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Chiesa e patriarcato. Le apostole con Gesù

Chiesa e patriarcato. Le apostole con Gesù

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 2 del 20/01/2024

La discussione sul patriarcato si è accesa ultimamente sui media dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin da parte del suo ex fidanzato e per le parole della sorella della vittima. Il termine patriarcato significa letteralmente “dominio del padre” (archéin greco significa dominio). In senso ampio e generale viene utilizzato per indicare un ordinamento sociale in cui l’autorità e il potere sono tradizionalmente concentrati nelle mani degli individui maschili: gli uomini detengono una predominanza di potere e di privilegi spesso a discapito delle donne. Così è stata la storia della società occidentale dalle sue origini fin dopo la seconda guerra mondiale, con rare eccezioni. Tra le rare eccezioni c’è, nel passato, Platone con quanto scrive sulle donne nella sua opera La Repubblica.

Tra queste eccezioni c’è sicuramente anche Gesù Cristo e l’apostolo Paolo ed è ciò che interessa a noi. Con la predicazione di Gesù del regno di Dio, cambia anche l’atteggiamento verso le donne. Il regno di Dio non è né la Chiesa, né il Paradiso, ma è formato da chi, anche oggi, segue il messaggio di Gesù e le sue parole. Nel regno di Dio non ci sono più differenze né sociali, né di genere, perché, come ha capito bene l’apostolo Paolo, in Cristo «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28), cioè in Cristo Gesù siamo tutti uguali! La lettera ai Galati fu scritta verso il 56, se dai cristiani fosse stato seguito questo pensiero, si rivoluzionava il mondo 2.000 anni fa!

Nei Vangeli Gesù non ha solo discepoli, ma anche discepole, molte discepole. Diverse donne lo seguivano e avevano cura di lui: «Egli se ne andava per città e villaggi predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui [syn autò in greco] i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata la Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode, Susanna e molte altre che lo servivano con i loro beni» (Lc 8,1-3). Le donne stavano con Gesù come i Dodici, formavano una comunità unita a Gesù, erano con lui (syn autò: G. Barbaglio, Gesù ebreo di Galilea. Indagine storica, EDB, Bologna 2002, 379).

Gesù si intrattiene tranquillamente con una donna, la Samaritana, tanto che anche i suoi discepoli se ne meravigliano (Gv 4,1-30). È in rapporto di familiarità con Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro (Lc 10,38-42), salva una donna accusata di adulterio (Gv 8,1-11) e si lascia baciare i piedi da una peccatrice. Come scrive Luca: «Stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo» (Lc 7,38). A questa donna Gesù dice delle parole tra le più belle del Vangelo: «Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato» (Lc 7,47).

Questa attenzione di Gesù per le donne è qualcosa di straordinario, come scrive J. Jeremias: «Si ha qui qualcosa che è davvero sorprendente; Gesù si distacca dai costumi che tengono segregata la donna» (J.Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1972, 259). Tutto questo a quel tempo doveva suscitare molto clamore: un gruppo di donne faceva parte attiva del circolo stretto attorno a Gesù, era uno scandalo.

Tutto questo è confermato dal fatto che le donne sono presenti, a differenza degli uomini, nei momenti più cruciali della vita di Gesù: alla croce, al sepolcro e annunciano la sua risurrezione. Esse hanno mantenuto verso di lui un coraggio e una fedeltà che i Dodici e altri discepoli non hanno avuto. Scrive Marco: vi erano alcune donne che osservavano da lontano la crocifissione di Gesù «tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses e Salome, le quali quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme» (Mc 15,40-41). Erano le donne che avevano seguito Gesù a Gerusalemme nel suo ultimo viaggio, 130 km circa, 4-5 giorni di cammino, pernottando in qualche luogo, con molti disagi, soprattutto da parte delle donne. Esse sono presenti alla sepoltura e alla tomba di Gesù. Commovente un passo di Matteo: Gesù viene messo nella tomba da Giuseppe di Arimatea, poi anche questi se ne va. Chi rimane di fronte alla tomba? Due donne: Maria di Magdala e l’altra Maria con il loro amore: «Lì sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Magdala e l’altra Maria» (Mt 27, 59-61). E poi, passato il sabato, «Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salomé, comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levar del sole» (Mc 16,1-2; vedi anche Mt 28,1-10; Lc 24,1-10; Gv 20,1). E poi esse danno l’annuncio della risurrezione di Gesù.

Per questo, nelle comunità cristiane delle origini le donne avevano importanza, come vedremo, e poi, finito il I secolo, anche la Chiesa si adattò alla mentalità patriarcale, anche sulla base di quanto è scritto nella I lettera a Timoteo che non è dell’apostolo Paolo: «La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo, rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato fatto Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza» (1Tm 2,11-15). È un testo tipicamente patriarcale che si trova nel Nuovo Testamento, che per tanti secoli è stato attribuito all’apostolo Paolo e che la Chiesa ha seguito, in piena contraddizione con quanto Paolo scrive nella lettera ai Galati, il testo di sopra, Gal 3,28, e nella prima lettera ai Corinzi 11,5, dove le donne pregavano e profetizzavano nelle riunioni comunitarie. Vedremo poi l’importanza che hanno le donne nella lettera ai Romani.

In 1Cor 14,34-35 troviamo però scritto: «Le donne nelle assemblee tacciano, perché non è loro permesso parlare; siano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualcosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea!». La prima lettera ai Corinzi à di Paolo, ma questa frase non è di Paolo: è una glossa aggiunta in seguito. Questi versetti infatti interrompono, come scrive la Bibbia TOB, «la trattazione sui profeti (vv. 29-33… 37-40), contraddicono 1Cor 11,5, sembrano fuori argomento in capitoli che non trattano affatto del ruolo delle donne nelle assemblee. Paolo poi non ha la consuetudine di ricorrere alla Legge per risolvere un caso di disciplina comunitaria. La glossa potrebbe essere stata inserita forse sotto l’influsso di 1Tm 2,11-15, quando le lettere di Paolo vennero riunite in collezione».

Il ruolo delle donne nelle prime comunità cristiane è molto chiaro alla fine della lettera ai Romani (16,1-16); Paolo ne elenca diverse con ruoli importanti di collaboratrici, e troviamo donne anche in altri testi.

Febe: «Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio [diakonon, diaconessa] della Chiesa di Cencre; accoglietela nel Signore, come si addice ai santi e assistetela in qualunque cosa possa aver bisogno di voi; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso» (Rm 16,1-2).

Prisca (o Priscilla): «Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù. Essi per salvarmi la vita, hanno rischiato la loro testa e a loro non soltanto io sono grato, ma a tutte le Chiese del mondo pagano. Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa» (Rm 16,3-5). Prisca e Aquila sono moglie e marito, nominati diverse volte da Paolo: «Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca con la comunità che si raduna nella loro casa» (1Cor 16,19),

Maria: «Salutate Maria, che ha fatto molto per voi» (Rm 16,6).

Giunia: «Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia; sono insigni tra gli apostoli ed erano in Cristo prima di me» (Rm 16,7). Paolo li chiama apostoli; Giunia è l’unica donna nel Nuovo Testamento ad essere chiamata apostolo.

Trifena e Trifosa: «Salutate Trifena e Trifosa, che hanno faticato per il Signore» (Rm 16,12).

Perside: «Salutate la carissima Perside, che ha tanto faticato per il Signore» (Rm 16,12).

La madre di Rufo: «Salutate Rufo, prescelto dal Signore, e sua madre, che è una madre anche per me» (Rm 16,13).

Patroba: «Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma e i fratelli che sono con loro» (Rm 16,14).

Giulia e la sorella di Nereo: «Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i santi che sono con loro» (Rm 16,15).

Evodia e Sintiche sono ricordate nella lettera ai Filippesi: «Esorto Evodia e esorto anche Sintiche ad andare d’accordo nel Signore. E prego anche te, mio fedele cooperatore, di aiutarle, perché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita» (Fil 4,2-3). Nel descrivere l’attività di Evodia e di Sintiche, Paolo usa la parola greca synethlesan (hanno combattuto), da cui derivano le parole atleta e atletica. «Questo rende l’idea dell’energia e dell’impegno che esse avevano investito nella diffusione del Vangelo. Esse lo predicano allo stesso modo di Paolo, di Clemente e di altri, e non c’è alcuna distinzione tra i contributi degli uomini e quelli di queste donne. Erano tutti collaboratori» (J. Murphy O’- Connor, Paolo. Un uomo inquieto, un apostolo insuperabile, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009, 91). Le donne lavoravano come gli uomini nella comunità di Filippi e probabilmente Evodia e Sintiche erano a capo di qualche Chiesa domestica e forse da qui il loro disaccordo.

Lidia: a Filippi troviamo anche una certa Lidia che invitò Paolo a stare nella sua casa finché fosse rimasto a Filippi (At 16,15). «Possiamo ritenere che la casa di Lidia fosse diventata il luogo dove i cristiani inizialmente si incontravano, e quindi che essa abbia preso parte all’evangelizzazione di Filippi» (Murphy O’ Connor, Paolo. Un uomo inquieto, 91).

Apfia: «Al carissimo Filemone, nostro collaboratore, alla sorella Apfia, ad Archippo nostro compagno nella lotta per la fede e alla comunità che si raduna nella tua casa» (Fm 1-2).

Il ministero di Paolo era dunque un ministero cooperativo di uomini e di donne. Sicuramente Gesù non rientra nella categoria del patriarcato, come neppure l’apostolo Paolo. E la Chiesa di oggi?

Ermanno Arrigoni, laureato in Filosofia, dottorato in Teologia alla Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale di Milano, ha insegnato Storia e Filosofia al liceo

*Foto da Unsplash, immagine originale e licenza

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