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RESPINTI ALLA FRONTIERE. L'ODISSEA DEI PROFUGHI AFGHANI

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 03/01/2009

Questa testimonianza del dottor Ettore Zerbino nasce dall’esperienza dell’associazione  umanitaria onlus “Medici contro la tortura” di assistenza ai profughi dell’Afghanistan vittime di violazioni dei diritti umani

 

Il lavoro volontario dell’associazione Medici contro la tortura, a Roma, si è rivolto quest’anno soprattutto alla certificazione e cura di una popolazione di rifugiati particolarmente sofferente e trascurata. Sono i rifugiati dall’Afghanistan, giovani persone (anche minorenni, tra i 14 e i 18 anni) molto a rischio, che hanno affrontato nella fuga dal loro paese un viaggio travagliato, di molti mesi, spesso di anni, affidati a trafficanti e con lunghe tappe di lavoro in Iran o in Turchia. Raccontano di aver perso uno o entrambi i genitori vittime della situazione di violenza e guerra in quel paese, di aver subìto loro stessi violenze e carcerazioni disumane da parte delle fazioni in lotta, e torture nelle situazioni di  detenzione. Hanno capito che là non si poteva sopravvivere e spesso dalle stesse loro famiglie sono stati avviati all’esilio per salvarsi. Piangono raccontando la loro storia, non sperano quasi più di ritrovarsi insieme. Hanno perso i contatti, non sanno se i familiari sono vivi, o chiusi in campi profughi.

Molti di loro, arrivati in Grecia, ordinario ponte per l’ingresso in Europa, vi hanno incontrato una polizia violenta. Sono stati aggrediti nei loro improvvisati bivacchi intorno ai porti (per lo più Patrasso), percossi, sistematicamente derubati dei soldi guadagnati nel loro percorso lavorativo, fermati e seviziati... Spesso, contro ogni legge internazionale, la loro identificazione non ha avuto seguito in una regolare richiesta di asilo. È avvenuto ciò che le convenzioni internazionali (Ginevra e altre) vietano in modo assoluto. Il respingimento alla frontiera. Rimessi sui gommoni e mandati per mare. Ma la legge della Comunità Europea è particolarmente drastica in proposito. La convenzione di Dublino prescrive in modo assoluto che la richiesta di asilo debba avvenire nel primo paese europeo raggiunto. Ogni ulteriore trasferimento delle persone profughe o rifugiate comporta un obbligo di rinvio in quel paese, in questo caso la Grecia.

Ecco perchè molti dei ragazzi accampati all’aperto nei pressi della stazione Ostiense di Roma, controllati dalla nostra polizia, fermati e perquisiti, sono, in molti casi,  dei clandestini. La loro condizione di richiedenti protezione internazionale non può essere riconosciuta perché c’è di mezzo la Grecia. Noi medici volontari li curiamo nell’ottica del loro trauma di origine, come vittime della violenza in Afghanistan, ne certifichiamo anche la violenza che ha preso il posto di quello che avrebbe dovuto essere il riconoscimento sperato dei loro diritti, qui da noi. La terra di esilio è sempre dolorosa, ma è inimmaginabile la pena di chi vi trova la persecuzione invece della salvezza. Lavorando coi servizi legali delle strutture della Casa dei Diritti Sociali Focus e con quelle annesse al progetto Integra del Comune di Roma ne abbiamo salvati parecchi dal rinvio in Grecia (dove il riconoscimento del diritto di asilo è evenienza rara) motivando il loro non rinvio con le loro condizioni deprivate, traumatizzate e spesso di vera e propria malattia in corso. Si attende ancora che la motivazione accolta dal Ministero dell’Interno sia quella reale, con fondamento giuridico. Ma i paesi del percorso di esilio di queste persone, fra cui la Grecia (come hanno documentato le indagini-visite dell’autorevole Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa), non sono paesi che ottemperano in maniera precisa ai doveri di asilo politico.

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