
Cantiere Cipax. Ailton Krenak e il cuore nel ritmo della terra
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 18 del 18/05/2024
Il 5 aprile scorso, Ailton Krenak, scrittore, filosofo, giornalista, attivista e leader del popolo Krenak, è entrato a far parte dell’Academia Brasileira das Letras (ABL), il pantheon letterario brasiliano, ispirato all’Académie française. Nato nel 1954, nella Vale do Rio Doce, città di Itabirinha de Mantena, Stato del Minas Gerais, Ailton Krenak imparò a leggere e scrivere in portoghese all’età di 17 anni. Guidato dalla sua profonda erudizione, dalle sue straordinarie intuizioni e dai sogni, ha scritto otto saggi sulle conseguenze del capitalismo, sul rapporto aggressivo tra la natura e il sistema di produzione e sul consumismo della civiltà occidentale. Avvertendo l’urgenza di tradurre per il mondo occidentale la cosmovisione dei popoli indigeni, Krenak si fa portavoce di forme di pensiero e conoscenze che, nel corso della storia, sono state disprezzate, emarginate, stigmatizzate e persino bollate come “semplici fiabe”. Ha ideato e coordina l’UNI (Unione delle Nazioni Indigene), un Consiglio che riunisce ben 180 etnie di lingue diverse. L’articolazione tra i Nativi fa sì che vengano strette alleanze politiche con altri movimenti e settori della popolazione civile, come gli ambientalisti che si battono per la salvaguardia dell’ambiente in tutto il mondo. Dal 2015, è tornato a vivere nei pressi del fiume Doce, chiamato Watu dal popolo Krenak, in una zona contaminata dai rifiuti tossici, dopo la rottura della diga di Fundão, di proprietà della società mineraria Samarco/BHP Billiton, avvenuta il 5 novembre di quell’anno.
Lo sversamento di 62 milioni di metri cubici di rifiuti tossici che inquinano il loro territorio, duramente conquistato, è considerato il disastro industriale di maggiore impatto ambientale nella storia del Brasile. Dallo Stato di Minas Gerais a quello dell’Espírito Santo, il bacino del fiume Doce è stato cauterizzato, trasformando l’acqua verdastra del fiume in fango tossico marrone, per circa 800 chilometri. Il villaggio Krenak conta 600 persone. Per comprendere l’opera di questo grande intellettuale, è necessario entrare nel vivo della cultura dei Nativi brasiliani, per i quali la “fine del mondo”, concepita nell’ottica occidentale, è avvenuta a più riprese, a partire del 1500, con l’arrivo del colonizzatore portoghese.
Nei suoi scritti, Ailton Krenak ci racconta di un fiume «entrato in coma, dopo un massacro durato 200 anni», portandoci a condividere il dolore di una comunità che parla e canta per il suo Watu, affinché si risvegli e torni a risplendere.
Ailton afferma che «entrando in simbiosi con noi, il fiume compare nei nostri sogni e viene a guarirci, mentre vegliamo sul suo corpo fangoso», aggiungendo che l’unico potere in grado di ripristinarlo è la Terra; allora diventa prerogativa indispensabile curarla, poiché, se malata, non permetterà al fiume di riprendersi.
Nella cultura dei Nativi Krenak, il sogno ha il potere di cambiare le pratiche che guidano la vita quotidiana, determinando l’ordine del giorno. In molte culture indigene, nel sonno, si trovano risposte e indicazioni per i dilemmi che si vivono “da svegli”, scoprendo significati e prospettive che permettono di vivere una vita diversa.
Nelle sue opere, Krenak fa una netta distinzione tra il sogno dei Bianchi, quello di un lavoro migliore, dell’auto nuova o delle vacanze, magari dopo mesi di lavoro alienante, e quello degli indigeni, più legato alla vita quotidiana e in diretto contatto con la realtà.
«Se non sogno un viaggio o un invito a lasciare il mio villaggio, significa che non ci andrò. Non so mai cosa farò» esterna lo scrittore, spiegando di «non prepararsi in anticipo per quello che dovrà dire da qualche parte, nel rispetto della tradizione orale indigena».
Alla cerimonia di insediamento dell’ABL, ad esempio, mantenne tale tradizione, con un discorso spontaneo e memorabile, nel quale ricordò non solo la lotta estenuante dei Nativi, ma anche delle donne e dei brasiliani afrodiscendenti per il riconoscimento dei loro diritti e una maggiore rappresentazione. A suo parere, gli indigeni sono tuttora oggetto di attenzione da parte dello Stato brasiliano, «in quanto esseri che vanno preservati come la fauna», oppure come individui da sorvegliare, affinché non entrino «in un processo di contestazione del potere dello Stato, dell’ordine stabilito, e quindi di messa in discussione dei crimini commessi contro i loro popoli».
In Idee per rimandare la fine del mondo, edito dalla piccola casa editrice Aboca, nel 2020, Krenak discorre sul desiderio capitalistico di «consumare non solo la natura, ma anche le nostre soggettività», invitandoci a viverle con «la libertà che siamo capaci di inventare», senza metterle sul mercato. Poi, conclude: «Dal momento che la natura viene aggredita in modo così indifendibile, cerchiamo almeno di mantenere le nostre soggettività, le nostre visioni, le nostre poetiche dell’esistenza». Le persone che vivono nella foresta avvertono la scomparsa della natura, a causa delle alterazioni del ciclo degli alberi, delle api, delle formiche, degli uccelli e della flora; dopodiché spiega che chi vive in città non avverte tali cambiamenti con la stessa intensità, perché tutto è permeato da automatismi: «ti avvicini e c’è un panificio, una farmacia, un supermercato o un ospedale». In poche parole, la consapevolezza di essere vivi è il filo conduttore di ogni sua opera. I fiumi, le foreste, il vento e le nuvole sono concepiti come «il nostro specchio nella vita quotidiana». Secondo il pensiero krenakiano, la sopravvivenza «è già una negoziazione intorno alla vita, trattandosi di un dono meraviglioso che non può essere ridotto».
Ma come ci rapportiamo con la vita? Il nostro modo di porci dovrebbe somigliare a quello dei piccoli pesci, che nuotano in un immenso oceano «in una meravigliosa fruizione». I pesci non chiedono nulla all’oceano, perché «l’oceano è vita», cioè molto più di un ambiente da sfruttare con fini utilitaristici per raggiungere un ideale di felicità, sinonimo di ricchezza materiale e potere. L’appello di Krenak a rincorrere i propri sogni pone il focus su pratiche di decelerazione per rinviare la fine del mondo. Ascoltare i sogni dei nostri cari comporta l’instaurazione di un altro rapporto con il tempo. In questo modo, impariamo ad ascoltare con la dovuta attenzione l’altro, trattandosi di un’esperienza simile a ciò che ogni mattina popoli come i Krenak, o altri, più sperduti, eseguono all’alba, come un rito per rinsaldare la vita comunitaria.
Claudiléia Lemes Dias è nata nel 1979 a Rio Brilhante, nel cuore del Brasile. Dopo essersi laureata in Legge si trasferisce in Italia dove consegue il Master in Mediazione Familiare e in Tutela Internazionale dei Diritti Umani. Pubblica numerosi articoli giuridici in portoghese e italiano
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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