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Decreto sicurezza: il punto debole della forza

Decreto sicurezza: il punto debole della forza

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 23 del 14/06/2025

Amo’ di introduzione: «C'era una volta un leone… Il leone è forte perché gli altri animali sono deboli. Mangia gli altri animali perché questi si lasciano mangiare. Il leone non uccide con gli artigli o con i denti; uccide guardando. Prima si avvicina in silenzio. Poi balza fuori e atterra la preda con una zampata e rimane a guardarla. Fissa la sua preda, cosi la povera bestiola guarda il leone fissarla. La bestiola non vede più se stessa, vede ciò che il leone guarda, vede la sua immagine nello sguardo del leone; vede che nello sguardo del leone lei è piccola e debole. E, vedendo di essere fis sata, la bestiola si convince di essere piccola e debole. E per la paura con cui si vede nello sguardo del leone, ha paura. È cosi che la bestiola si arrende e il leone la divora senza pietà. Il leone uccide guardando».

Sono trascorsi oltre 20 anni dai fatti e dalle parole di Genova, dai forum, dalle manifestazioni, dall’uccisione di Carlo Giuliani, dalle imprese cilene delle forze dell’ordine in strada, alla scuola Diaz, a Bolzaneto. L’amarezza e lo sdegno sono ancora vivi per la violenza subita e per le giustificazioni e le coperture a tanta violenza. Una brutalità che spesso si è espressa nella forma di una pericolosa generalizzazione, come se spaccare le costole a un ragazzo o ammazzarlo è la stessa cosa che frantumare una vetrina. La reazione violenta delle forze dell’ordine alle manifestazioni di Genova divenne una sorta di spartiacque, rappresentò la vittoria del sistema repressivo e aggressivo; da allora in poi la “sicurezza” è diventa una parola chiave anche a sinistra, per inseguire la destra sul suo terreno e illudersi di racimolare voti. Il 2001 ci lasciò la paura. Segnò la fine di un certo modo di vivere i movimenti. Fece capire, a chi aveva ancora intenzione di manifestare il proprio pensiero, che è meglio curare gli interessi personali piuttosto che quelli collettivi. Disperse e sparpagliò il Movimento dei movimenti, rafforzando il senso di alcune parole chiave che si sarebbero imposte sempre più alla politica e alla comunicazione: questione di sicurezza e guerra al terrorismo.

Invece, di fronte alla violazione dei diritti, che quotidianamente e senza clamore si ripete in Italia e nel mondo, nelle carceri e nelle strade, nei confronti dei migranti o degli oppositori o dei deboli, abbiamo ancora l’ineludibile dovere di fare verità e giustizia. Dopo i fatti di Genova ero certo che sarebbe arrivato uno scossone di democrazia, di civiltà, perché quei fatti e quelle parole non cadessero nel dimenticatoio. Credevo, sbagliando, che le cose sarebbero cambiate in meglio, che si sarebbe finalmente attuata quella parte della Costituzione che assegna al Parlamento il compito di trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e giustizia della collettività e il sacrificio della libertà personale. Invece il Parlamento sta approvando il cosiddetto Decreto Sicurezza: di fronte alla continua spettacolarizzazione e amplificazione della cronaca nera e giudiziaria che alimenta paura e insicurezza, la maggioranza risponde con prontezza, temendo di perdere consenso, con una spirale securitaria. Che però di sicurezza non pare ne produrà molta! Il cosiddetto Decreto Sicurezza del Governo Meloni, in realtà, è un imbroglio. Utilizza la paura per colpire le persone più fragili, per reprimere il dissenso, per aumentare pene e inventare nuovi reati. Ma la sicurezza non si costruisce così. La vera sicurezza è quella sociale: è avere un lavoro dignitoso, una casa, servizi pubblici accessibili per tutti, la libertà di esprimersi, il diritto a non essere discriminati. Occuparsi concretamente di sicurezza significa affrontare le vere urgenze del nostro tempo, non alimentare un clima di paura, minacciare galera e castighi, convincere i cittadini che è più utile rincoglionirsi da soli di fronte allo schermo di un telefonino, non per cercare l’altro, ma per isolarsi e incattivirsi nei confronti di chi non la pensa come te. In questa ottica bisogna leggere la matrice repressiva del Decreto Sicurezza, un decreto-propaganda che propone soluzioni semplici, inutili e inattuabili a problemi complessi.

Secondo alcuni penalisti il Decreto – nel quale è confluito gran parte del contenuto di un precedente disegno di legge del governo, già approvato dalla Camera e poi passato al Senato, ma sul quale si erano appuntati diversi rilievi del Quirinale – introduce 14 nuove fattispecie di reato e 9 aggravanti. Il testo fa fare un passo avanti al governo di destra sulla strada dell’autoritarismo, attraverso un giro di vite contro la manifestazione della libertà di opinione: dalle pene severe per chi protesta pacificamente attuando un blocco stradale (le opposizioni la chiamano norma "anti-Ghandi") o per chi manifesta contro un'opera pubblica (come i No Tav o i No Ponte sullo Stretto), fino alle misure anti accattonaggio o alle singolari aggravanti introdotte su determinati delitti, se compiuti nei pressi di stazioni ferroviarie. Nel testo viene aumentata la punibilità della resistenza passiva durante le rivolte in carcere e nei Cpr, che ha suscitato commenti preoccupati da parte di diversi giuristi e associazioni umanitarie. Inoltre per le madri detenute con bimbi sotto i tre anni, è prevista la detenzione negli Icam, gli istituti a custodia attenuata. In parallelo alla stretta penale, il decreto aumenta le tutele alle forze di polizia, opponendosi fermamente all’introduzione del codice identificativo sulla divisa degli agenti.

Con il Decreto Sicurezza il governo Meloni tenta di scoraggiare chi si mette insieme ad altri per criticare chi governa e proporre soluzioni diverse ai problemi: ogni volta che nasce un’associazione, un gruppo che s’impegna profondamente nel sociale, per dare il proprio contributo a cambiare questo mondo, bisognerebbe rallegrarsene e non minacciare! Ed è interessante osservare come chi in passato ha manifestato per realizzare “l’altro mondo possibile”, si dia oggi il cambio con i più giovani: ragazzi e ragazze che si occupano di cambiamento climatico, di pace o di acqua pubblica, annodandosi al filo rosso che lega le generazioni.

In Chiapas i nativi raccontano che il Vecchio Antonio aveva scritto, a grandi lettere: «Se non puoi avere la ragione e la forza, scegli sempre la ragione e lascia che il nemico si tenga la forza. La forza può vincere in molti combattimenti, ma in tutta la lotta solo la ragione può prevalere. Il potente non potrà mai cavare la ragione dalla sua forza, noi sempre potremo ottenere la forza dalla ragione». Già, la ragione: la nostra arma nonviolenta con la quale possiamo difenderci dai rigurgiti di autoritarismo e di fascismo, dalla marea montante di stereotipi, cattiverie, razzismo, preconcetti e pregiudizi, con la quale possiamo smontare i meccanismi delle propagande di regime, delle viziosità ideologiche, con la quale siamo in grado di contrastare la violenza che si alimenta di istinti viscerali. O forse non lo sappiamo ancora tutti, non lo sappiamo ancora bene che il sonno della ragione – come l’assopirsi dell’umanità che è in noi – genera mostri?

E a proposito di “mostri”, un repubblichino eletto in Parlamento dopo la guerra, cercava di convincere un partigiano che infondo siamo tutti italiani, bisogna dimenticarsi del passato, tanto, sarebbe stato lo stesso anche se avessero vinto loro. Il partigiano ribatté con calma: «invece non è la stessa cosa! Perché se avessi vinto tu, io sarei in galera, siccome ho vinto io, tu sei potuto diventare deputato»! Lo so bene a cosa state pensando: non bisogna esagerare con i paragoni con il Ventennio fascista, e non è giusto, né storicamente esatto accusare il governo Meloni di essere fascista. Intanto, se negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, in Italia e in Germania, di fronte agli inizi di repressione, all’approvazioni di leggi liberticide, all’autoritarismo crescente, ci si fosse allarmati e opposti un po’ di più, forse non saremmo arrivati alle leggi razziali, ai campi di sterminio e alla guerra. È certamente meglio essere accusati di allarmismo oggi, che pentirsi domani di non averlo fatto in tempo!

A mo’ di conclusione

«Però c'è un animaletto che quando incontra il leone non gli presta attenzione e continua per la sua strada. E se il leone gli dà una zampata lui risponde graffiando con le sue zampine, che sono davvero pic cole. E questa bestiola non si arrende al leone perché non si accorge di essere guardata… è cieca. "Talpe" si chiamano questi ani maletti. La talpa rimase cieca perché invece di guardare fuori, prese a guardarsi nel cuore, a guardarsi dentro. E dunque non si preoccupava di forti o deboli, di grandi o piccoli, perché il cuore è il cuore e non si spaventa come si spaventano gli animali. Ma questa cosa del guardarsi dentro era permes so farla solo agli dei, e quindi gli dei castigarono la talpa e non lasciarono più che guardasse fuori e la condannarono a cammi nare e a vivere sotto terra. Ma essa non ne soffri nemmeno un po' giacché continuò a guardarsi dentro. Ecco perché la talpa non ha paura del leone. E non ha paura del leone neppure l'uomo che sa guardare nel suo cuore. Perché l'uomo che sa guardare nel suo cuore non vede la forza del leone, vede la forza del suo cuore e quindi fissa il leone, e il leone vede che l'uomo lo sta guardando; e il leone si accorge, guardando nello sguardo dell'uomo, di essere solo un leone, e il leone si vede guardato, e ha paura, e scappa via» (subcomandante Marcos).

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e responsabile della mensa-dormitorio della Caritas diocesana di Avellino

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