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"UNA RIFORMA INACCETTABILE". I PRESIDENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALEAL CONVEGNO DEL MEIC

Tratto da: Adista Notizie n° 37 del 20/05/2006

33378. ROMA-ADISTA. "Nessuna Costituzione è inviolabile perché non esistono ‘clausole di eternità', ma ciascuna Costituzione è il frutto di grandi stravolgimenti politici e di processi storici profondi, come la nostra che è nata dalla Resistenza antifascista. E siccome in questa fase non si è verificato nulla di tutto ciò, la revisione costituzionale proposta dal centro-destra è inaccettabile". Così Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte costituzionale, ha aperto la seconda sessione del convegno del Meic su cattolicesimo e riforme costituzionali (v. notizia precedente), scandita dagli interventi dei presidenti emeriti della Corte e dedicata in particolare all'analisi di alcuni aspetti della Costituzione scritta dai ‘saggi di Lorenzago'.

Capotosti: tutto il potere al Primo ministro

È incentrato sul ruolo del Primo Ministro – così si dovrebbe chiamare il Presidente del Consiglio se la riforma venisse confermata con il referendum del 25-26 giugno – l'intervento di Piero Alberto Capotosti, che segnala il pericoloso accumulo di potere nelle mani del premier. "Nel testo è scritto che il Primo Ministro ‘determina' la politica del governo, intaccando così la collegialità del governo; inoltre è l'unico ad avere la prerogativa di sciogliere anticipatamente la Camera dei Deputati, esautorando così del tutto il Consiglio dei Ministri" e "riducendo il Presidente della Repubblica – che teoricamente mantiene il ruolo di ‘garante della Costituzione' – a mero notaio di decisioni prese da altri". Per evitare "lo spauracchio del ribaltone", si realizza una "blindatura eccessiva" del Primo Ministro che, di fatto, modifica anche la forma di governo in senso presidenziale.

Elia: non più il Parlamento, ma il ‘consiglio del Primo Ministro'

"Il Parlamento viene fortemente ridimensionato ad esclusivo vantaggio del Primo Ministro", spiega Leopoldo Elia nel suo intervento sulle Camere e sul procedimento legislativo. "C'è una assoluta mortificazione della Camera dei Deputati che, se non approva le leggi, potrebbe venire sciolta dal Primo Ministro. Il dissenso, quindi, provocherebbe la fine della Legislatura, e verrebbe meno quella funzione di controllo" prevista dalla stessa Costituzione ‘riformata'. "In tutti i Paesi democratici – aggiunge – il governo prima di entrare in carica chiede la fiducia e, se non la ottiene, si dimette; in Italia invece avverrebbe il contrario: se il governo non ottiene la fiducia, è il Parlamento che viene sciolto". Secondo Elia, poi, il procedimento legislativo previsto dalla nuova Costituzione potrebbe paralizzare il Parlamento: le leggi su materie di pertinenza statale dovranno essere approvate dalla Camera, quelle su materie "concorrenti" (cioè dove lo Stato si limita a dettare i princìpi, e il resto è regolato dalla legge regionale) dal Senato e alcune da entrambi i rami del Parlamento. Una distinzione che però, spiega Elia, in molti casi non funziona perché "alcune leggi sono troppo complesse, impossibili da ‘spacchettare' in tre": quindi è prevedibile che si verifichino "conflitti e, di conseguenza, paralisi dei diversi organi dello Stato". L'unico modo per uscire dall'impasse sarà il ricorso massiccio a decreti-legge e leggi-delega, con un ulteriore aumento dei poteri del Primo ministro.

Onida: il federalismo, un bluff pericoloso

Quella che riguarda il federalismo, secondo Valerio Onida, è la revisione meno significativa e più contraddittoria della riforma costituzionale del centro-destra: "prima si dice che spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva su sanità, organizzazione scolastica e polizia locale; poi si aggiunge che lo Stato ha la competenza esclusiva sulle prestazioni del servizio sanitario nazionale, sull'istruzione e sull'ordine pubblico". "Qual è il senso di tutto ciò?", si chiede Onida: "o si tratta di una mera operazione verbale, oppure si manifesta un'intenzione, che è pericolosa proprio perché è nascosta". E lo stesso vale per il cosiddetto "federalismo fiscale": "è scritto – spiega Onida – che gli enti locali possono imporre tasse solo se questo non fa aumentare il prelievo fiscale complessivo, quindi, di fatto, è sottoposto allo Stato". Allora quello che viene spacciato per federalismo, secondo Onida, "si limita a semplici elementi verbali, però è foriero di grande confusione". (luca kocci)

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