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La pace non va in vacanza

La pace non va in vacanza

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 18 del 18/05/2024

Ci sono momenti della storia in cui sembra che l’umanità venga aspirata in un gorgo di morte. Questo è uno di quei momenti, anche se molti non se ne rendono conto fino in fondo.

Sebbene i capi delle nazioni, succubi dei detentori del potere economico, siano i primi responsabili di tale tragedia, anche noi, per la nostra inerzia, non possiamo dirci innocenti.

Anni addietro padre Ernesto Balducci aveva coniato la felice espressione: se vuoi la pace, prepara la pace. Noi siamo tra coloro che continuano con ostinazione a crederci, a dispetto dei venti di guerra che sembrano spirare incontrastati in ogni angolo del pianeta, dal centro dell’Europa, al Medio Oriente, all’Africa, all’Estremo Oriente.

Siamo dei pazzi, dunque, degli sciocchi idealisti che non capiscono le logiche del mondo, o addirittura degli utili idioti al servizio dei nemici della democrazia (vedi Putin, Hamas o chi per loro)?

Così viene presentato il papa quando parla del coraggio di “alzare bandiera bianca”. Riferendosi al conflitto tra russi e ucraini, Francesco intendeva un cessate il fuoco immediato e permanente: la diplomazia deve sostituirsi al fragore delle armi perché il coraggio del compromesso, non una guerra condotta ad oltranza con una scia senza fine di morte, distruzione e odio, è l’unica soluzione ragionevole, è la vittoria della vita sulla morte.

L’altro conflitto, a due passi dalla porta di casa dell’Europa, è quello che insanguina la Palestina e che rischia di infiammare tutto il Medio Oriente.

Se a ottobre siamo rimasti inorriditi di fronte alle efferatezze di Hamas compiute contro inermi cittadini israeliani, oggi, dopo sei mesi di incessanti bombardamenti su Gaza, di fronte a tante distruzioni, a tanta brutalità e a tanto sterminio, non possiamo che urlare tutto il nostro dolore e il nostro disgusto.

Israeliani, fermatevi. Come fate a ritenervi ancora nel giusto? Come fate a ritenere democratico uno Stato, il vostro, che si rende responsabile di tali crimini di guerra aggravati dalla pulizia etnica? E se le remore morali non sono sufficienti a fermarvi, pensate almeno che vi state costruendo un futuro di terrore, perché a chi non ha nulla da perdere verrà naturale rifugiarsi nell’estremismo islamista, e allora non sarete al sicuro in nessun cinema, teatro, luogo di ritrovo o mezzo di trasporto, sempre a rischio che una bomba, una pallottola o un semplice coltello metta fine alle vostre vite.

Terrore e odio: un serpente che si morde la coda. La guerra genera mostri. E veniamo alle nostre responsabilità di Italiani, di cittadini dell’Occidente. In spregio alla nostra bellissima Costituzione (un Vangelo laico, come la definì il Sindaco La Pira) continuiamo a mandare armi a Israele, come, tra l’altro, non ne avesse già abbastanza, in grado di annientare non solo la striscia di Gaza, ma tutta la Palestina, o almeno quel che ne rimane dopo l’invasione di coloni in tanta parte del suo territorio.

L’orrore del 7 ottobre non può né deve indurci a sostenere politicamente e militarmente un Paese che in risposta al terrorismo di Hamas continua a distruggere Gaza, provocando decine di migliaia di morti di cui si sono trovati i cadaveri, e di quanti altri nascosti sotto le materie.

Combattere i terroristi? Se la lotta al terrorismo significa distruggere case, ospedali, scuole, chiese; se significa distruggere i corpi, ma anche le menti e gli animi dei sopravvissuti, senza cibo, senza acqua, senza più figli, madri e padri, senza più una mano, una gamba o tutte e due, senza più speranza nel futuro, allora significa che i responsabili di tanto dolore sono diventati dei mostri, proprio come i terroristi responsabili della strage del 7 ottobre.

Scrive Gideon Levi, intellettuale israeliano: «L’attentato del 7 ottobre non cambia i fatti: da oltre un secolo opprimiamo i palestinesi, ora annientati dalla guerra di Netanyahu. La verità è che siamo diventati come i terroristi di Hamas che diciamo di voler fermare».

E cosa mai potrà raccontare, quando tutto sarà finito, se mai finirà, un palestinese di Gaza sopravvissuto? Scrive la giornalista Youmna El Sayed: «Non potrò mai dimenticare che i miei figli avevano sete, e non c’era acqua; che avevano fame, e non c’era cibo».

Come esseri umani, tanto più come cristiani, non possiamo restare indifferenti di fronte a tanta ingiustizia, dolore e sofferenza.

Per questo nella nostra diocesi di Firenze un gruppo di parrocchie, che si è andato ingrossando col passare del tempo, ha preso la decisione di dedicare alla pace la prima domenica di ogni mese. Omelie, preghiere dei fedeli, appelli alla fratellanza fra i popoli sono esplicitamente dedicati al tema della pace, mentre la stessa messa, ovunque possibile, è tenuta all’aperto, quale pubblica testimonianza del ripudio di ogni guerra, come impone non solo il Vangelo, ma anche la nostra amata Costituzione, che si ispira ai valori della giustizia e della pace.

Una testimonianza, la nostra, che vorremmo efficace. Un granello di sabbia nel mare, è vero; ma sempre qualcosa di più che una semplice dichiarazione di principio buona solo per lavarci la coscienza.

Un sostegno per tutti coloro che chiedono a chi ha responsabilità politiche nel nostro paese di rispettare almeno l’obbligo di non inviare armi a Israele e a riprendere a finanziare l’Organizzazione per i Rifugiati (organismo dell’ONU preposto a portare aiuti umanitari alla popolazione di Gaza).

Bruno D’Avanzo è del Centro Studi e Iniziative America Latina; del Circolo Vie Nuove di Firenze

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