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LA TENACIA DI RESISTERE, IL CORAGGIO DI RIFIUTARE. INIZIATIVE CONTRO L’ASSEDIO DI GAZA

Tratto da: Adista Notizie n° 11 del 09/02/2008

34272. ROMA-ADISTA. È stata dedicata a quanti vivono quotidianamente nella propria vita "la tenacia di resistere" e "il coraggio di rifiutare" l’iniziativa promossa, nel quadro della Campagna internazionale per la fine dell’assedio di Gaza, da Arci, Associazione per la pace, Cgil, Donne in Nero, Ebrei contro l’occupazione, Fiom-Cgil, Giovani Comunisti, Prc-Sinistra Europea e Rete Radié Resch, durante la Giornata Globale di Azione lanciata dal Forum Sociale Mondiale lo scorso 26 gennaio (v. Adista n. 9/08). Un’iniziativa (dal titolo, per l’appunto, "La tenacia di resistere, il coraggio di rifiutare") che si è svolta in un momento di grande significato: quello in cui - come ha ricordato la responsabile internazionale della Fiom-Cgil, Alessandra Mecozzi, introducendo l’incontro - 700mila persone ("la metà della popolazione di Gaza"), in seguito a quattro giorni di chiusura totale e black out nella Striscia, hanno sfondato il Muro al valico di Rafah e si sono riversate in Egitto per comprare generi di prima necessità, alimenti, medicine. "Il popolo palestinese – ha commentato Samir Al Qariouty della Comunità palestinese in Italia – è riuscito ad abbattere il muro dell’isolamento, mediatico e politico. Siamo fieri che neanche un oggetto sia stato rubato in Egitto". Di "un’affermazione di libertà di un popolo" ha parlato non a caso Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento Europeo, ricordando che "quando cadono i muri vi è sempre un senso di libertà": e se c’è stata una rottura della legalità internazionale - ha aggiunto (definendo al tempo stesso il lancio di rockets sui civili israeliani "un’azione di impotenza, non di resistenza") - "di quanta legalità internazionale si è fatto scempio rispetto ad un’occupazione militare che va avanti da quarant’anni?".

A spiegare come la popolazione - con le donne in prima linea - sia giunta a sfondare il Muro a Gaza, evadendo da quella che a tutti gli effetti è diventata una prigione a cielo aperto, è stata Lama Hourani, attivista per i diritti civili e delle donne e membro dell’International Women Commission, composta da donne palestinesi, israeliane e di altri Paesi, tutte impegnate per una pace giusta e sostenibile. "Sembra sempre di aver toccato fondo – ha spiegato – ma questo continua ad allontanarsi: non c’è elettricità e quindi manca l’acqua, che viene pompata da motori elettrici; manca il gas, e pertanto niente riscaldamento, e proprio nell’inverno più rigido degli ultimi 20 anni; manca il pane, in quanto tutti i fornai sono chiusi, e manca tutto ciò che serve agli ospedali, a cominciare dalle incubatrici".

Contro l’occupazione, e in particolare contro il blocco di Gaza, un convoglio umanitario di rifornimenti promosso dalla Coalizione Israeliana contro l’Assedio si è recato, durante la stessa Giornata Globale di Azione del 26 gennaio, da Nazareth, Haifa, Tel Aviv, Gerusalemme e Beer Sheva fino al check-point tra Israele e la Striscia, dove si è stabilito un collegamento telefonico con i rappresentanti della Coalizione Palestinese, impegnati in azioni parallele dal lato di Gaza. E di un’altra lotta nonviolenta ha parlato, durante l’incontro, Basel Mansour, giovante attivista del Comitato popolare di Bil’in, un piccolo villaggio a nord-est di Ramallah diventato negli ultimi due anni il simbolo della resistenza nonviolenta contro l’occupazione e il muro, con l’appoggio dei pacifisti israeliani e internazionali: ogni settimana, dal villaggio, parte un corteo verso il punto più vicino possibile alla zona in cui il muro è in costruzione per cercare di rallentare il lavoro delle ruspe con azioni di disobbedienza. Una lotta che ha già raggiunto un primo risultato: una sentenza della Corte Suprema israeliana ha stabilito un cambiamento nel tracciato del muro che eviti l’annessione ulteriore di parti di territorio palestinese.

Ma, di fronte alla "tenacia di resistere" non manca neppure il "coraggio di rifiutare". È il coraggio, per esempio, dell’israeliano Noam Livne, che ha rifiutato il servizio militare da riservista ed è per questo finito in prigione 7 anni fa. "Lo Stato di Israele ha posto un’enfasi tale sulla questione della sicurezza che, anziché presentarsi come uno Stato con un esercito, è diventato un esercito con uno Stato. Un esercito che è diventato una specie di marchio, come la Coca Cola. La sicurezza è diventata però la scusa per compiere crimini efferati. Cosicché noi israeliani, vittime dell’Olocausto, siamo diventati carnefici a nostra volta: Gaza assomiglia sempre di più ad un ghetto". Riguardo alla posizione degli europei, Livne ha invitato l’Europa a considerare Israele come "uno Stato con un trauma psicologico, senza preoccuparsi del fatto che risponda ad ogni critica con l’accusa di antisemitismo". "Mia madre, per esempio, che ha perso nell’Olocausto gran parte della sua famiglia, ha sempre paura che in questi convegni io parli male del mio Paese". Ma Livne ha invitato anche a fare attenzione: "Non ci sono buoni e cattivi, ma azioni buone e azioni cattive. Non odiate Israele, odiate l’occupazione di Israele. E non paragonate l’occupazione con l’Olocausto: io posso farlo perché sono israeliano, ma voi – ha concluso – abbiate la delicatezza di evitarlo". (claudia fanti)

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