
Nuovo presidente in Iran: il moderato che (per ora) va bene al regime
Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 20/07/2024
41931 TEHERAN-ADISTA. C’era un tempo in cui si separavano i fatti dalle opinioni, anteponendo i primi alle seconde. Questo criterio dovrebbe valere sempre, ma si impone per esprimersi su realtà diverse dalla nostra. E che quella iraniana sia diversa è evidente: infatti la Repubblica iraniana non esiste, esiste la Repubblica Islamica iraniana. Ciò vuol dire che sopra l’intelaiatura repubblicana, che c’è, c’è un’altra intelaiatura, quella teocratica. Sottoposta al principio khomeinista del “governo del giureconsulto” (rappresentate di Dio), la teocrazia iraniana è guidata in modo monocratico dall’attuale girurecosulto, cioè dalla Guida Suprema della Rivoluzione, ayatollah Khamenei. Con lui collaborano infiniti uffici e Consigli, incaricati, tra l’altro, uno di eleggere il suo successore, un altro di scegliere chi possa essere accettato dal sistema teocratico come candidato agli incarichi repubblicani, avvero all’intelaiatura sottostante, fatta dal presidente della Repubblica, dal Parlamento e da altre istituzioni repubblicane (poche). C’è una postilla decisiva per capire quanto seguirà e cioè che l’intelaiatura repubblicana controlla l’esercito, Khamenei controlla i pasdaran. Contano i pasdaran, l’esercito non conta niente. È così dall’inizio dell’epoca khomeinista, quando Khomeini creò il corpo speciale dei pasdaran proprio perché non poteva fidarsi dell’esercito, espressione del popolo e non dell’élite teocratica.
Brogli e repressione
Questa premessa sulla struttura dei governi, dei poteri, è indispensabile per capire cosa è successo, cosa succede in Iran. Tutti dovremmo ricordare che nel 2009 in Iran fu eletto fraudolentemente presidente della Repubblica Mahmoud Ahmanidejad. Il vincitore “reale”, Hussein Moussvi, fu incarcerato, come i leader suoi alleati. E ancora sono agli arresti domiciliari. Tutto questo il regime ovviamente non lo ha mai ammesso, ritenendo il risultato legittimo e la protesta ispirata da potenze ostili. Ma la protesta fu impressionante, è passata alla storia come l’onda verde. Assassinii, detenzioni arbitrarie e torture sconvolsero l’Iran per anni. Fin quando alle elezioni del 2013 il sistema autorizzò, ammettendola, la candidatura del moderato Rowhani. Che vinse le elezioni. E il regime tirò un sospiro di sollievo, confermando se stesso e i pasdaran alla guida dello Stato e della società. Rowhani firmò l’accordo sul nucleare, non modificò la situazione interna e i rapporti di potere nella società e nella politica. I Pasdaran divennero ancor di più una potenza militare interna ed esterna – per esportare la rivoluzione e la guerra in Iraq, Siria, Libano, Yemen, e così vincerla e tenerla lontana dai confini patri – e divennero la principale potenza economica del Paese, il famoso apparato militar-industriale sono loro e i loro “derivati”.
Quando di recente è morto il presidente della Repubblica, Ebrahim Raisi, in un mai indagato incidente aereo, si è proceduto con elezioni suppletive a scegliere il nuovo. Il Consiglio incaricato di selezionare i sei nomi candidabili escluse dal mazzo il moderato Masoud Pezeshkian, incorrendo in un richiamo della Guida Suprema: l’escluso doveva essere incluso. Sostenuto con forza da Rowhani, che vorrebbe correre per succedere a Khamenei ma è avversato da tutti i conservatori, Pezeshkian ha vinto, come vinse Rowhani nel 2013. Prima di lui, come prima di Rowhani, c’è stata una protesta drammatica, in questo ultimo caso il movimento “donna, vita, libertà”, che ha portato l’astensionismo “anti-sistema” a trionfare: in Iran oggi vota – compresi gli obbligati a farlo, cioè i pubblici dipendenti – meno del 40% degli aventi diritto al voto. Quando Pezeshkian è arrivato al ballottaggio il regime ha invitato gli iraniani a scegliere in autonomia tra lui e il suo rivale, l’ultraconservatore Jalili. I votanti sono aumentati, arrivando fin quasi al 50% e Pezeshkian ha vinto. Ma la storia ci dice che, come nel 2009, anche oggi l’esito del voto avrebbe potuto essere sovvertito dal sistema teocratico. Non è accaduto. Come mai?
Un sistema irriformabile
Forse il bisogno di dover placare un popolo in rivolta ha avuto un po’ di peso nella scelta. Ma questa è un’opinione (a mio avviso fondata), non un fatto. Ne segue un’altra: Pezeshkian ha recuperato un po’ di votanti, sottraendoli alla protesta astensionista che nega legittimità alla teocrazia, ma non sono tantissimi. La metà del Paese, nonostante la pressione incredibile che patisce e nonostante l’addolcimento incarnato dall’opzione Pezeshkian, seguita a dire no a questo sistema, rifiutandosi di andare a votare. Questo spiega anche, in questa opinione, quanto vitale e fondata sarebbe stata la scelta di Khamenei, che per far sopravvivere il suo regime poteva barricarsi nel fortino assediato dei duri e puri e non far correre Pezeshkian. Sapeva che una volta che fosse stato ammesso avrebbe vinto, salvo brogli, che non ha ordinato, come accadde invece ai tempi di Ahmadinejad.
Ora Pezeshkian ha davanti a sé due fronti: quello interno e quello internazionale. Sulla politica internazionale non appaiono difficoltà tra lui e Khamenei: entrambi auspicano un accordo sul nucleare con gli Stati Uniti d’America e gli altri Paesi (già Rowhani si era mosso in questa direzione). È il fronte interno che può essere problematico per il nuovo presidente. La sua scommessa infatti è quella di trasformare l’economia, che ormai è ridotta a un colabrodo. Ma mettere le mani su qualsiasi meccanismo interno vorrebbe dire indebolire i pasdaran, asse portante del regime e padroni dell’apparato militar industriale (con o senza le sanzioni). Se davvero tentasse di metter mano ai meccanismi economici e al loro controllo assoluto dell’economia iraniana per lui scatterebbe l’allarme rosso, anche sul modello Raisi (la cui scomparsa resterà un mistero).
*Foto da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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