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"PER LA PACE, I SOLDATI NON BASTANO". LA SOCIETÀ CIVILE GIUDICA LA MISSIONE ITALIANA IN LIBANO

Tratto da: Adista Notizie n° 63 del 16/09/2006

33531. ROMA-ADISTA. I soldati italiani sono sbarcati in Libano, Israele ha tolto il blocco che dal mare e dal cielo stringeva il Paese in una morsa, e tra le rovine di Beirut, Tiro e delle altre città è iniziata frenetica la ricostruzione. "La ricostruzione delle infrastrutture distrutte", racconta il gesuita fr. Fadel Sidarouss dal Libano, "è stata immediata; tutti sono all'opera: singoli, imprese, partiti politici, governo, con promesse di aiuti da Paesi arabi e stranieri. I generi alimentari tornano a fare la loro comparsa nei mercati. Stanno anche ricominciando le lezioni nelle scuole e nelle università".

E proprio nel quadro di un progressivo ritorno alla normalità, alcune organizzazioni della società civile italiana fanno sentire la loro voce per ricordare al governo che non bastano gli eserciti – anche se sotto l'egida Onu – per costruire la pace in Libano e in Medio Oriente.

È questo il messaggio della Tavola della Pace, che – dopo la manifestazione dello scorso 26 agosto (v. Adista 59/06) – ricorda per bocca dei suoi coordinatori Flavio Lotti e Grazia Bellini, che in Libano "non basteranno i militari" ma servirà anche un forte presenza civile, inviata magari dall'Unione Europea. "Data la natura complessa e l'alto rilievo della missione Onu in Libano, l'Italia, l'Europa e la comunità internazionale non possono fare a meno del contributo insostituibile di una componente civile impegnata a curare la ‘dimensione diritti umani' e a promuovere la ‘sicurezza umana'".

Serve "personale civile in congruo numero e con appropriata competenza: monitori dei diritti umani, specialisti nel settore dello sviluppo e dell'assistenza umanitaria, personale esperto in comunicazione e dialogo interculturale". La Tavola chiede anche l'istituzione di un "difensore civico", "che sorvegli il comportamento dei Caschi blu nei loro rapporti con la popolazione" e dia seguito alle denuncie di abusi e irregolarità.

Una timida apertura è invece espressa da "Un ponte per...": "Non siamo contrari alla partecipazione italiana", si legge in un comunicato, anche se "questa non è la nostra politica, questa non è l'Onu di cui ci sarebbe bisogno, per costruire la pace ci vuole altro". Quello raggiunto in Libano è un cessate il fuoco "tardivo, reticente, ambiguo e fragile", reso possibile dalle "diplomazie degli Stati che giocano sulla pelle dei popoli i propri interessi strategici".

Viste le premesse, perché la missione non si riveli un fallimento, secondo "Un ponte per..." è necessario che siano rispettate alcune condizioni. Tra queste, il rispetto di una "rigida neutralità" tra le parti in conflitto, con la sospensione di un precedente accordo di cooperazione militare tra il governo italiano e "una delle parti in campo", un "forte rispetto della sovranità del Libano" e una chiara distinzione tra compiti militari e iniziative di ricostruzione sociale e militare del Paese, "rigidamente affidate", queste ultime, "ad una missione civile". Importante anche che la missione italiana non si trasformi in un ombrello per gli affari delle imprese italiane coinvolte nel business della ricostruzione.

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