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"Donne in Arena di Pace": il documento integrale

Pubblichiamo di seguito un documento di donne diffuso a due giorni dall'Arena di Pace di Verona. Nel testo – firmato da Anna Caruso (Gruppi donne delle Comunità Cristiane di Base), Antonella Catalano (Gruppi di Lettura popolare della Bibbia), Cristina Simonelli (Donnesinergie), Elisabetta Xausa (Associazione Rosa Bianca), Elza Ferrario (Noi siamo Chiesa), Giulia Venia (Coordinamento Nazionale per la Democrazia Costituzionale), Margherita Bertinat (SAE Verona), Maria Picotti (Rete Radié Resch), Marisa Mazzi (Isolina e…), Patrizia Farronato (Coordinamento donne Anpi Vicenza), Rosanna Restivo-Alessi (Donne in Nero) e Sara Benetti (Associazione Sulle Orme) – le donne denunciano «la cultura patriarcale dominante», che «è radicata in un certo modo di essere Chiesa, organizzata in modo gerarchico, piramidale e clericale, che impedisce l'educazione alla pratica egualitaria della democrazia, un diffuso riconoscimento dei diritti umani e l'esercizio della profezia nella Chiesa». E in questa Arena di Pace, nella quale la voce delle donne ha trovato poco spazio nei documenti ufficiali, hanno chiesto «che sia ascoltata sul serio la voce delle donne, e rispettata la loro dignità e i loro diritti, nella società e nella Chiesa».

Il documento "Donne in Arena di Pace" è stato presentato in conferenza stampa il 16 maggio scorso, alle ore 11, presso la MAG-Mutua AutoGestione (via Cristofoli 31/A– Verona). Qui la diretta streaming della presentazione e qui il comunicato stampa dell'evento.


DONNE in ARENA DI PACE

Il mondo “ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono” – ha detto papa Francesco il 1° gennaio 2024, nella ricorrenza della 57 a Giornata Mondiale della Pace.

Nel suo video per la preghiera del mese di aprile 2024, papa Francesco chiede: “Rispettiamo le donne. Rispettiamole nella loro dignità, nei loro diritti fondamentali. Non priviamo le donne della loro voce”. Ecco perché, in questa Arena di Pace, chiediamo che sia ascoltata sul serio la voce delle donne, e rispettata la loro dignità e i loro diritti, nella società e nella Chiesa.

1. Donne e lavoro

Nonostante i principi costituzionali, le norme e i contratti di lavoro nazionali affermino la piena parità tra uomini e donne, il mondo del lavoro in Italia si caratterizza per la bassa percentuale di donne occupate e per le retribuzioni inferiori a quelle dei colleghi uomini anche del 20%. Il gender gap è ancora più evidente per le posizioni di maggior responsabilità e potere nella società, sia nelle imprese sia nelle istituzioni sia nella pubblica amministrazione. I tassi di disoccupazione sono al 9,2% contro il 6,8% degli uomini e i tassi di inattività sono al 43,3 % contro il 25,3% degli uomini, con un ampio divario nord/sud. Di fatto la nascita delle/i figlie/i rappresenta un ostacolo alla carriera professionale delle donne e ai loro incrementi retributivi, fino ad arrivare a fenomeni estremi come le illegali dimissioni in bianco pretese all’assunzione, che scattano alla nascita delle/i figlie/i. Nella fascia di età tra 25 e 49 anni lavora l’80 % delle donne single e solo il 58 % delle donne con figlie/i.

Servono politiche lungimiranti di tutela del lavoro delle donne e delle madri lavoratrici, e serve soprattutto un cambio di mentalità, che redistribuisca il lavoro domestico e la cura familiare tra partner, e non la faccia ricadere sulle sole donne. Serve organizzare il sistema produttivo perché diventi funzionale al lavoro riproduttivo, quello della cura delle persone e del quotidiano, che deve riguardare uomini e donne in ugual modo.

Anche all’interno della Chiesa esistono situazioni di discriminazione lavorativa e remunerazione iniqua delle donne, in particolare per quanto riguarda le consacrate, che troppo spesso sono sfruttate come manodopera a basso prezzo, grazie a una equivoca commistione fra vocazione, missione e servizio.

Chiediamo che si faccia piena luce su queste dinamiche di sfruttamento lavorativo, e vengano rispettate dignità e diritti delle donne lavoratrici.

2. Donne e migrazioni

Le donne costituiscono oltre il 50% della popolazione in spostamento da un Paese all’altro nel mondo e sono le principali artefici del cambiamento sociale e politico della società di provenienza e delle società di destinazione: migrano per necessità economica o per calamità naturali, fuggono da guerre e/o da persecuzioni e stigmatizzazioni sessiste, ma sempre portano con sé nel viaggio la forza che deriva dal desiderio di cambiare la propria vita. Lo status di migrante costituisce uno dei fattori di emarginazione delle donne straniere. Il viaggio può avvenire con varie modalità, più o meno rischiose e violente; in questa fase le donne perdono ogni diritto e si affidano alle organizzazioni che si occupano del transito per poi passare nelle mani di chi sfrutterà la loro situazione di vulnerabilità legale ed economica nel Paese di destinazione. È qui che si realizza pienamente la condizione di assoggettamento e sfruttamento sessuale e di conseguenza l’esposizione al rischio di violenza fisica, economica, sessuale e psicologica, con il fenomeno della tratta e della prostituzione.

Chiediamo leggi che tutelino le donne migranti, perseguano le reti criminali che le sfruttano e permettano alle migranti prostituite di affrancarsi.

Anche all’interno della Chiesa le donne migranti sono più soggette allo sfruttamento e all’abuso: non sono rari i casi di suore di Paesi extraeuropei sfruttate come manodopera a basso prezzo. Nel momento in cui decidono di uscire dalla comunità, diventano clandestine, perché il permesso di soggiorno non è nelle loro mani.

Chiediamo che sia fatta luce sui casi di sfruttamento e abuso delle donne migranti dentro la Chiesa, e che gli abusatori siano perseguiti  secondo giustizia.

3. Donne ed ecologia

Non c’è dubbio che la maggiore sensibilità verso i danni del cambiamento climatico provocato dal riscaldamento globale e il maggiore impegno per la tutela dell’ambiente vengano dalle nuove generazioni, con uno spiccato protagonismo femminile.

Quello che l’ecofemminismo ha capito da decenni è che la Terra è un organismo vivente che si mantiene in equilibrio autoregolandosi in un processo complesso di feedback. L’autoregolazione del pianeta non avviene a causa di una competizione feroce tra esseri viventi, bensì grazie alla cooperazione tra di essi. L’ecofemminismo svela che l’androcentrismo, la visione tossica del maschio al centro del mondo, continua a fare danni non solo sulle donne, ma sugli stessi uomini, che in un’ottica machista sono privati della loro dimensione affettiva e sentimentale (“non piangere, non sei una femminuccia”…), e sul creato tutto: il patriarcato e il maschilismo utilizzano la stessa logica di dominio e sopraffazione sulle donne, sugli uomini non-conformi al modello predatorio, e sulla terra.

Occorre uscire dalla visione utilitaristica dominante, riconoscerci parte del creato e rispettarlo nei suoi tempi e modi. Le Costituzioni di Ecuador e Bolivia, attingendo ai principi etici delle culture indigene, sono un modello nel riconoscere i diritti della Madre Terra.

Le ecoteologie femministe ci aiutano a decostruire un modello teologico fortemente androcentrico, e ci ricordano che servono teologie della liberazione, della donna, del corpo, della natura, e una teologia ecofemminista per la guarigione della Terra, perché ogni forma di vita non solo ha un rapporto diretto con Dio ma partecipa anche al dramma della salvezza. Ciò di cui si avverte l’urgenza è sviluppare una spiritualità olistica radicata in comunità di celebrazione e resistenza in grado di produrre liturgie collettive, così da passare dal linguaggio strettamente teologico alla poiesis.

4. Donne e disarmo

Nelle guerre, le donne sono vittime due volte: gli stupri di massa e le violenze sessuali nei conflitti armati sono stati e sono tuttora una potente e strategica arma di guerra per terrorizzare e distruggere il nemico – o l’etnia considerata “nemica” – violando, umiliando, annientando “le donne del nemico” e la comunità di appartenenza. Solo dopo le guerre nella ex Jugoslavia e in Rwanda il reato viene definito “crimine contro l’umanità”.

Noi donne pretendiamo che questa barbarie sia perseguita con determinazione dai tribunali civili e militari di ogni Paese come "crimini contro l'umanità " e "crimini di guerra", mai più considerata una "normalità della guerra".

Né va dimenticato che le guerre, invenzione del virilismo maschile, rendono durissima la condizione delle donne, costrette da sole a far fronte a minori, anziane/i, disabili, malate/i. Negli ultimi decenni, sempre più spesso e sempre più numerose, le donne si organizzano per manifestare il loro dissenso contro la violenza e contro la guerra.

Recarsi nei luoghi difficili, incontrare altre donne, intessere relazioni durature al di là dei confini e della logica del 'nemico' sono diventate specificità dell'agire femminile, insieme alla scelta di modalità nonviolente. A questo dà valore la rete delle Donne in Nero, presenti in continuità con i loro corpi e i loro cartelli, in silenzio in un luogo pubblico e visibile.

Alla Chiesa chiediamo che ci sia una condanna e una forte riprovazione di coloro che si macchiano dei crimini di stupri di massa e violenze sessuali nei conflitti armati. I cappellani militari (che auspichiamo diventino “senza stellette”, non inquadrati nelle Forze armate) dovrebbero fare prevenzione a riguardo.

5. Donne e democrazia

È importante partire dall'articolo 3 della Costituzione, che esprime con forza l'assoluta parità e rispetto di ogni persona, senza distinzioni: sulla disparità di genere molto resta ancora da fare. I pregiudizi radicati possono essere superati solo col rispetto reale, e non solo formale, dei diritti delle donne, con un impegno serio e preciso in tutti gli ambiti: mettendo in campo politiche adeguate, sostenendo le buone pratiche con finanziamenti idonei. Per questo grande cambiamento culturale le donne devono essere protagoniste, avere la parola, entrare nei luoghi decisionali e trasformare il modo di esercitare il potere. Le donne sono in grado di pensare autonomamente e devono poter decidere di loro stesse, del loro corpo e della loro vita. Guardiamo con preoccupazione ai processi di subdola erosione dei diritti delle donne in termini di salute riproduttiva, con la messa in discussione della legge 194.

La cultura patriarcale dominante è radicata in un certo modo di essere Chiesa, organizzata in modo gerarchico, piramidale e clericale che impedisce l'educazione alla pratica egualitaria della democrazia, un diffuso riconoscimento dei diritti umani e l'esercizio della profezia nella Chiesa.

Chiediamo che la Chiesa riconosca i diritti delle donne in materia di salute riproduttiva, non opponendo più censure alla contraccezione e non criminalizzando la scelta dell’interruzione volontaria della gravidanza.

Chiediamo che la Chiesa ripensi il sistema ministeriale, desacralizzandolo e declericalizzandolo, e riconosca il ministero ordinato delle donne, testimoniato nella Chiesa delle origini. La ministerialità va ripensata da capo a partire dai bisogni e dalle risorse delle comunità ecclesiali, così com’è stata nelle prime comunità cristiane.

La filosofa spagnola Cèlia Amoròs afferma: "quando si vuole la democrazia, si vuole il femminismo"; noi potremmo dire che se vogliamo una Chiesa egualitaria dobbiamo dare spazio alla teologia femminista. Raccogliamo il grido delle nostre sorelle iraniane: DONNA VITA LIBERTÀ. Se non mettiamo questo tema come prioritario non saremo una vera democrazia né una Chiesa profetica.

Anna Caruso dei Gruppi donne delle Comunità Cristiane di Base e le molte altre

Antonella Catalano dei Gruppi di Lettura popolare della Bibbia

Cristina Simonelli di Donnesinergie

Elisabetta Xausa dell’Associazione Rosa Bianca

Elza Ferrario di Noi siamo Chiesa

Giulia Venia del Coordinamento Nazionale per la democrazia costituzionale

Margherita Bertinat del SAE di Verona

Maria Picotti della Rete Radié Resch

Marisa Mazzi di Isolina e …

Patrizia Farronato del Coordinamento donne Anpi Vicenza

Rosanna Restivo - Alessi di Donne in Nero

Sara Benetti dell’Associazione Sulle Orme

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