Quando la profezia batte l’emarginazione
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 24/01/2009
Il mondo del volontariato si ripensa, prova ad uscire da una emarginazione nella quale sembra essere confinato, proprio oggi che se ne avverte di più il bisogno. Lo ha fatto a novembre scorso in un seminario organizzato dal Comitato che porta il nome del padre storico del volontariato, Luciano Tavazza, in collaborazione coll’Associazione Libera e il Cnel, dal titolo “Volontariati di frontiera: tratta delle donne, usura, sfruttamento dei minori, immigrazione”. Quattro settori e quattro testimonianze che tengono viva la speranza: la Casa di Rut, il centro di accoglienza delle suore Orsoline per gli immigrati nel casertano; i centri anti-usura di Libera-Fai in Basilicata; la comunità Agape contro il mercato dei minori; l’impegno dell’Arci per la tutela dei diritti degli immigrati.
“Oggi il volontariato è in crisi non solo numerica, ma di prospettiva – ha affermato Emanuele Alecci, presidente del Comitato – Si parla di advocacy, per il suo futuro. Quindi di tutela dei diritti. Sì, certo: ma deve essere in una logica anticipatoria, che sa guardare al futuro da costruire e al sistema nel suo complesso”. Alla legalità e alla giustizia, ad esempio, o ai bisogni del territorio. È questo – sostiene Alecci – il nostro modo attuale di intendere il Volontariato di frontiera.
Tutto il volontariato è di frontiera, replica con vigore Luigi Ciotti nell’intervento di apertura della giornata. Nella società di oggi ci sono fragilità che corrono il rischio di essere nascoste (anoressia, bulimia, alcolismo) che provocano una vera e propria strage e a cui solo il volontariato sa offrire punti di riferimento. “Ma non è possibile – aggiunge don Ciotti – un volontariato che si richiude nelle proprie organizzazioni senza pensare all’insieme dello Stato. Siamo chiamati ad uscire dai nostri recinti per costruire insieme dei percorsi”. Oserei dire, ha sottolineato il presidente di Libera, “ci vuole meno solidarietà e più giustizia, più diritti”. È chiaro, ha ribadito, la solidarietà è l’anima del volontariato che incontra persone, soggetti, e i loro bisogni, che sono sempre un fine e mai un mezzo. Ma anche la denuncia “è un annuncio salvifico”, ha sottolineato don Luigi con le parole di mons. Bartoletti.
Per questo il fondatore dell’associazione che lotta da anni contro la mafia ricorda l’impegno di un sacerdote ucciso dalla camorra, don Peppino Diana, che diceva: “La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo dobbiamo far risorgere. Bisogna salire sui tetti per annunciare la Parola”. E sui tetti, il prete che rifiuta di essere identificato come un prete di frontiera, continua a salire. Parlando di una sicurezza che può fondarsi solo sula verità; della sicurezza che manca sui luoghi di lavoro; dell’incapacità di applicare le buone leggi (come quella che dà la possibilità di confiscare i beni ai corrotti, mai applicata finora), e della preoccupazione per una stanchezza evidente della vita democratica nel nostro Paese.
È ancora tempo per la profezia? Sì è chiesto concludendo don Ciotti: “È sempre tempo per la profezia, se la si intende come la capacità di individuare il domani alla luce del presente”. Ma la profezia è possibile solo se si coniuga il resistere con l’esistere... Significa esserci, immergersi nei luoghi controversi. La profezia significa allora costruire luoghi concreti, ma anche carichi di simboli, significa costruire una critica culturale vera evitando di cercare il consenso sterile e l’autodifesa. Per don Luigi vuol dire fare della strada non il luogo della paura, come qualcuno vorrebbe, ma il luogo della vita.
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