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Parole A MARGINE. Salvagente

Parole A MARGINE. Salvagente

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 11 del 25/03/2023

Salvagente è un oggetto, ma è anche un “imperativo morale”. Come oggetto, se ne trova traccia già negli scritti del filosofo Plutarco, al tempo dell’Impero Romano. Poi figura tra le invenzioni di Leonardo e porta la didascalia “modo di salvarsi dalla tempesta”. Per la Legge del Mare è il prolungamento della mano che salva. Senza distinzioni. Salva la gente. Da bambini, l’abbiamo portato con noi al mare. “Piccolo pedagogo” prima di imparare a nuotare.

“Salvagente” così, fattosi un’unica parola, dice sia il gesto di chi lo lancia, sia di chi lo riceve. Chi lo riceve si salva dal naufragio, chi lo lancia si salva dalla disumanità. Salva entrambi. Persona o popolo, cittadino o Stato. Salvagente è imperativo morale. Come recita una delle più celebri espressioni del filosofo Immanuel Kant, nella parte conclusiva della Critica della ragion pratica: «Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me». La legge morale in me, in noi, suona così: “Salvagente!”.

In questi giorni ci domandiamo sotto un cielo stellato, che ha visto una strage di bambini, donne e uomini affondati nel mare sulle spiagge della Calabria, dove è finita la legge morale? Parafrasando Croce, potremmo chiederci: “Possiamo ancora dirci umani”? Quello che è avvenuto a Cutro sembra dire questo: dov’è finita la legge morale in me? In noi? Corpi di bambini, sulla riva insieme ai loro giochi, domandano : cos’è naufragato qui? Noi, vittime di questa strage o voi? Non è naufragata la vostra umanità negata per omissione di soccorso? Sono naufragati i nostri figli che sono morti a pochi metri dalla riva, o i vostri figli che non li hanno salvati? L’imperativo morale:“Salvagente” è stato eluso, disatteso, tradito. Il cielo sopra di noi non può essere stellato.

E mentre il presidente Mattarella, portando sulle spalle la Costituzione, come un padre fa con la propria bambina, per mostrarla e al contempo proteggerla, si ferma in silenzio e piange; il governo si riunisce in quella terra di dolore, per un consiglio dei ministri straordinario, con questo obbiettivo : lanciare un salvagente a sé stesso. Ripete che non è responsabile, che non c’entra. Che è colpa di chi manda i figli oltre il mare. Incautamente. Perché, insegnando la morale, il governo dice, che è irresponsabile mettersi in fuga. Come se non sapesse che si fugge dalla guerra, dalla morte, dalla violenza. Un governo irresponsabile insomma dà lezioni di responsabilità ai vivi e ai morti. Anzi no. Perché non va nemmeno a trovarli, i vivi, i superstiti. E non va a trovare i morti disposti nelle bare.

Edgar Morin parla in un suo libro sulla morte di «passaporto sentimentale» per determinare quando possiamo essere considerati «umani». Tale passaporto, dice, «contiene una commovente rivelazione»: è la sepoltura. Il passaggio all’ominazione, secondo lo studioso francese, oltre che dall’uso dell’utensile, è determinato dalla sepoltura dei morti. E precisa: «Gli uomini di Neanderthal non erano i bruti che si è detto. Hanno dato sepoltura ai loro morti». Andare a Cutro e non fermarsi davanti ai morti, vittime della strage nel mare, significa non essere umani. Non conoscere l’alfabeto dei simboli: il silenzio, il lutto, il pianto. L’abbraccio. Significa aver perso la lingua che ci rende umani. Questo attesta che non si è persa solo la pietà (la pietas latina), ma che si è persa anche la vergogna.

Se un governo ha perso il cuore, noi dobbiamo essere quella Antigone che, per la legge morale che è dentro di noi, dà sepoltura ai morti. Ma soprattutto dobbiamo obbedire alla legge morale che in noi grida: Salvagente! Se non lo faremo l’umanità scomparirà. L’umanità in noi. E mentre un uomo-manager di fiducia del governo, Claudio Anastasio, copia e fa proprio uno dei discorsi più aberranti e vergognosi di Mussolini, quello in cui il dittatore dichiara la personale responsabilità sul delitto Matteotti, noi vogliamo metterci tutte e tutti la Costituzione sulle spalle, e scandire forti le parole di Giacomo Matteotti: «Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai».

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