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La flottiglia e la croce

La flottiglia e la croce

Newsletter n. 31 da Prima Loro del 6 settembre 2025‌  

Ai 6.559 domiciliati a Gaza. A tutte le persone interessate.

Carissimi,

mentre fratelli tutti provenienti dal mondo intero (“Fratres Omnes”) con la Global Sumud Flotilla si stanno dirigendo a Gaza mettendo a rischio la loro vita, perché da Israele sono stati definiti tutti “terroristi”, e, come è noto, Israele i terroristi li uccide, chiediamo a tutti di prendere simbolicamente domicilio su quelle navi, come hanno fatto quelli che finora hanno inteso fare di Gaza il loro domicilio elettivo. Ciò perché sempre più si manifesti e gridi il mondo che è contro il genocidio contro il resto del mondo che lo lascia fare.

Nello stesso tempo vi segnaliamo un articolo di Carlo Galli su La Repubblica del 5 settembre (ed è una sorpresa data la linea del giornale) che descrive la rivoluzione epocale che stiamo vivendo con una profondità di analisi che non sorprende dato che Carlo Galli viene dalla gloriosa tradizione del Mulino e della Bologna di Pedrazzi, del cardinale Lercaro e di Dossetti. Lo svelamento che il prof. Galli fa di quanto sta accadendo a Gaza è che l’azione israeliana è apertamente fondata sull’assurdo incontro di due teologie contrapposte di origine biblica, la teologia che assimila i palestinesi al nemico storico di Israele, la tribù di Amalek, che era compito di Giosuè e dei re di Israele di sterminare per volontà di Dio, e la teologia del Vitello d’oro, ovvero della orgiastica valorizzazione monetaria del genocidio attraverso la costruzione dei grattacieli trumpiani sulle macerie di Gaza, svuotata dei palestinesi. A questo proposito si può osservare, perfino al di là della tragedia di Gaza, che in questo incrocio di blasfeme teologie ne va non solo dell’ebraismo come fede, ma anche del cristianesimo, perché quell’improbabile Dio che vi viene implicato è lo stesso Dio invocato da Ebrei e Cristiani.

In questa crisi storica Galli individua una duplice evidenza: il fallimento della politica come onnipotenza della violenza e della mercificazione che passa sopra l’umanità come un fato invincibile, a cui sottomettersi e di cui l’Europa e l’Occidente appaiono succubi; e per contro il ritorno di un’altra politica, che è quella della resistenza, della liberazione che vuole porsi come interruzione dell’avanzare di potenze omicide, una politica che è un cambio di rotta, la politica di Genova che si è espressa nelle parole, negli atti, nelle promesse con cui a Genova è stata salutata la partenza della Global Flotilla, a cominciare dalla coraggiosa presa di posizione dei portuali.

Noi potremmo aggiungere una terza evidenza, quella di un altro fallimento, che è quello della diplomazia, mostratasi impotente a rovesciare il corso delle attuali politiche letali. Gli ultimi esempi sono sconvolgenti: l’esempio di Trump, che con tutta la sua potenza, nonostante le risentite rampogne a Zelensky, il tappeto rosso a Putin e la messa in mora dell’Europa non riesce a porre fine alla guerra d’Ucraina, in quanto guerra non sua; l’esempio dei 26 Paesi europei riunitisi a Parigi, la cui diplomazia ai fini della cessazione delle ostilità consiste nel voler imporre alla Russia di accettare lo schieramento in Europa di eserciti stranieri firmati NATO, che è precisamente la ragione per cui la Russia ha iniziato la guerra: e l’esempio della diplomazia vaticana che nonostante la severa attenzione rivolta dal Papa all’indirizzo di Netanyahu per la “tragica situazione a Gaza”, nonostante gli onori resi a Herzog dalle Guardie Svizzere e dal corteo dei dignitari pontifici al suo arrivo in Vaticano, nonostante la  mozzetta rossa simbolo anche di un’autorità temporale  e nonostante l’amabile visita culturale alla Biblioteca vaticana e agli Archivi, non ha ottenuto alcun riscontro a nessuna delle sue richieste, pur formalizzate nel comunicato della Santa Sede:  non “la soluzione dei due Stati” ormai preclusa dalla Legge Fondamentale di Israele e della cui interdizione Netanyahu ha ribadito di aver fatto lo scopo della sua missione, “fino alla vittoria totale” da conseguire a Gaza perché “ciò che è cominciato a Gaza deve finire a Gaza”, mentre il governo decide l’annessione della Cisgiordania; non la “pronta ripresa dei negoziati” per” la liberazione di tutti gli ostaggi” e “l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari”, perché Netanyahu rifiuta ogni accordo e ha scelto di lasciare più a lungo possibile gli ostaggi in mano ad Hamas, per non perdere la legittimazione internazionale della strage e perché per radere al suolo la Striscia non bastano poche settimane, ci sono voluti due anni e ancora non è finito “il lavoro”; non la garanzia delle “legittime aspirazioni dei due popoli” e di “un futuro al popolo palestinese”, la cui aspirazione a esistere dura da 75 anni e finisce ora nei sudari di Gaza, mentre emblematicamente nelle stesse ore tutto il mondo vede saltare in aria un grattacielo le cui rovine si abbattono su un campo di tende gremito da migliaia di rifugiati: altro che le Due Torri di New York! Né ha trovato risposta il “riferimento a quanto accade in Cisgiordania” dove i coloni armati strappano perfino gli ulivi ai palestinesi nella terra dove doveva scorrere latte e miele e ci sono questioni aperte “tra le Autorità statali e la Chiesa locale”; né c’è alcuna apertura sullo status di Gerusalemme.

Si dirà che tutto questo si sapeva, sicché ottenere dei risultati era una missione impossibile. Ma allora meglio della diplomazia che allestisce cordiali colloqui e una scenografia di riabilitazione della controparte, sarebbe affidare la propria strenua richiesta di un’alternativa alla testimonianza di una Barca in flottiglia e della Croce.

Nel sito pubblichiamo un articolo di Paola Caridi e Tomaso Montanari su Herzog e il Papa, e uno di Roberta De Monticelli sulle due versioni dell’incontro in Vaticano.

Con i più cordiali saluti,

Prima Loro (Raniero La Valle)

*Foto tratta da Pixabay

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