità degli sguardi.

Note

(1.)  Il Rapporto Sauvé è scaricabile interamente sul sito francese https://www.ciase.fr/rapport-final/ Pubblicato il 5 ottobre 2021 è il frutto di oltre due anni e mezzo di lavoro della Ciase, la Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église. Centinaia di pagine seriamente impostate: una sintesi ragionata, il Rapporto vero e proprio e le Testimonianze raccolte. Suggeriamo di leggerlo: non contiene pregiudiziali ideologiche contro la Chiesa e colloca ogni evento nel contesto sociale e storico in cui si è verificato.

(2.) Si legga in proposito: Gianfranco Brunelli, “Svizzera- San Gallo: erano dialoghi sulla Chiesa”, in Re-Blog, il post della rivista Il Regno, 23 dicembre 2021, su www.re-blog.it

(3.) In questo senso, il 18 ottobre 2021, si è espressa anche la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, con i «Responsa ad dubia» su alcune disposizioni della Lettera Apostolica in forma di «Motu Proprio» Traditionis custodes del Sommo Pontefice Francesco (e reperibile sul sito www.vatican.va).

(4.) L’arcivescovo, dopo varie polemiche e inchieste giornalistiche anche su una sua presunta love story, nel novembre 2021, ha rimesso il mandato nelle mani del papa che pochi giorni dopo ha accettato le sue dimissioni.

(5.) Pietro Prini, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la Chiesa, Garzanti, Milano, 1999; e poi Pietro Prini, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la Chiesa, con testi di Enzo Bianchi e Giannino Piana, Interlinea, Novara, 2016.

(6.) Enzo Bianchi, “Uno scisma sempre meno sommerso”, in Pietro Prini, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la Chiesa, con testi di Enzo Bianchi e Giannino Piana, Interlinea, Novara, 2016, pp. 11-12.

(7.) Enzo Bianchi, op.cit., p. 12.

(8.) Pietro Prini, op.cit., p. 107.

(9.) Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, Laterza, Bari, 2021, p. 219.

(10.) Andrea Riccardi, op.cit., p. 238.

(11.) Andrea Riccardi, op.cit., p. 239. 12. A proposito di “esculturazione” si possono consultare in particolare: Danièle Hervieu-Léger, Catholicisme, la fin d’un monde, Bayard, Paris, 2003; Hyppolite Simon, Vers une France païenne?, Cana, Paris, 1999.

13. Adrien Candiard, Fanatismo! Quando la religione è senza Dio, Emi, Verona, 2021, p. 61.  

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