
Tikkun Olam: paradigmi per riparare il mondo
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 43 del 14/12/2024
L’ebraismo ha una tradizione millenaria di riflessioni etiche e spirituali che si estendono anche al tema della sostenibilità e della responsabilità verso il pianeta. Negli ultimi decenni si è sviluppata una maggiore e più diffusa coscienza ambientale, acuita vieppiù dall'aumento della consapevolezza riguardo ai cambiamenti climatici. Molte comunità ebraiche con i loro studiosi hanno scoperto e riscoperto, nelle scritture e nei principi etici fondanti, solide basi per promuovere la sostenibilità e affrontare questa sfida posta all'umanità. Tra i concetti chiave che emergono ne trovo alcuni davvero paradigmatici. Propongo di essi un agile elenco per poi seguirli nella loro commistione che ne amplia ed esalta i significati.
Il primo paradigma può individuarsi nel Tikkun Olam ,"mondo il riparare ",)םֹּלועןוֵקית) che è necessità contingente e al contempo tensione costante verso il continuo impegno alla cura del creato. A esso si compenetrano il Bal Tashchit (לבֹּתיחשת(, lo traduciamo come "non distruggere" o "non sprecare", e non può certo mancare la quintessenza dell’ebraismo: lo Shabbat. Ancora abbiamo la Tzedakà come giustizia praticata attraverso la redistribuzione delle risorse e infine la Kasherut alimentare, laddove kasher è ciò che è adatto, appropriato, consentito.
Partiamo per il nostro breve viaggio che può portare questi concetti a sostanziare l’azione dell’uomo verso la “riparazione del mondo”. Tikkun Olam quindi, il paradigma che invita a migliorare la condizione del mondo attraverso azioni giuste e sostenibili. Richiama la responsabilità di prendersi cura della Terra come parte della giustizia sociale e ambientale. Il cambiamento climatico è una forma di "rottura" del mondo causata dallo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Attraverso azioni di giustizia climatica, come ridurre le emissioni, promuovere energie rinnovabili e aiutare le comunità vulnerabili ad adattarsi, si può partecipare al "riparare il mondo". E in questo senso può essere invocato per sottolineare la responsabilità di preservare l'ambiente ben intersecandosi con tutti gli altri paradigmi. Bal Tashchit deriva dal divieto biblico (Deut 20:19-20) di abbattere alberi da frutto durante un assedio; oggi facilmente possiamo comprendervi l’interdizione allo spreco delle risorse naturali e l’invito a vivere in modo sostenibile. Lo Shabbat inteso come il momento in cui “viene creata l’astensione”. Astensione perché colui che sa e può creare si mostra chiaramente anche come colui che sa arrestare la forza creativa, astenersi dal governo e dal dominio per lasciare spazio alla creazione e alle sue creature. La creatura umana è chiamata a una forma di imitazione, a fare altrettanto e a riconoscere la sua interdipendenza con il creato e non il suo imperio su di esso.
Nel capitolo 4 del Deuteronomio troviamo detto lo derivando ,»Shabbat di nogior il custodici «ַה ַשׁ ָ֖֨בּת ֶ י־ת ֥א ֩ וֹם ָ֣֛שׁמוֹֹר Shabbat proprio da Shamor, custodire, conservare. Si tratta certo dell’ingiunzione di conservare lo Shabbat, ma custodirlo significa serbare tutto ciò che gli dà sostanza, compresa la consapevolezza dei propri limiti, il dovere di tenere a freno la volontà di dominio e di esercizio di potere.
Il primo “Shabbat umano” che troviamo nel capitolo 16 dell'Esodo, è quello in cui Moshè annuncia la manna agli ebrei appena usciti dall'Egitto. Questo cibo miracoloso cadrà dal cielo, la regola principale per goderne sanciva che non fosse possibile capitalizzare questo cibo, interiorizzando così la coscienza del dono e non del possesso e sviluppando la cultura del “non sprecare”. Solo il venerdì costituiva un'eccezione in cui sarebbe stata donata doppia razione, proprio perché a Shabbat non si sarebbe potuto raccoglierla. Questi concetti si estendono alla Shemitah (anno sabbatico), durante la quale la terra deve essere lasciata a riposo per rigenerarsi, simboleggiando il rispetto dei cicli naturali e la sostenibilità.
Molto eloquente sul tema della custodia è Gen 2:15, YHWH affida all'uomo il compito di «coltivare e custodire» il Gan Eden, sicuramente un'esortazione alla cura dell'ambiente. Mentre in Sal 24:1 leggiamo «A YHWH appartiene la Terra e tutto ciò che è in essa». Un versetto che chiaramente sottolinea che la Terra non appartiene all’uomo ma è casa di tutte le creature e deve essere rispettata come tale. Esplorando i testi del Talmud, nel Talmud babilonese (Shabbat 67b), sono incluse discussioni sul non sprecare risorse naturali, che possono essere applicate al contesto moderno della salvaguardia dell’ambiente.
Questo ci porta alla Mitzvah di Tzedakà, la responsabilità di dividere con gli altri ciò che pensiamo sia nostro. Tzedakà non è un atto di beneficenza ma di giustizia sociale, un obbligo morale e spirituale di contribuire al benessere della società e a correggere le disuguaglianze. Essa sottolinea che il benessere personale e collettivo sono interconnessi. Come la Tzedakà richiede di colmare il divario tra chi ha e chi non ha, la giustizia climatica chiede di affrontare le disuguaglianze globali, aiutando le comunità più colpite dagli effetti del cambiamento climatico.
Inoltre la Tzedakà incoraggia una visione lungimirante, dove la giustizia non è solo per il presente ma anche per le generazioni future. La giustizia climatica, allo stesso modo, include l'idea di equità intergenerazionale. Le generazioni presenti hanno un obbligo verso quelle future di lasciare un pianeta vivibile. Questo riflette l'etica ebraica di proteggere ciò che ci è stato affidato, poiché la Terra non appartiene agli umani, ma è sotto la loro cura nel susseguirsi delle generazioni.
L’approccio contemporaneo dell'ebraismo al cambiamento climatico è variegato, il fermento delle idee vivacissimo e le applicazioni pratiche non sono da meno. Rabbi Jonathan Sacks ha scritto sull'importanza della responsabilità verso il pianeta, suggerendo che l'umanità debba riconoscere i propri limiti e rispettare i confini della creazione divina. Vi sono organizzazioni come “Hazon e Coalition on the Environment and Jewish Life” (COEJL) che promuovono l'educazione ambientale basata sui principi ebraici. Essi sostengono progetti per la riduzione delle emissioni di carbonio e l'adozione di stili di vita più sostenibili. Diversi leader religiosi ebraici hanno firmato dichiarazioni congiunte in cui esortano i membri delle loro comunità a prendersi cura del pianeta, vedendo il cambiamento climatico come una questione morale e spirituale. Si parla ormai di sinagoghe verdi, in tutto il mondo molte sinagoghe stanno adottando pratiche ecologiche, come l'uso di energie rinnovabili, il riciclo e la promozione di orti comunitari.
Anche la valorizzazione di festività come Tu Bishvat (il “Capodanno degli alberi”) sono diventate occasioni per riflettere sull'importanza della natura e per organizzare attività di piantumazione di alberi. Un altro esempio pratico di questo fermento di idee è la “Kasherut ecologica” per cui diverse comunità stanno rivedendo le regole della kasherut per includere considerazioni ecologiche, come l'uso di cibi sostenibili e la riduzione degli sprechi alimentari. L‘evocazione della Kasherut come paradigma e di quella ecologica come sua naturale estensione mi consentono di introdurre un elemento che ritengo personalmente essenziale nella trattazione del tema sull’etica ambientale e di salvaguardia del benessere di tutti i viventi: il vegetarianesimo / veganesimo.
I principi etici che lo incoraggiano possono individuarsi nel Tza'ar Ba'alei Chayim la evitare «ossia) םייחיֹּלעבֹרעצ) sofferenza dei viventi», che è centrale nella legge ebraica. Gli allevamenti intensivi moderni e le pratiche che causano sofferenza agli animali sono considerati contrari a questo principio. E ancora il già accennato Bal Tashchit (לבֹּתיחשת(, il principio di «non distruggere», è applicabile anche al consumo di carne, poiché la produzione di carne richiede una quantità significativamente maggiore di risorse rispetto a una dieta vegetale.
Un'alimentazione prettamente vegetale è quindi vista come un modo per ridurre lo spreco di risorse naturali. In Gen 1:29 leggiamo: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme sulla superficie di tutta la terra e ogni albero che produce frutto con seme: questi saranno il vostro cibo». Questo versetto è spesso interpretato come un'indicazione che la dieta originale dell'umanità fosse interamente vegetale.
In Gen 9:3-4 dopo il Diluvio, la Trascendenza concede a Noach e ai suoi discendenti il permesso di mangiare carne, ma con non poche restrizioni e modalità di consumo che costituiscono la “Kasherut alimentare”. Una concessione siffatta è vista da alcuni studiosi come un compromesso, ma l'ideale originario resta quello di una dieta vegetariana. Ci sono movimenti che promuovono una “Kasherut etica”, che considera non solo le leggi alimentari tradizionali, ma anche il benessere animale e l'impatto ambientale. L'adozione di diete a base vegetale è vista come un modo per ridurre la propria impronta ecologica e vivere in accordo con i principi di Tikkun Olam e Tzedakà. Alcuni ebrei vegani collegano il loro stile di vita alla giustizia sociale, sostenendo che una dieta vegana non solo riduce la sofferenza animale, ma contribuisce anche a un mondo più giusto, riducendo l'iniquità nell'accesso alle risorse alimentari globali. Rabbini e pensatori ebrei moderni come Rabbi Abraham Isaac Kook, primo rabbino capo ashkenazita del Mandato Britannico in Palestina, hanno sostenuto che il vegetarianesimo sia una forma di spiritualità superiore e un ritorno all'ideale Gan Eden. Rabbi Kook credeva che, nell'era messianica, l'umanità sarebbe tornata a una dieta priva di carne. Rabbi David Rosen, uno dei principali leader ebrei a livello globale, è un sostenitore del veganismo, argomentando che, alla luce delle attuali pratiche di allevamento industriale, è moralmente giusto evitare di consumare prodotti animali. Il movimento “Jewish Veg”, un'organizzazione che promuove il vegetarianesimo e il veganismo tra gli ebrei, si basa sull'interpretazione delle scritture ebraiche per incoraggiare uno stile di vita che rispetti gli animali e l'ambiente.
In questo piccolo ma eterogeneo percorso attraverso alcuni concetti chiave abbiamo visto come l'ebraismo invita non solo a prendersi cura del pianeta, ma anche a coltivare una profonda consapevolezza dell'interconnessione tra tutte le forme di vita. In un mondo in rapido cambiamento, i valori ebraici possono fungere da ponte tra spiritualità e azione concreta. L’esortazione è ad abbracciare la responsabilità collettiva verso un pianeta che ci è stato affidato, sapendo che la cura della Terra equivale alla cura del nostro futuro e delle generazioni che saranno. Così, la "riparazione del mondo" diventa non solo un'aspirazione spirituale, ma un progetto tangibile per un domani migliore.
Luisa Atzeni è ingegnere informatico con un cuore umanista. Appassionata di arte e letteratura. Radicata nella cultura ebraica, ha studiato alla scuola del rav. Fabrizio Cipriani. In armonia con i suoi valori ha scelto uno stile di vita vegano.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!