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Attenzione: manca la colla

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 24 del 28/02/2009

Già negli anni ottanta Giuseppe Dossetti avvertiva che in Italia “non c’era più la colla”. Voleva dire che stavano venendo meno le ragioni profonde della solidarietà intesa non solo come generosità dell’animo individuale, ma come contesto sociale e oggettivo nel quale ciascuno riconosce e vive un legame positivo e fiducioso con gli altri.

Nella generazione di Dossetti c’era il ricordo, e forse la nostalgia, della stagione della Resistenza e della Ricostruzione, quando il paese nel suo complesso, e moltissimi cittadini ciascuno per la sua parte, seppero trovare le ragioni e uno stile di convivenza, rispetto e collaborazione. Le tragedie vissute, le difficoltà da affrontare per assicurare ai figli un futuro migliore favorirono certamente questa solidarietà; ma essa fu possibile anche perché c’era un’idea di bene comune, cioè di un patrimonio e soprattutto di un progetto che si poteva realizzare soltanto insieme. La colla di una società non è infatti la nostalgia del passato, ma la volontà di realizzare un progetto comune, insieme. Non è un caso che nel 1981, nel documento “La chiesa italiana e le prospettive del paese”, i vescovi italiani ricordassero che “il Paese non si salverà se non insieme”. Aggiungendo: “…a partire dagli ultimi”.

La “colla” è quella che fa sentire uniti e solidali anche quando non si ha un interesse immediato da realizzare “per se stessi”; ma ci si sente parte di una comunità; e si è disposti a condividere i bisogni e i desideri; a sacrificare qualcosa di nostro per un futuro comune migliore, più giusto.

Adesso la colla sembra proprio scomparsa. Nel paese, nelle città, nei partiti il Pd insegna. Spesso anche nelle famiglie e nella chiesa. Persino la nostra Costituzione è dimenticata e aggredita e anche l’ideale europeistico è in crisi. L’idea di “bene comune” appare nebbiosa e retorica (quando non ingannatrice) anche a quelli che si sforzano di parlarne, com’è accaduto alla “settimana sociale dei cattolici italiani”, dalla quale non sono uscite cose significative.

Eppure, lo ricordava Ilvo Diamanti al convegno dell’Ac in memoria di Vittorio Bachelet, “tanta gente fa del bene, ma non è disposta a dirlo”. Molti cittadini sono buoni e altruisti, fanno donazioni, volontariato, sono convinte in cuor loro che bisogna aiutare gli altri. Si fa. Ma non si dice. Quasi ne abbiamo vergogna. Nell’opinione pubblica esser buoni, generosi, fiduciosi, pagare le tasse equivale ad essere un po’ stupidi. Almeno a parole nessuno rinuncia a gareggiare in tema di successo, furbizia e guadagno.

Converrà riflettere su tutto ciò; ma la prima idea che viene in mente è che abbiamo assistito a tanta incoerenza tra parole e fatti che abbiamo perso la fiducia negli altri e nelle parole. Troppa gente a cominciare dall’alto, e molti politici in primo luogo, hanno alternato nobili discorsi sul bene comune con la pratica dell’interesse privato e della rapina. Troppi discorsi astratti hanno mostrato di non reggere alla prova dei fatti, e quello sul “bene comune” pare essere un discorso astratto anche se non lo è affatto. Per “re-inventare la colla” bisogna vincere su due fronti.

Primo: trovare la sincerità di confrontarsi a cuore aperto con gli altri, e cioè sviluppare luoghi in cui ci si incontra con fiducia e amicizia. A me ha fatto una impressione positiva la partecipazione numerosa e il clima del convegno dell’Ac che ho appena ricordato. Il mondo associativo, i gruppi e i movimenti sono il terreno in cui può rinascere un’ethos del bene comune.

Secondo: serve una purificazione della politica. Non solo come rigore e correttezza, ma come recupero delle ragioni morali che devono guidare le scelte politiche verso il bene comune. Una politica che non si ponga l’obbiettivo della partecipazione democratica, della eguaglianza, della integrazione, della libertà (anche di coscienza!), dell’informazione e della cultura per tutti e anche di servizi pubblici adeguati (oggi scandalosamente trascurati oppure privatizzati!)… una politica del genere non è, non sarebbe, né morale né democratica. (ab)

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