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JADOT, IL PROFETA

- EROE DEL CATTOLICESIMO PROGRESSISTA USA, OSTEGGIATO IN VATICANO DA PAPA WOJTYLA: UN RICORDO DI MONS. JADOT.

Tratto da: Adista Contesti n° 23 del 28/02/2009

Questo articolo di  John A. Dick, già docente all’Università cattolica di Lovanio, è stato pubblicato sul settimanale statunitense “National Catholic Reporter” (6/2/2009). Titolo originale: “Remembrance: Jean Jadot, hero of progressive catholics, dies”

 

L’arcivescovo Jean Jadot, architetto della “Chiesa pastorale” Usa, è morto in pace nella sua residenza a Bruxelles il 21 gennaio all’età di 99 anni. È stato nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 1973 al 1980 e sotto la guida di Paolo VI ha trasformato la leadership episcopale degli Stati Uniti nominando vescovi con un orientamento pastorale.

La prima nomina episcopale di Jadot è stata quella di Bernard Law nel dicembre 1973, e l’ultima quella di Kenneth Untener nel novembre 1980. Nei suoi sette anni come nunzio apostolico, è stato responsabile della nomina  di 103 nuovi vescovi e di 15 arcivescovi, compreso Raymond Hunthausen a Seattle, Joahn Roach a Saint Paul, Rembert Weakland a Milwaukee, e John May a Saint Louis.

Jadot è diventato l’eroe dei cattolici progressisti post-conciliari negli Stati Uniti. I vescovi nominati su suo suggerimento si facevano rapidamente conoscere (come denunciato dai cattolici americani conservatori) come i “ragazzi di Jadot”. Dopo l’assemblea di Call to Action del 1976 a Detroit, e in particolare dopo un discorso rivolto ai vescovi Usa a Washington il 9 novembre 1976, in cui Jadot disse ai vescovi quale sarebbe dovuta essere la loro agenda per il bene della Chiesa negli Usa, il nunzio divenne il bersaglio di un’animosità aspra da parte dei vescovi e dei laici conservatori. Un amico intimo a Roma lo avvertì a quell’epoca che “loro” avrebbero “cercato di bloccarlo”.

Nel suo discorso - “Un guardiano per la casa d’Israele” - del 1976 all’assemblea generale della Conferenza nazionale dei vescovi cattolici a Washington, Jadot candidamente fece il punto della situazione della Chiesa cattolica degli Usa, sottolineando tre aree di preoccupazione. Cominciò con la carenza di preti: “Questa mattina, miei confratelli, vorrei condividere con voi alcuni segni che leggo nei nostri tempi in modo da poter guardare lontano e essere preparati a ciò che sta arrivando. Uno dei problemi che dovremo affrontare molto presto – al massimo entro dieci anni – è la carenza di preti. Vi chiedo il permesso di essere sincero e diretto. Sono preoccupato del fatto che tanti di noi – laici, clero e vescovi – non sembrano curarsi del fatto che, se non oggi, nel giro di pochi anni, non saremo in grado di servire le nostre parrocchie e istituzioni con preti così come abbiamo fatto nel passato. In alcune regioni i preti stanno morendo a 50 anni per il troppo lavoro. Altri sono cronicamente stanchi e frustrati perché non ce la fanno a fare da soli ciò che diversi preti insieme facevano in passato”.

Continuò sottolineando l’esigenza di “nuove forme di vita parrocchiale e forse nuove forme di organizzazione parrocchiale così che la parrocchia possa diventare una comunità di piccole comunità”.

Richiamò l’attenzione sul problema delle minoranze nella Chiesa americana: “Come possiamo offrire cura pastorale a coloro che non si sentono a casa con il nostro stile europeo occidentale e bianco di culto pubblico e di vita comunitaria, a coloro che non si sono adattati e non vogliono adattarsi a ciò che definiamo il nostro modo americano di fare le cose?... Come possiamo cercare l’unità del popolo di Dio all’interno della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, preservando allo stesso tempo la diversità che è una delle ricchezze del nostro grande Paese?”.

Pochi vescovi reagirono con scontata irritazione quando egli li rimproverò di non essere riusciti a promuovere la giustizia sociale e il rispetto per tutte le culture: “Mi chiedo se la maggioranza dei nostri preti e persone comprendano le nostre mancanze in questi settori e persino la nostra arroganza verso i nostri fratelli e sorelle nella fede che sono in certo modo diversi da noi. Mi chiedo se potremo mai capire le legittime frustrazioni che avvertono”.

Nelle sue note conclusive, il nunzio richiamò l’attenzione su altre due aree che i vescovi avrebbero dovuto seguire: “Vi sono altri problemi vicini o lontani. Posso citare la questione del ruolo delle donne nella società e nella Chiesa o problemi che verranno dal rifiuto degli standard tradizionali di morale nella società, e nella vita politica ed economica”.

Il giornalista di informazione religiosa del New York Times Kenneth Briggs riecheggiò i sentimenti dei cattolici americani più progressisti quando illustrò l’impatto positivo delle parole del nunzio in un articolo del 27 febbraio 1977, articolo intitolato “Il delegato Usa del papa assume un ruolo forte”. I sentimenti anti-Jadot dei cattolici americani conservatori vennero riflessi in un articolo di A. J. Matt su The Wanderer del 17 marzo: “L’arcivescovo Jadot è portavoce di Roma?”. Pochi giorni dopo, il 25 marzo 1977, il direttore del National Catholic Reporter, Arthur Jones, uscì con una lunga intervista a Jadot, “l’uomo del papa negli Usa”. Lo stesso numero del Ncr comprendeva un editoriale elogiativo intitolato “Jadot urbi et orbi”.

Dopo l’editoriale del Ncr, Jadot ricevette un’enorme ondata di posta anonima astiosa che gli diceva “vattene dagli Stati Uniti e tornatene in Belgio”. Venne anche denunciato in Vaticano. Ad un certo punto Jadot rassegnò le dimissioni a Paolo VI, che rispose dicendo “No. Stai solo facendo quello che voglio che tu faccia”.

I sentimenti in Vaticano, tuttavia, sarebbero cambiati in modo significativo con l’elezione del secondo successore di Paolo VI. Nel 1980, uno Jadot fisicamente logorato diede le sue dimissioni a papa Giovanni Paolo II, che vennero felicemente accettate. Jadot venne chiamato a Roma, dove lavorò con lo scontato sfavore del papa per quattro anni, come pro-presidente del Segretariato vaticano per i non cristiani. A differenza dei suoi predecessori e del suo successore come nunzio apostolico, Jadot non fu mai nominato cardinale.

Jadot era nato il 23 nobvembre 1909 a Bruxelles. Veniva da una nota famiglia aristocratica belga di ingegneri, banchieri e costruttori di strade i cui affari si estendevano in tutto il Belgio, così come in Cina e nel Congo Belga. Due mesi prima del suo diciassettesimo compleanno, Jadot entrò nell’Università cattolica di Lovanio. Nel 1930 aveva già completato il suo dottorato in filosofia, laureandosi magna cum laude. Lo stesso anno in cui terminò il suo lavoro accademico a Lovanio, Jadot entrò nel seminario maggiore di Malines, in Belgio, nonostante l’opposizione del padre.

L’11 febbraio 1934 il cardinale Josef-Ernest van Roey di Malines ordinò Jadot prete. Negli anni immediatamente successivi alla sua ordinazione, dal 1934 al 1940, fu parroco associato nella periferia di Bruxelles, e dal 1939 al 1952 tenne diverse cappellanie per i giovani e per l’esercito belga. Dal 1952 al 1960 fu cappellano delle truppe congolesi nell’allora Congo Belga. Dal 1960 al 1968 fu direttore nazionale belga di “Propaganda fide”. In questo periodo aveva già attirato l’attenzione di Paolo VI, grazie all’influsso del cardinal Joseph Suenens, che aveva un interesse speciale per Jadot e lo aveva suggerito all’attenzione della Segreteria di Stato vaticana. Nel luglio 1973, Jadot arrivò a Washington per assumere il ruolo di delegato apostolico.

Dal 1984, Jadot era in pensione, ma sempre attivo, a Bruxelles.

Ricordo che ero con lui il giorno in cui arrivò l’annuncio della nomina del suo successore come nunzio apostolico, l’arcivescovo Pio Laghi, nominato cardinale nel 1991. Jadot mi aveva chiamato quel mattino e mi aveva chiesto se potevo portarlo a Lovanio per un pranzo con i suoi amici al College americano. Dopo pranzo, tornai alla sua macchina. Appena prima di aprire la portiera, si girò verso di me: “Hai sentito la notizia?” “Sì”, risposi, “proprio poco dopo la tua telefonata stamattina”. “Bene”, disse Jadot, “Oggi dovevo stare con i miei amici americani. Non è importante essere cardinali. Ciò che mi dà fastidio è che so che non si tratta dell’essere cardinale. È uno schiaffo a me”.

Credo che la storia della Chiesa cattolica americana sarà grata all’arcivescovo Jadot e che le parole dell’eminente storico della Chiesa cattolica americana, John Tracy Ellis, un giorno saranno incise da qualche parte nella pietra: “È stata la mia grande fortuna quella di diventare amico di questo ammirevole uomo di Chiesa, e più l’ho studiato, più ho ammirato la sua dedizione alla Chiesa, la sua acuta intelligenza, la sua abitudine di leggere di tutto e il suo approccio amichevole”.

 

 

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