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A Cutro, la compassione

A Cutro, la compassione

Tratto da: Adista Notizie n° 11 del 25/03/2023

Nella lunga fila di cittadini scesi a “Steccato” di Cutro l’11 di Marzo per la Manifestazione “Fermiamo la strage subito” non c’erano i soliti manifestanti in cerca di risposte a rivendicazioni di categoria. Erano cittadini con le proprie bandiere associative, ma con un’unica bandiera, condivisa nel suo significato profondo: quella della solidarietà e del dolore, piantata nell’animo sconvolto da una tragedia francamente evitabile.

Evitabile certo, se la narrazione protezionistica della cultura del “Prima gli Italiani” e delle farneticanti strategie su improbabili blocchi navali non avesse prodotto respingimenti anziché accoglienza. Se non si fosse, in via prioritaria, decretato di allertare le polizie piuttosto che i mezzi di soccorso. Se non si fosse legittimata l’idea che valgono di più le coscienze insensibili dei sacerdoti stanziali, piuttosto che la generosità dei pochi samaritani che si prendono cura della sofferenza.

A Cutro, come nella parabola del samaritano a Gerico, la compassione è emersa nell'animo delle persone “semplici” cutresi – in primis l’ormai noto pescatore – che si sono riversate sulla spiaggia per portare soccorso in un tragico momento di bisogno. Una coda di manifestanti, unita dal dolore e dalla rabbia per una strage di incolpevoli vite umane non baciate dal mar Rosso che si apre all'esodo. Ma, a parte il mare, in questo caso lo Ionio, non baciato dal miracolo biblico, gli attori erano gli stessi: le vittime che scappavano dalle nuove schiavitù e che orientavano gli ormeggi verso quell'Occidente che le ha affamate prima col colonialismo violento e brutale delle guerre di conquista; poi, con quello edulcorato dai cosiddetti esportatori delle (proprie) democrazie che hanno saccheggiato, tra l'altro, pozzi di petrolio e miniere di coltan.

Alla testa del corteo, la croce costruita con i pezzi rimasti del barcone che trasportava disperazione e non invasori. Al centro del corteo, aggrappati allo striscione della Rete 26 Febbraio, i familiari dei morti già seppelliti, quelli dei morti da seppellire e quelli che aspettano che i loro cari siano espulsi dal mare.

Sì, “espulsi” è la parola giusta: espulsi dalla loro terra, espulsi dall'Occidente opulento e poco misericordioso. Tutto in un silenzio tombale, salvo le intermittenti grida di contestazione all'attuale governo del Paese, tempestivo come un orologio svizzero a mettere timbri sui decreti anti-migranti nella protocollare sala consiliare del Comune di Cutro.

Nessun accenno per spiegare come, di fronte al galleggiamento insicuro di un barcone ridondante di esseri umani (non carico residuale!), si sia scelto di inviare la Guardia di Finanza e non la Guardia Costiera. Come se, di fronte a un incidente sulla strada o su un cantiere, si facciano intervenire prima i carabinieri per verbalizzare le colpe e dopo, se resiste ancora il respiro, l'ambulanza per il soccorso.

Con questi interrogativi, colmi di dolore, abbiamo raggiunto, anche noi di Pax Christi-Punto Pace di Lamezia Terme, la spiaggia di Cutro. Tante le domande sui motivi di questa tragedia. Su tutti, l'interrogativo più importante in merito a ciò che si doveva fare. E non si è fatto.

Una “risposta”, senza doverla attendere dai responsabili istituzionali, a diverso titolo, della strage di vite umane, c'è già ed è espressa in quella variegata coda di uomini e donne allo “Steccato” di Cutro: la manifestazione di un profondo dolore collettivo, piena di compassione e di rifiuto dell'indifferenza.

Fiore Isabella è nota di Pax Christi, Punto Pace di Lamezia Terme (CZ)

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