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Benedetto XVI, teologo dell’anti-modernità, papa dell’anti-Concilio

Benedetto XVI, teologo dell’anti-modernità, papa dell’anti-Concilio

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 14/01/2023

41327 ROMA-ADISTA. In questi giorni, quando giornali e televisioni parlano di Joseph Ratzinger, il “papa emerito” morto il 31 dicembre scorso, se si è fortunati ci si imbatte in espressioni come “grande papa”, o “grande teologo”; altrimenti in affermazioni tipo “il più grande teologo del ‘900”, o “il papa conservatore che ha rivoluzionato la Chiesa”. La realtà – come spesso capita dopo aver rimosso tutta l’ideologia e la retorica che circonda, con compiacenza, le figure di eminenti uomini dI Chiesa – è che Benedetto XVI non è probabilmente destinato a essere ricordato a lungo, né come papa né come teologo. Da papa non ha fatto che proseguire (in maniera assai meno originale e carismatica) l’opera di Giovanni Paolo II, di cui per oltre 20 anni è stato il martello dottrinale e teologico contro chiunque si opponesse all’azione restauratrice e di lotta senza quartiere al Concilio Vaticano II e ai suoi frutti. Come teologo, lo dice bene Gilberto Squizzato in una sua recente riflessione (che pubblichiamo integralmente nel fascicolo di Adista Segni nuovi allegato), «condannò ogni altro tentativo di raccontare il Vangelo con paradigmi culturali e concetti diversi da quelli della filosofia greca, imponendo come vincolanti dottrine e formule teologiche che probabilmente gli stessi Apostoli (ebrei del I Secolo) avrebbero faticato a comprendere».

Sarà piuttosto ricordato come il primo papa a rinunciare all’ufficio petrino. Ma anche in questo c’è chi – Celestino V – lo aveva fatto prima di lui. E quello che per molti è un gesto coraggioso e senza precedenti è stata forse una scelta indotta dagli scandali finanziari e da quelli legati alla pedofilia tra il clero che stavano scuotendo la Chiesa, e a cui Benedetto XVI non era più in grado di contrapporre nemmeno quell’immagine vincente e rassicurante, benevola e credibile che sarebbe poi stata la carta vincente del pontificato di papa Francesco. Benedetto XVI non volle poi nemmeno uscire definitivamente di scena, come sarebbe stato logico aspettarsi, scegliendo per sé un titolo, quello di “papa emerito”, che destò imbarazzo e perplessità nella Chiesa, e che ha aperto la strada a una diarchia che solo apparentemente Ratzinger ha rifiutato, ma che in diverse occasioni ha praticato, finendo per divenire il punto di riferimento di tutta l’ala reazionaria e tradizionalista della Chiesa che vede come fumo negli occhi le caute aperture di Francesco in tema di liturgia, laici, donne, sinodalità, divorziati risposati. Divenendo, di fatto, l’unico vero riferimento di quella parte di Chiesa cattolica in rotta totale (tranne che per gli aspetti mondani, il potere, il denaro) con la modernità.

Lo ha sottolineato lo stesso Ratzinger nel suo “testamento spirituale”, in cui – in maniera piuttosto eccentrica – ha tenuto a precisare (facendo anche i nomi!) di aver visto, nel suo impegno teologico, «crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista». E di aver capito come sia vano credere «che la scienza – le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro – siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica». Buttando così di fatto a mare oltre 70 anni di ricerca biblica e teologica.

Un carriera nel segno dell’anticoncilio

Nato in Marktl am Inn, nel territorio della Diocesi di Passau (Germania), il 16 aprile dell'anno 1927, ordinato sacerdote nel 1951, Ratzinger nel 1953 si laurea in Teologia. Nel 1957 consegue la libera docenza con un lavoro su La teologia della storia di san Bonaventura. Dopo un incarico di Dogmatica e di Teologia fondamentale presso la Scuola superiore di Frisinga, continua la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster (1963- 1966) e a Tubinga (1966-1969). Dal 1969 è professore di Dogmatica e di Storia dei Dogmi presso l'Università di Ratisbona, dove ricopre anche l'incarico di vicepreside dell'Università.

Il 25 marzo 1977 Paolo VI lo nomina arcivescovo di Monaco e Frisinga, ordinandolo vescovo il 28 maggio dello stesso anno. Sempre papa Montini lo crea cardinale nel Concistoro del 27 giugno 1977. Nel 1981 Giovanni Paolo II lo vuole in Curia per guidare, da prefetto, la Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF). Per questo, il 15 febbraio 1982 Ratzinger rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Monaco.

Puntello dottrinale di ogni iniziativa attuata da Giovanni Paolo II per normalizzare i fermenti conciliari in ogni parte del mondo, innumerevoli sono le “vittime” – vescovi, preti, religiosi e religiose, teologhe e teologi – cadute sotto i colpi del duo Wojtyla-Ratzinger. L’elenco è sterminato, ma alcuni nomi – che si riferiscono alle sole vittime dirette dell’azione di Ratzinger – danno forse un’idea del la vastità dell’operazione condotta sotto Giovanni Paolo II: Charles Curran, p. Bernhard Haering, Roger Haight, Tissa Balasuriya, Leonardo Boff, Jacques Dupuis, Anthony de Mello, Benjamin Forcano, Ivone Gebara, Jeannine Gramick, Robert Nugent, Gustavo Gutiérrez, Mattew Fox, Marciano Vidal, Paul Collins, Teresa Berger, Edward Schillebeeckx, José Maria Castillo, André Guindon, Franco Barbero, Juan José Tamayo.

Così, per meriti sul campo, nel 2005, alla morte di Wojtyla, Ratzinger sembrò a molti il suo naturale successore. Verrà eletto papa il 19 aprile 2013.

La restaurazione è servita. Tra scandali e gaffes

Una volta eletto papa, già a maggio 2005 costringe alle dimissioni il direttore del settimanale gesuita statunitense America Magazine, una delle più prestigiose riviste cattoliche degli States, p. Thomas Reese, da anni sotto stretta osservazione della CdF. A luglio, quando Londra è appena stata colpita da una serie di attentati che hanno provocato 52 morti, le agenzie diffondono il testo del telegramma che Benedetto XVI stava per inviare al cardinale di Londra, Murphy O’Connor, nel quale definiva gli attentati come «atti inumani e anticristiani», sottolineando l’idea di un conflitto anche religioso. Resasi conto dell’incidente che il telegramma avrebbe provocato con il mondo islamico, la Sala Stampa vaticana sostituì la frase incriminata con la più generica «atti barbarici contro l’umanità».

Nel 2006 Ratzinger mette mano alla Curia. Ufficialmente, per riformarla. Sostanzialmente, per sostituire ecclesiastici sgraditi. Ad esempio con l’accorpamento del dicastero per il Dialogo Interreligioso, guidato da mons. Michael Fitzgerald, con quello della Cultura, allora presieduto dal card. Paul Poupard. Fitzgerald lascia. L’accorpamento è solo un pretesto: nel 2007 Benedetto XVI ripristina il dicastero per il Dialogo Interreligioso, nominandone presidente il card. Jean-Louis Tauran. Stesso discorso per l’annessione (marzo 2006) del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, retto dal card. Stephen Fumio Hamao, al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, presieduto dal card. Renato Raffaele Martino. Hamao, che era stato l’unico cardinale ad aver sottoscritto, qualche tempo prima, un appello per l’indizione di un nuovo Concilio e ad aver più volte ribadito la necessità di un profondo aggiornamento della Chiesa, viene silurato. Poi nel 2009, i due Pontifici Consigli tornano autonomi.

Il 28 maggio 2006, nel discorso pronunciato nel campo di sterminio – al termine del viaggio in Polonia iniziato il 25 – Benedetto XVI, non nominando mai Hitler, parla del nazismo come di «un gruppo criminale», che «raggiunse il potere mediante promesse bugiarde» al popolo tedesco. Niente responsabilità per la Chiesa, nessuna per i tedeschi. La colpa è tutta dei «potentati del terzo Reich», «criminali» che avevano ingannato i tedeschi in nome «di prospettive di grandezza, di recupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza». Ratzinger tenta di attenuare le polemiche seguite al suo intervento durante l’udienza generale del 31 maggio 2006, quando, ripercorrendo le tappe del viaggio in Polonia, parla di «antisemitismo» e di «odio razziale», chiamando esplicitamente in causa Hitler.

Celeberrimo è l’episodio avvenuto il 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona. Nella sua lectio magistralis su “Fede, ragione e università”, tenuta di fronte ai rappresentanti del mondo della scienza riuniti nell’ateneo tedesco, il papa, facendo riferimento a un dialogo del 1391 tra l’imperatore Manuele II Paleologo e un dotto musulmano persiano su cristianesimo e islam, cita le parole usate dall’imperatore contro Maometto, il quale avrebbe sostenuto che la fede va imposta anche con la spada: in questo modo il papa avalla implicitamente la tesi secondo la quale il concetto di jihad equivarrebbe a quello di “guerra santa”. Ratzinger inoltre attribuisce la stesura della Sura 2,256 del Corano – «Nessuna costrizione nelle cose di fede» – al periodo iniziale della predicazione di Maometto alla Mecca, quando il profeta «era senza potere e minacciato». Una affermazione che può sottintendere che Maometto, raggiunta una posizione più forte in seno alla sua comunità, avesse cambiato opinione e si fosse invece messo a predicare la guerra santa. A seguito delle dure reazioni del mondo islamico, il papa è costretto a fare un altro deciso dietrofront: quando il discorso viene pubblicato, il 9 ottobre 2006, è corredato da ben 13 note, in 2 delle quali il papa prende esplicitamente le distanze dalle dure affermazioni dell’imperatore Manuele II Paleologo da lui stesso utilizzate, esprimendo inoltre dubbi sulla datazione della Sura 2,256.

Ancora un clamoroso dietrofront il 7 novembre 2006. A conclusione di una visita ad limina dell’episcopato svizzero (7-9 novembre), sul Bollettino della Sala Stampa viene pubblicato il discorso durissimo di Benedetto XVI: in Svizzera, dice il papa, «secolarizzazione e relativismo hanno provocato non solo la diminuzione della frequenza dei sacramenti, soprattutto la partecipazione alla messa domenicale, ma anche una messa in questione dei valori morali propri della Chiesa». Ci sono «dei fedeli, e purtroppo anche dei preti, che mettono in questione punti della dottrina e della disciplina della Chiesa». Tali sono le reazioni suscitate dal discorso presso l’opinione pubblica elvetica che la Sala Stampa vaticana afferma che il discorso «non è stato pronunciato. Esso rifletteva il contenuto di una bozza preparata precedentemente».

A dicembre 2006, mons. Stanislaw Wielgus, vescovo di Plock, fervente sostenitore di Radio Maryja, emittente polacca ultraconservatrice, populista e antisemita, viene nominato da Benedetto XVI per guidare la diocesi della capitale Varsavia. La nomina susciterà una tale ondata di reazioni negative che il 7 gennaio 2007, Wielgus leggerà in cattedrale una breve nota in cui annuncia che il Vaticano ha accettato le sue dimissioni.

Il 2007 è l’anno del Summorum pontificum, il documento che salda i rapporti con i gruppi più reazionari e tradizionalisti della destra cattolica, sdoganando la messa in latino secondo il rito il vecchio messale tridentino, con il prete che volge le spalle ai fedeli. Nel 2009 arriva anche il “perdono” concesso ai vescovi ordinati nel 1988 da Marcel Lefebvre, nonostante il divieto imposto dal Vaticano. Ma uno dei quattro, il vescovo Richard Williamson, in un’intervista, afferma che nei campi di concentramento nazisti erano morti solo 2-300mila ebrei, nessuno dei quali nelle camere a gas. Segue una crisi diplomatica con Israele e il precipitare dei rapporti con i media di tutto il mondo, una mozione di censura al papa del Parlamento belga, la richiesta di ulteriori chiarimenti da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel. Il papa, viene di nuovo costretto alla retromarcia, seppure parziale: tramite la Segreteria di Stato vaticana fece sapere che Williamson avrebbe dovuto ritrattare le sue dichiarazioni negazioniste sulla Shoah «per essere ammesso a funzioni episcopali nella Chiesa». Williamson non ritratterà nulla; ma saranno i lefebrvriani stessi a sbarazzarsi di lui, desiderosi di non compromettere la riappacificazione con Roma.

Nel 2007, durante l’incontro inaugurale della V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi svoltasi ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio 2007, Benedetto XVI nega l’imposizione violenta del cristianesimo in epoca coloniale, definendo per di più «un’involuzione» il processo di recupero delle religioni precolombiane in atto nel Continente. Nuove polemiche e nuova retromarcia: durante l’udienza generale del 23 maggio, in Vaticano, il papa ammette le «sofferenze e ingiustizie inflitte dai colonizzatori alle popolazioni indigene». Ma non parla, come nel caso del discorso di Auschwitz, delle responsabilità della Chiesa.

Nel marzo 2009, Beneddetto XVI dispone una visita apostolica alle congregazioni apostoliche femminili statunitensi, sospettate di una eccessiva “mondanizzazione”; un’altra nei confronti dell’organismo che rappresenta l’80% di esse, la Leadership Conference of Women Religious (Lcwr). La prima si concluderà all’inizio del 2012, la seconda pochi mesi più tardi con una “valutazione dottrinale” molto severa e l’ordine di una riforma degli statuti della Lcwr. Nel marzo 2009 scoppia – sotto la spinta dei media internazionali – il caso dei Legionari di Cristo, sottoposti a una visita apostolica da parte del Vaticano. Il fondatore, p. Marcial Maciel Degollado, morto nel 2008, era sfuggito a un processo canonico per i numerosi abusi sessuali commessi in vita solo perché Ratzinger, nel 2006, aveva archiviato il procedimento a suo carico, ingiungendogli solo di ritirarsi a vita privata.

Nel 2020 papa Rtzinger viene lambito dagli scandali pedofilia in Irlanda, Germania, Usa, Austria e Italia e in altri Paesi del mondo per la vicenda di un prete tedesco trasferito nel 1980, dopo essere stato accusato di abusi sessuali, dalla diocesi di Essen a quella di Monaco di Baviera, dove Ratzinger era arcivescovo. Qui, il prete pedofilo era stato di nuovo assegnato al servizio in parrocchia e anche nel capoluogo bavarese aveva commesso abusi su ragazzi.

Nel giugno 2011 Ratzinger nomina il suo “pupillo”, il card. Angelo Scola, come arcivescovo di Milano, operando un inedito e incredibile trasferimento di un prelato da una prestigiosa sede, Venezia, a un’altra, Milano, con il solo scopo di collocare Scola in pole position per un Conclave a venire.

Emerito pasticcio

L’11 febbraio 2013, logorato dalle lotte interne alla Chiesa, dagli scandali, dalla ormai palese incapacità di essere autorevole e credibile di fronte all’opinione pubblica laica e cattolica, davanti ai cardinali riuniti nella Sala del Concistoro Benedetto XVI annuncia a sorpresa: «Declaro me ministerio renuntiare». Ratzinger rinunciava al ministero petrino, a partire dalle ore 20 del 28 febbraio. Da allora ha vissuto nel monastero Mater Ecclesiae, non uscendo mai dal territorio vaticano se non in due occasioni, una visita a Castel Gandolfo al suo successore, papa Francesco, e il viaggio in Germania nel 2021, in occasione della morte del fratello Georg; ma esercitando comunque una leadership che ha creato non poche tensioni con il papa regnante. Due episodi su tutti: il segretario particolare di Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein, dichiarò (2016) «Non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo». «Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l'appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora Santità. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all'interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del papato».

La bontà di questa tesi emerge nel 2020, a poche settimane dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Querida Amazonia di Francesco, quando ancora si paventava l’ipotesi che il papa potesse aprire all’ordinazione delle donne o a quella dei “viri probati”, venne pubblicato un libro a quattro mani scritto da Benedetto XVI con il card. Robert Sarah, che sbarrava a suon di ragioni dottrinarie la strada a ciscuna di queste ipotesi. Anche qui il solito teatrino: Ratzinger si dichiara estraneo a tutta l’operazione editoriale. Gänswein fa sapere all’Ansa di aver chiesto al card. Sarah «di contattare gli editori del libro pregandoli di togliere il nome di Benedetto XVI come coautore del libro stesso e di togliere anche la sua firma dall’introduzione e dalle conclusioni». Poi però la casa editrice ribadisce che il libro è frutto di un lavoro condiviso – durato mesi – tra i due ecclesiastici. E il nome di Benedetto XVI rimane.

Al 2018 risale invece il cosiddetto “Lettergate”. Il 12 marzo, in occasione della presentazione di un’opera in 11 volumi curata da diversi autori sul magistero di papa Francesco (La teologia di papa Francesco), mons. Dario Viganò, allora prefetto della Segreteria per le Comunicazioni, legge una lettera di Ratzinger, al quale era stato chiesto, un mese prima, di scrivere una recensione dell’opera. Viene però letta solo una parte della lettera (datata 7 febbraio): quella in cui il papa emerito si oppone «allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica». Ma Viganò omette – con successivo evidente imbarazzo vaticano quando la “censura” venne scoperta – la parte in cui Ratzinger criticava la scelta di includere, nell’opera, anche un contributo del teologo Peter Hünermann il quale, fortemente critico verso il pontificato wojtyliano, era stato tra i firmatari della dichiarazione di Colonia e aveva osteggiato l’enciclica di Giovanni Paolo II Veritatis splendor sull’infallibilità papale riguardo a temi etici.

L’ultima – e drammatica – vicenda è datata 2021. In gennaio, un rapporto commissionato dalla diocesi di Monaco allo studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl afferma che Benedetto XVI, quando era arcivescovo di Monaco, tra il 1977 e 1982 avrebbe coperto quattro casi di pedofilia. Pochi mesi dopo, a giugno un 38enne della Baviera denuncia al tribunale civile di Traunstein di essere stato vittima di abusi sessuali da parte di un prete pedofilo e accusa Ratzinger di essere «a conoscenza della situazione», ma «di non aver fatto abbastanza». Il processo prosegue.

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza 

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