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SCIENTOLOGY, IL GRANDE INGANNO. IN UN LIBRO, STORIE DI FUORIUSCITI DAL MOVIMENTO

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 13/03/2010

35492. ROMA-ADISTA. Scientology; ovvero, discorso sulla conoscenza. Questa l’etimologia del termine che designa il noto movimento religioso americano. Un nome impegnativo, che non può che creare grandi aspettative: aspettative disilluse, tutte, da quelle circa la conoscenza su di sé e sul mondo a quelle relative alla risoluzione dei problemi che affliggono la vita dei proseliti, come emerge chiaramente dalla lettura delle quattordici testimonianze contenute nel libro Il coraggio di parlare – Storie di fuoriusciti da Scientology, a cura di Alberto Laggia e Maria Pia Gardini (Paoline, 2010, pp. 168, euro 16,50). Colpiscono le profonde contraddizioni tra i proclami e gli slogan del movimento e la realtà dei fatti raccontata da chi il movimento lo ha conosciuto dall’interno. Prendiamo ad esempio la prospettiva di liberazione promessa agli adepti. Giusi De Martin Roder, agente immobiliare milanese, trentenne all’epoca dei fatti narrati, nel suo racconto parla di un senso di insoddisfazione e del desiderio di un miglioramento personale che la spinsero a frequentare la sede di Scientology di Milano, dopo che alcuni adepti in diverse occasioni le avevano consegnato un volantino dal semplice e accattivante messaggio “Conosci te stesso”. Cominciò quindi a partecipare insieme ad un amico a dei corsi di formazione e a sottoporsi a sedute di corsa e sauna senza notare il minimo progresso personale. Ma l’importante, le dicevano tutti, era di andare avanti, perché prima o poi qualcosa si sarebbe sbloccato dentro di lei e si sarebbero così risolti i suoi problemi esistenziali. “Ero convinta che nel giro di uno o due anni avrei raggiunto chissà che liberazioni e traguardi personali”, convinzione condivisa dal gruppo di seguaci che sgombrava il campo da dubbi, nel momento in cui i singoli esprimevano delle perplessità. Lasciò il lavoro, incompatibile con l’impegno richiesto, affidò il figlio ad una parente nella speranza di diventare una madre migliore grazie al percorso. Man mano che il cammino proseguiva e Giusi procedeva nei livelli superiori, aumentavano i dubbi e al contempo diventava più difficile uscirne “Se non ci credi, è ancora peggio, perché vuol dire che hai sbagliato tutto”. Alla fine la coraggiosa scelta di uscire dal movimento fu seguita da una strategia aggressiva e intimidatoria: accuse di aver peccato contro Scientology, minacce di render pubbliche le confidenze sulla propria vita rese nell’auditing, ossia “confessioni” sulla propria vita rese ad un membro anziano, molestie telefoniche alternate a lusinghe. La promessa liberazione si trasforma in un’oppressione violenta non appena si decide di abbandonare il movimento.

Uno degli obiettivi più pretenziosi di Scientology è quello di “chiarire il pianeta”, cioè salvare l’umanità diffondendo gli insegnamenti del fondatore Ron Hubbard. Alla luce di questo proposito, appare ancora più inquietante la testimonianza di Lawrence Woodcraft, un architetto inglese che nel 1987 fu incaricato di realizzare il progetto per la ristrutturazione della Freewinds, una nave da crociera acquistata dall’organizzazione per trasformarla nella sede dei corsi più avanzati. L’architetto ben presto si accorse della presenza dell’amianto nella struttura della nave e ne informò l’ingegnere capo (il quale gli rispose che non si trattava di amianto) e una funzionaria della chiesa, responsabile del progetto. “Com’era possibile che la chiesa portasse su questa nave i suoi adepti e li esponesse a una sostanza così pericolosa?”. Il problema sollevato da Lawrence destò solo in pochi una debole preoccupazione, in altri noncuranza e in altri ancora la risposta che Ron Hubbard in nessuna direttiva aveva mai dichiarato che l’amianto fosse pericoloso! Le precauzioni prese (una ‘squadra amianto’ di scientologisti che accorrevano su richiesta di alcuni operai sul punto della nave in cui era estratto amianto per spruzzarvi sopra acqua e vernice) erano davvero ridicole e, quando gli operai impegnati nel lavoro lasciarono la nave, furono sostituiti da scientologisti, con il doppio vantaggio che questi ultimi erano molto più facili da controllare e che il problema amianto fu del tutto accantonato.

Questi e molti altri aspetti contraddittori, insieme alle delusioni sperimentate, hanno convinto i testimoni del libro a fuoriuscire da Scientology, cosa che ha avuto per loro un prezzo molto alto: affrontare i dissesti finanziari dovuti al pagamento dei corsi e al contestuale abbandono del proprio lavoro (considerato d’intralcio all’attività nella chiesa), la cosiddetta disconnessione, cioè l’interruzione di tutti i rapporti con gli scientologisti, quand’anche si trattasse di parenti, perché si è considerati pericolosi, il trovarsi spesso senza titoli di studio, senza relazioni significative, senza più un significato della vita, il tutto reso ancor più insostenibile dal dover tollerare minacce, intimidazioni, molestie telefoniche degli ex compagni di cammino. Le testimonianze raccolte nel libro mettono così in evidenza come l’oscurantismo e la mancanza di pensiero critico che siamo abituati a riferire alla cultura islamica sono invece questioni “di casa” nel modernissimo Occidente. (linda di ianni)

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