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Dentro e fuori la porta

Dentro e fuori la porta

ROMA-ADISTA. La prima volta che ho messo insieme le parole Giubileo e comunità LGBT+ è stata venticinque anni fa, nel 2000, l’anno del grande Giubileo e del Pride a Roma. C’era chi considerava uno scandalo questa coincidenza di eventi… ma, a pensarci bene, il Giubileo nella tradizione biblica era l’anno della restituzione delle terre a coloro a cui erano state sottratte, della remissione dei debiti e della liberazione degli schiavi e dei prigionieri, il tempo in cui liberare gli oppressi e restituire la dignità a coloro a cui era stata negata.

C’era qualcosa da restituire alle persone LGBT+? Sì, c’era: la loro identità negata, e c’erano anche lì catene da spezzare, quelle imposte dal perbenismo, che le voleva invisibili, magari tollerate, purché rimanessero nell’ombra. Sì, a pensarci bene il Giubileo c’entrava con tutto questo, non c’era nessuno scandalo e nessun contrasto… ma la comunità LGBT+ ci pensò da sola a liberarsi e riprendersi ciò che le era stato negato. Con il grande Pride che occupò le strade di Roma! Non sapevamo allora che sedici anni dopo nostro figlio Emanuele avrebbe fatto coming out…

E dopo venticinque anni sono di nuovo qui a riflettere su Giubileo e comunità LGBT+, l’occasione mi è data dal pellegrinaggio organizzato per il 6 settembre prossimo, che vedrà la comunità LGBT+ attraversare la porta santa di San Pietro.

La tradizione delle porte sante non l’ho mai vista legata a ciò che le Scritture raccontano del Giubileo e non l’ho mai fatta mia, ma stavolta ci sarò. Mi aiuteranno a darle un senso le parole del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si definisce «porta»: «Io sono la porta delle pecore». Un’espressione strana che sembra anche un po’ sbagliata dal punto di vista linguistico, ma una grande amica, Michela Murgia, mi ha aiutata a capirla. Non è la porta del recinto, che serve ad aprirlo quando va aperto e chiuderlo quando va chiuso. «La porta delle pecore» fa pensare ad una porta al servizio delle pecore, che permette il loro passaggio secondo i loro bisogni, non secondo orari e regole prestabilite e imposte. È una porta che dà libertà, di muoversi, di conoscere e non rimanere intrappolati nel recinto. «Se uno entra attraverso di me, sarà salvato», dice Gesù.

La porta è il confine tra il luogo protetto e quello selvaggio, sconosciuto. Nell’ovile c’è il riposo, la tranquillità e la sicurezza per le pecore e gli agnellini, ma non c’è il cibo. Per mangiare bisogna uscire fuori, dove c’è l’erba, il nutrimento, la vita, ma c’è anche il lupo.

D’altra parte, si può rinunciare a nutrirsi per il rischio di incontrare il lupo? La vita delle pecore è garantita dal movimento tra il dentro e il fuori.

Grazie, Michela, per quest’immagine: il dentro rassicurante (anche se non sempre e non per tutti lo è) e il fuori, dove cercare nutrimento malgrado e forse attraverso incontri rischiosi.

Perché la salvezza non è dentro, e non è fuori, ma nel movimento tra dentro e fuori, nell’incontro tra chi è dentro e chi è fuori, nello scambio di contaminazioni. Non ci dice questo qualcosa di quel Regno che Gesù sognava e che voleva costruire aprendo brecce nelle barriere che separavano ricchi e poveri, sani e malati, puri e impuri?

Quando le porte del Giubileo verranno chiuse, la porta-Gesù rimarrà aperta per seguitare a tenere insieme chi è dentro e chi è fuori, per accogliere chi vuole entrare, senza riserve, senza regole imposte dai gestori del “dentro”, e allo stesso tempo per invitare ad uscire, a non aver paura del fuori, ad accettare il rischio di incontri imprevisti o poco raccomandabili.

Non erano questi gli incontri che Gesù prediligeva? Una porta, questa sì, che dà vita e salva.

La porterò nella mente e nel cuore il 6 settembre, mentre attraverserò la porta santa di San Pietro con Stefano, mio marito anche lui nuovo a questa esperienza, e con amiche e amici vecchi e nuovi del mondo LGBT+. Entreremo insieme. A contaminare la Chiesa? O a salvarla attraverso questa contaminazione?

 

Foto da www.gionata.org

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