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Qualche domanda sulle Giornate mondiali della gioventù

Qualche domanda sulle Giornate mondiali della gioventù

ROMA-ADISTA. Le Giornate mondiali della gioventù (Gmg) sono dei canali pastorali che presentano molte contraddizioni. Chi ne ha vissuta qualcuna oppure ne ha studiato il contorno di contesto, di messaggi incrociati, di esperienze di chi partecipa e di chi abita dove si realizzano può rendersene conto. Scelgono delle opzioni, ne tralasciano altre. Se la selezione sia la più opportuna è da valutare tanto in misura dei fini, quanto della concezione che si ha delle persone coinvolte a diverso livello.

Le Gmg nascono negli anni Ottanta come invenzione strettamente wojtyliana. In questi raduni oceanici, entusiasti e con un notevole grado di indistinzione, c’è la sua sensibilità per il teatro, per la mobilitazione contro i pericoli della fede, per la Chiesa come popolo in cammino guidato dai pastori. C’è però anche la separazione della gioventù come gruppo a sé, per caratteristiche, per interessi e per ruolo, che è caratteristica dell’occidente industriale da due secoli a questa parte.

La direzione voluta e il tipo di giovani partecipanti non sono gli stessi: per la prima, i diversi pontificati hanno segnato i diversi accenti, di confronto e anche scontro con il mondo “esterno”, o di riforma individuale e collettiva attorno ad una trasformazione, fondata su una proposta di lettura del messaggio evangelico e della missione della Chiesa. Per la seconda, basta ricordare i “papaboys” wojtyliani, scomparsi, al di là del nome che talvolta ricompare, e molto diversi dalla pluralità anche conflittuale delle Gmg francescane.

Ne scrissi già, per Adista (Adista Segni Nuovi, n. 32/23). L’aggressione, alla Gmg di Lisbona 2023, di giovani Lgbt da parte di altri giovani, prevalentemente francofoni, dimostra certo le mancanze e le problematiche nel cammino spirituale del popolo di Dio, ma dimostra anche che certi pluralismi che prima non erano nemmeno immaginabili ora sono possibili e presenti ed emergono e hanno corso.

E poi la questione sociale, entro il mondo Gmg e con le realtà urbane che ne sono attraversate. Che retroterra hanno i giovani che si spostano dall’altra parte del mondo per partecipare? Chi se lo può permettere? Chi selezionano le chiese locali?

Le città sedi (anche questo: le sedi sono sempre città, mai luoghi rurali, in un cattolicesimo romano e universale che ha la sua origine e molto del suo futuro nelle campagne) delle Gmg, a quel che mi risulta, ne sono state spaccate: cittadini che accolgono con favore l’evento, i suoi giovani e il suo messaggio spirituale, e con pazienza i suoi disagi; e cittadini che nel più dei casi sono indifferenti a una realtà a loro estranea e lontana, incapace di comunicare qualcosa di efficace, qualche volta sono anche ostili a quello che sentono come un potere impositivo e non dialogante. Possiamo pensare alla noncuranza della polizia a Colonia 2005, alla poca collaborazione dei commercianti a Cracovia 2016, perfino agli sciami di bambini ostili di Lisbona 2023, all’insofferenza degli stessi Romani quest’anno.

C’è infatti anche una questione di potere e delle decisioni che prende. La “pulizia” dai luoghi e l’emarginazione di poveri e senzatetto, oltre che dei conflitti sociali come scioperi e proteste, è una costante in linea con altri eventi di massa. Nell’ultima Gmg, a Lisbona, i giacigli di strada furono spazzati via pochi giorni prima, e gli scioperi dei trasporti, presenti in tutto il paese in contestazione anche di come era stata governata l’organizzazione della Gmg, furono impediti in città.

La comunicazione dell’evento non dà spazio a questi spazi di diversità, preferisce dipingere un quadro entusiastico e trionfale.

Che spiritualità coltivano i giovani partecipanti a questi eventi? Che ruolo ha la maturazione della coscienza? Il Giubileo dei giovani appena finito, assimilabile a una Gmg, lascia al telegiornale testimonianze come «abbiamo imparato che la felicità sta nelle piccole cose» e «Acutis (o Lazzati, o un altro santo di riferimento) guida tutta la mia vita». Non grandi espressioni che attingano all’incredibile patrimonio cattolico, capace, se conosciuto, di “squadernare” gli animi e le società. Forse questo avviene nel silenzio. Oppure non è la volontà di chi è nell’una o nell’altra parte di una Gmg.

* Marco Tarallo è dottorando in Studi Storici a Firenze, aderisce al Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale)

 

Foto di Mick Haupt su Unsplash

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