DOPO IL RITORNO DEI LEFEBVRIANI, È SEMPRE PIÙ CRISI TRA CATTOLICI ED EBREI
Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 07/02/2009
34814. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Non bastava lo sconcerto provocato dalla revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani senza chieder loro preventivamente alcuna adesione formale al Concilio (v. notizia precedente): il ritorno nel seno della Chiesa delle 'pecorelle smarrite' della Fraternità Sacerdotale San Pio X è stato segnato dalle polemiche per le dichiarazioni antisemite e negazioniste di uno dei quattro vescovi scismatici, l'ex-anglicano Richard Williamson (v. Adista n. 10/09). Appena diffusa la notizia della revoca della scomunica (che è coincisa con lo shabbat ebraico ed è caduta alla vigilia della Giornata della Memoria), dal mondo ebraico si sono moltiplicate le voci di protesta.
Il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, ha parlato di “un segnale negativo, angosciante e incomprensibile”, mentre il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, vede “nubi minacciose” all'orizzonte del dialogo ebraico cristiano. Di Segni ha detto anche che ridare la “possibilità di nominare sacerdoti” a un vescovo negazionista è un atto “gravissimo”. “Voglio ricordare – ha aggiunto – che i lefebvriani all’epoca della visita di Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma distribuirono un manifestino in cui si diceva ‘papa non andare da Caifa’, paragonando il rabbino Toaff al sacerdote che aveva condannato Gesù. Per loro eravamo e siamo ancora il popolo deicida”. Da Milano, il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, Giuseppe Laras, ha sottolineato che, in un “momento delicato per il dialogo ebraico-cristiano, servivano atti di distensione e non questi episodi e queste dichiarazioni”. “Certo con il Giorno della Memoria a così breve distanza – ha aggiunto ironicamente – non si poteva scegliere momento migliore. Magari sarà una coincidenza, ma tutto questo fa pensare e induce tristi considerazioni. In un momento in cui inoltre viviamo alcune tensioni con il Vaticano, tra queste la preghiera dell'oremus, non ci voleva proprio questa iniziativa per la quale un vescovo negazionista viene graziato”. Critici nei confronti della decisione pontificia anche gli editorialisti ebrei dell'Osservatore Romano, Anna Foa e Giorgio Israel: quest'ultimo, che è editorialista anche del Foglio e tra i più convinti difensori del papato ratzingeriano, ha parlato di “un fatto straordinariamente grave” e di “una ferita difficile da rimarginare”. “Affermare che la revoca della scomunica non significa sposare le idee e le dichiarazioni di Williamson, che vanno giudicate in sé, si ispira alla morale di Ponzio Pilato. La morale non è divisibile in compartimenti”.
Né le reazioni negative sono arrivate solo dall'Italia: il rabbino David Rosen, presidente del Comitato ebraico per il dialogo interreligioso ha definito la revoca della scomunica a Williamson come “un passo che contamina l’intera Chiesa”, e ha chiesto una presa di posizione ufficiale del Vaticano e una “rettifica” da parte del vescovo lefebvriano. Per Rosen, nella decisione pontificia “c’è stata una superficialità” che mostra “gravi lacune nel funzionamento interno del Vaticano”; di fronte a chi ricordava la dichiarazione conciliare Nostra Aetate, il rabbino rammentava che “non conta ciò che il Vaticano dice, conta ciò che fa”. Da Israele, il Museo dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme (dove è esposta la targa sul “silenzio” di Pio XII) ha parlato di decisione “scandalosa”: “La negazione dell’Olocausto non solo rappresenta un insulto per i superstiti, per la memoria delle vittime e per i Giusti fra le Nazioni che rischiarono le loro vite per salvare ebrei, ma è anche un attacco brutale alla Verità”.
A smorzare i toni non sono bastate nemmeno le scuse a mezza bocca del superiore generale della Fraternità, mons. Bernard Fellay, che in un comunicato del 27 gennaio domandava “perdono al sommo pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche” delle dichiarazioni di Williamson. “Benché riconosciamo l’inopportunità di queste dichiarazioni – aggiungeva infatti Fellay –, noi non possiamo che constatare con tristezza che esse hanno colpito direttamente la nostra Fraternità discreditandone la missione. Questo non possiamo ammetterlo e dichiariamo che continueremo a predicare la dottrina cattolica e ad amministrare i sacramenti della grazia di Nostro Signore Gesù Cristo”.
A rischio sembrava addirittura l'annunciato (ma mai confermato) viaggio di Benedetto XVI in Israele il prossimo maggio, soprattutto dopo che il Gran Rabbinato d'Israele ha proposto, con una lettera di protesta inviata alla Pontificia commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, guidata dal card. Walter Kasper di sospendere l'annuale incontro di dialogo ebraico-cattolico in Vaticano, previsto per marzo. Kasper ha risposto offrendo abbondanti rassicurazioni e proponendo, a quanto pare, di mantenere la data di marzo per l'incontro interreligioso.
Di fronte al montare delle proteste, poi, il 28 gennaio è intervenuto finalmente, come richiesto da più parti, lo stesso Benedetto XVI. E lo ha fatto con una “comunicazione” al termine dell'udienza generale, in cui ha ribadito la sua “piena e indiscutibile solidarietà con i fratelli” ebrei, rifiutando esplicitamente ogni forma di “negazionismo e riduzionismo” e ricordando l'“eccidio efferato di milioni di ebrei, vittime innocenti di un cieco odio razziale e religioso”.
Parole che sembrano essere riuscite a placare, almeno parzialmente, le polemiche: l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechai Lewy, si è detto “molto contento di una dichiarazione di così alto livello da parte della Santa Sede, che chiarisce molte cose e aiuta a superare gli equivoci” e non ha mancato di rinnovare l'invito per un viaggio a cui il governo israeliano tiene moltissimo: “Il papa – ha detto – è benvenuto in Israele oggi, così come era benvenuto ieri e l'altroieri”.
Resta però il fatto che la revoca della scomunica ai lefebvriani ha scoperchiato il vaso di Pandora dell'antisemitismo diffuso negli ambienti della destra cattolica. L'intervista del lefebvriano trevigiano don Floriano Abrahamowicz, che sul quotidiano la Tribuna del 29/1 faceva proprio le affermazioni negazioniste di Williamson, potrebbe essere solo la punta dell'iceberg di quanto si muove nel mondo tradizionalista. Il rabbino Di Segni, non a caso, aveva osservato dopo la revoca della scomunica che il problema rappresentato dai lefebvriani “non è il singolo negazionista, ma molto più profondo”.(a. s.)
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