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Pretioperai. Una storia di cui essere fieri

Pretioperai. Una storia di cui essere fieri

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 30/03/2024

 «“Se qualcuno di noi ne sa di più, ci racconti. Ho la vaga sensazione che ci sia da scoprire una delle tante storie di cui noi PO dovremmo essere fieri…”. Così avevo scritto nel post precedente, a proposito della recente morte di uno sconosciuto preteoperaio olandese di nome Frans Van der Hoff (1939- 2024). Ed ecco che un PO francese conosciuto da parecchi di noi, Antoine Bréthome, ci ha passato il racconto di cui avevamo bisogno per capire che sì, di Frans Van der Hoff possiamo, anzi, dobbiamo essere fieri». Così scrive Luigi Consonni sul blog “Pretioperai”, presentando lo scritto di Bernard Massera, preteoperaio di Parigi, che riportiamo di seguito in una traduzione di PO. 

Frans van der Hoff è nato nel 1939 in una povera famiglia di contadini del Brabante, nei Paesi Bassi, tra sedici fratelli e sorelle. Terminati gli studi secondari, sceglie di entrare l’8 settembre 1962 nella congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore (Dehoniani), che gli appare «orientata ad aiutare i più bisognosi».

Studia filosofia e teologia all’Università di Nimega, dove partecipa attivamente ai movimenti di protesta di quel periodo. Viene ordinato sacerdote il 20 aprile 1968. Ottenuta la laurea in teologia ed economia politica, insegna per un breve periodo a Ottawa (Canada).

Nel 1970 Van der Hoff va a lavorare come prete-operaio in una miniera di rame a nord di Santiago, in Cile. Il colpo di Stato del 1973 che rovescia il presidente Allende lo costringe a fuggire e a rifugiarsi in Messico. Vivendo in una baraccopoli di Città del Messico, lavora in una fabbrica di automobili, da dove viene licenziato per «attivismo sindacale».

Per allontanarlo (e forse anche per preservarne l’incolumità), viene inviato alla diocesi di Oaxaca. E lì, tra le montagne dell’istmo di Tehuantepec, si sente profondamente a casa. Condivide la miseria degli indios zapotechi, «la sua seconda famiglia». Con loro diventa coltivatore di caffè, sopravvivendo con due dollari al giorno.

«Ho scoperto che la sapienza dell’Occidente non era granché. Ho assorbito molta della saggezza degli indios, una diversa percezione dell’uomo, l’arte della sopravvivenza».

Nel 1981 è uno dei soggetti dell’assemblea costitutiva dell’U-ciri (Unión de Comunidades Indígenas de la Región del Istmo), durante la quale un centinaio di contadini si è dedicato a una “analisi della realtà” e hanno gettato le basi per un commercio equo e solidale, ai margini del mercato internazionale, con un minimo di intermediari. La cooperativa permetterà di aggirare i grandi commercianti (i “coyotes”) che sfruttano i contadini produttori arrivando fino ad assassinare i leader della loro organizzazione.

La cooperativa, con un funzionamento democratico e partecipativo, centralizza il caffè, organizza la vendita diretta, utilizza parte degli utili per programmi sociali o educativi. Il “Padre”, laureato in economia, vi porta la sua conoscenza dei mercati internazionali. Attraverso il suo carisma e il suo senso dell’organizzazione, riuscirà a unire migliaia di agricoltori in un quadro che combina l’azione collettiva con la responsabilità individuale di ogni produttore.

Alla fine degli anni ‘80, quando fu necessario trovare sbocchi per il caffè nei Paesi occidentali, Frans Van der Hoff unì le forze con una ong olandese per fondare “Max Havelaar”, dal nome dell’eroe di un romanzo olandese del XIX secolo che denunciava lo sfruttamento coloniale nelle Indie Orientali Olandesi. Inizia così la diffusione del caffè della cooperativa, su un modello che si diffonderà in altri Paesi, in particolare in Francia.

Con l’avanzare dell’età, Frans van der Hoff lascia le sue responsabilità. Rimane nel suo villaggio vivendo della vendita dei pomodori e delle uova delle sue galline e partecipando alle attività della comunità cristiana.

Frans ha messo tutta la sua energia, tutte le sue conoscenze e competenze al servizio dell’emancipazione e della crescita degli uomini, delle donne, dei bambini, di tutto il suo popolo; ne parlava con passione ma anche con grande tenerezza. La tenerezza di Dio. Ne parlava anche con gratitudine perché aveva imparato da queste popolazioni sofferenti quali fossero i veri valori della vita e del rispetto per la terra che nutre. Lui, carico dei suoi titoli di studio, era convinto che se aveva qualcosa da offrire, aveva soprattutto molto da imparare perché «è ai piccoli che il Signore ha rivelato tutte le cose»!

Frans era “il Padre”, in mezzo al suo villaggio messicano. Lo è stato perché era profondamente umano e perché amava queste persone per le quali ha dato la vita. Attraverso lui ha preso forma l’Amore di Dio «consegnato per la moltitudine». Era il “Padre” perché sapeva unire le energie di tutti e dare a tutti un posto riconosciuto. Ma lo era anche perché lui e il suo popolo sapevano vedere i segni di un mondo fraterno che si andava costruendo. Sapeva individuare lì la traccia dello Spirito. Ha saputo con il suo popolo renderne grazie a Dio, farne Eucaristia.

Interrogato sulla cooperativa e il suo sviluppo, Frans si rifiutava di parlare di successo, nonostante Max Havelaar fosse presente in 80 Paesi, con un fatturato di circa 4 miliardi, con un milione e mezzo di famiglie di piccoli produttori che ne hanno beneficiato. Si rifiutava di parlare di successo perché i poveri sono sempre poveri, perché 3 dollari al giorno per vivere sono meglio di 2, ma sono comunque insufficienti… perché «la miseria resta miseria». Ma anche perché temeva che il commercio equo, diffondendosi troppo, perdesse la propria anima.

Frans denunciava le multinazionali dell’alimentazione, che aggirano i piccoli produttori spingendo verso il basso i loro ricavi; e i giganti del caffè che sfruttano il settore del commercio equo e solidale. Pericoli che gli facevano perdere la calma: «È assurdo: chiederemo soluzioni al diavolo, anche se è lui che ha creato il problema!».

Fedele al suo popolo a cui aveva donato la vita, è morto il 13 febbraio 2024.

Un po’ come papa Francesco nella Laudato si’, Van der Hoff constata la messa in discussione, nelle nostre società, della democrazia apparentemente “rappresentativa”, che non solo apre la strada a una plutocrazia sempre più irresponsabile che ignora i diritti umani, ma distrugge ogni giorno di più la nostra Terra.

Frans testimonia come i piccoli agricoltori, senza mezzi, sono riusciti a creare un movimento che garantisce un mercato più giusto e più unito.

In particolare mostra come questi contadini, tra i più poveri, vivono valori essenziali fatti di semplicità, solidarietà, rispetto della natura e dei suoi ritmi.

Queste vite contadine, questi modi di essere e di vivere sono, per la nostra umanità, veri e propri percorsi verso il futuro rispettoso della natura e degli esseri umani. Sfidano la vacuità del nostro pensiero unico occidentale.

Van der Hoff ci invita a «camminare verso un nuovo paradigma che non si basi sulla massimizzazione del profitto o sul farsi guidare da statistiche astratte come il PNL (prodotto nazionale lordo), ma che si occupi di tutto il nostro essere, natura e spirito, della qualità della vita: la nostra, quella delle nuove generazioni e quella della natura…».

«Il contributo dei popoli indigeni consiste nell’integrazione di tre fattori: la lotta contro lo sfruttamento, la lotta contro la violenza attraverso la resistenza attiva e la lotta pacifica per il rispetto della natura e dell’ambiente… La questione ecologica, associata alle questioni di giustizia e di pace, danno una nuova dimensione alla lotta per la vita e contro le forze della morte e della miseria. La violenza che colpisce la vita umana in termini di ingiustizia, oppressione o esclusione ha le stesse radici e gli stessi effetti della violenza usata contro la natura».

In queste analisi e osservazioni c’è come la freschezza di un respiro evangelico che viene dall’esperienza umana di un discepolo di Cristo. Frans Van der Hoff conosce la “gioia del Vangelo” perché sa percepire i segni del Regno nella vita dei suoi amici contadini.

«Certamente – ha detto – non creeremo un paradiso sulla Terra, ma non è meglio sognare a occhi aperti che continuare ad accettare a occhi chiusi lo sfruttamento?”

Premi e riconoscimenti di Frans Van der Hoff

2005: nominato Cavaliere della Legion d’Onore dal Presidente della Repubblica francese Jacques Chirac.

2006: premio “Nord Sud” del Consiglio d’Europa.

Nominato Comandante dell’Ordine della Corona (Belgio) dal Ministro belga della Cooperazione e dello Sviluppo.

Dottorato onorario presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) per i suoi sforzi nella creazione di un’“Altra Economia”.

Riceve il Groeneveldprize dalla Fondazione Groeneveld nei Paesi Bassi per i suoi sforzi speciali nella conservazione della natura e dell’ambiente.

2012: Dottore Honoris Causa presso l’Università di Nizza.

Pubblicazioni di Frans Van der Hoff

"Manifeste des pauvres”, Edizione “Encre d’Orient” 2010.

In questo piccolo testo di un’ottantina di pagine, Frans Van der Hoff mostra con chiarezza indiscutibile quanto è stato provocato, in ambito sociale e ambientale, dalle crisi del nostro modello economico, in particolare quella del 2008. A partire dalla sua esperienza di prete-operaio con i più poveri e di economista, Frans apre alcune prospettive alternative.

La voie des paysans. D’un commerce équitable à un marché juste (La via dei contadini. Dal commercio equo al mercato giusto) / Editions Actes Sud 2019

Questo saggio di circa 150 pagine è stato originariamente scritto in spagnolo e pubblicato in Messico. La sua pubblicazione in francese arriva in un momento in cui il nostro Paese, come molti altri, attraversa una vera e propria crisi di rappresentatività, mentre si sviluppa una consapevolezza sempre più acuta sui temi dell’ecologia e della produzione biologica.

*Foto presa dal sito di Preti Operai, immagine originale 

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