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Documento sinodale: sapore agrodolce

Documento sinodale: sapore agrodolce

Il presente articolo - qui in una traduzione di Lorenzo Tommaselli - è stato postato da José Manuel Vidal sul suo blog in Religión Digital il 26 ottobre scorso

 

Ho appena letto (in diagonale) il lunghissimo documento finale del Sinodo e, alla fine, mi ha lasciato un sapore agrodolce. La verità è che, ad una prima impressione, mi aspettavo molto di più. Percepisco notevoli progressi in termini di consapevolezza del processo sinodale nel quale la Chiesa si è imbarcata (senza possibilità di tornare indietro?) ma, come sempre, ho la sensazione che i padri/le madri sinodali si fermano a metà strada. Non precisano. Non scendono nel concreto.

Se, come ha detto il profetico cardinale Martini, siamo indietro di duecento anni, la verità è che il documento finale del Sinodo non sembra ovviare a questo ritardo. È evidente che il documento rivela un nuovo inizio, una ripartenza, un reset della Chiesa in chiave sinodale. È sufficiente questo nuovo inizio? Il processo sinodale è un processo ma, anziché rimanere mero discorso, dovrebbe scendere nel concreto e compiere passi sinodali fin dall’inizio.

Troppe chiacchiere, dirà qualcuno. Troppe spiegazioni, troppo contesto. Il popolo santo di Dio, impegnato nella dura lotta per la dignità della vita quotidiana, è capace di leggere, comprendere ed accettare un documento di 41 pagine? Perché non viene divulgato, perché non viene riassunto, perché non viene condensato e spiegato l’essenziale in due o tre pagine? Solo allora sarà disponibile per le persone “normali”. 

Oltre alle troppe spiegazioni, a prima vista, mi sembra che il documento contenga “poca sostanza”. Sono deluso, soprattutto, dal fatto che continui a non dare risposte chiare, concrete e dirette a tre questioni pendenti della Chiesa: il posto della donna nell’istituzione, lo sradicamento degli abusi e la rottura della spina dorsale del clericalismo. Tre fenomeni per i quali non c’è tempo da perdere e per i quali la società non dà tregua, tanto meno in quest’epoca di continua accelerazione.

Finché sarà clericale, la Chiesa non potrà essere evangelica, perché continuerà ad essere appannaggio privato di un’élite, di una casta clericale, che domina, impone e controlla. Ci sono piccoli riferimenti anticlericali, come il passaggio dei consigli parrocchiali da consultivi a deliberativi, il rafforzamento delle conferenze episcopali, l’attivazione dei sinodi diocesani o la creazione di un Consiglio di Patriarchi attorno al Papa. 

Misure, a mio avviso, insufficienti a spezzare la schiena alla piaga clericale. Sembra piuttosto che si cada, ancora una volta, nel classico gattopardismo ecclesiastico. Può una Chiesa essenzialmente clericale smettere di essere clericale da sola, fare harakiri a se stessa?

Sono molto deluso dall’approccio al tema degli abusi, senza una denuncia chiara e forte del sistema di insabbiamento in vigore da molti decenni e, soprattutto, senza proporre misure concrete di riparazione. “Le vittime devono essere accolte e sostenute con grande sensibilità”, si legge nel documento. E questo è tutto? Che vergogna!

E la stessa vergogna provoca quando affronta il tema della situazione palesemente discriminatoria delle donne nella Chiesa. Il documento indora la pillola, riconosce che sono parte fondamentale dell’istituzione e della sequela del Maestro, ma non trae conclusioni.

I sinodali dicono che la donna merita di ricoprire “ruoli di leadership”, ma nemmeno apre loro la porta al diaconato ministeriale, che intende lasciare socchiusa, affermando che “è necessario un più ampio discernimento”. Per quale fine, per quale motivo se il grido del popolo santo di Dio chiedeva, in tutte le assemblee sinodali, l’accesso delle donne ai ministeri ordinati? Un’istituzione così strutturalmente machista continuerà a sputare in faccia alle donne.

Forse non si può andare oltre per salvare l’armonia, l’equilibrio e la comunione ecclesiale. Perché nella Chiesa continuiamo a starci tutti, tutti, tutti. Ma fa male questo ritmo così lento, con il quale è difficile “superare resistenze e abbandonare la routine”. Il clericalismo o lo si soffoca o continuerà a fare di testa propria. Alcuni vivono benissimo, attaccati al bastone del potere e dei privilegi vitali, tanto da sottomettersi di propria iniziativa al ritmo ed al processo sinodale. Di questo passo, campa cavallo...

*Foto di Pubblico Dominio

 

 

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