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Una rivoluzione poco liberale

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 42 del 11/04/2009

Il cavaliere, presidente del consiglio e leader del nuovo partito, ha lanciato l’idea: faremo la rivoluzione liberale. Qualcuno, poco in confidenza con Piero Gobetti, l’ha messa sulla prima pagina dei giornali, interpretandola come una coraggiosa trovata pubblicitaria. Invece…

Secondo noi, invece, è una profonda, vergognosa mistificazione; e ci auguriamo che le persone che hanno a cuore l’autentica tradizione della cultura liberale dedichino un po’ di attenzione a demistificare questo ambiguo spot pubblicitario, ingenuamente apprezzato persino dall’“Osservatore romano”.

Per aprire la strada ai valori di libertà (personale, sociale, economica e culturale) intere generazioni si sono battute per un paio di secoli. Da Lacordaire e Montalambert a Meda, Sturzo e Moro, cattolici democratici e liberali hanno affermato e costruito – scontrandosi duramente contro l’assolutismo, il fideismo, il dogmatismo, le prepotenze ideologiche, economiche, clericali e militari – la società laica e tollerante, la cultura aperta alla ricerca e al dialogo, il pluralismo culturale e istituzionale, la libertà di coscienza.

Non vorrei proprio che i nostri figli e nipoti confondessero la vera “cultura liberale” con la “rivoluzione liberale” del nuovo partito, che si riassume così: la comodità del privato e l’angustia del pubblico. La libertà della ricchezza e le catene della povertà.

Ecco. Grandi, invadenti e puzzolenti suv da esibire ostruendo le strade urbane o i sentieri di montagna; e lenti, sporchi, affollati vagoni per i treni pendolari. Belle dimore con giardino e permesso d’ingrandirsi liberamente per qualcuno; e modeste case popolari (anzi, neppure: adesso case affittate da speculatori privati) per gli altri. Scuole, università e master “d’eccellenza” con attrezzature, spazi, docenti scelti per i fortunati… cliniche confortevoli e discrete, da una parte…e i risparmi sulla istruzione e la sanità pubblica, dall’altra. Troppo vera e attuale la prassi di privatizzare i profitti e pubblicizzare le perdite. E spesso sono perdite dovute proprio alla libertà della speculazione privata. E non parliamo di leggi e provvedimenti che denunciano un’ispirazione discriminatoria e comunque autoritaria. Altro che etica e valori cristiani! Né appare più “liberale” l’orientamento di riforma della Costituzione secondo il Pdl; e sulla quale, speriamo, verrà sconfitto.

Al di là degli slogans e della demagogia, infatti, si sta sviluppando nel paese e nelle coscienze una vera e propria crisi dell’idea e della pratica della libertà. Ogni giorno c’è il rischio di perderne un pezzetto.

È un tema sul quale riflettere seriamente e trovare parole nuove e vere per descrivere la situazione in cui siamo; e costruire una strategia nuova, efficace e fondata su di un largo consenso. Non sarà facile perché tanta retorica e tanti errori passati hanno compromesso le cose: ad esempio la “dimensione pubblica” (istituzioni, aziende, servizi, regole…) gode di cattiva fama, anche perché troppi privati se ne sono impadroniti e l’hanno come svaligiata dall’interno.  Eppure essa è necessaria per garantire la concreta libertà di tutti e l’eguaglianza, senza la quale la stessa democrazia è a rischio. (ab)

 

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