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Democrazia immatura, dittatura morbida

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 17/04/2010

Credo che non si debba dimenticare la lezione delle ultime elezioni regionali: un elettore su tre non ha votato; la campagna elettorale è stata il solito mix di temi scialbi ed ennesimo referendum sul signor B.; leggero incremento per la destra berlusconiana; crescita della Lega; tenuta per la sinistra; qualche segnale di novità (Puglia, Venezia, Lodi, ecc). Difficilissimo fare sintesi in poche battute. Ci provo.

Il sistema sembra essere bloccato: il potere berlusconiano non è in crisi, anzi. Credo che, pur con il rischio di ogni generalizzazione, si possa dire che, uno dei due elettori reali vota a destra, spesso la Lega, che sia convinto o no, lo fa.

La nostra democrazia presenta segni gravi di immaturità e forme vistose di dittatura morbida, che la avvicinano sempre più a un Paese in via di sviluppo, dove spesso, per mancanza di risorse culturali ed economiche, il potere si accentra in gruppi corrotti e dispotici.

Si riflette poco sulla natura culturale del berlusconismo, fatto di sete sfrenata di potere e denaro, vilipendio delle istituzioni democratiche, asservimento delle leggi a proprio favore, volgarità, arroganza, razzismo, tv spazzatura, utilizzo strumentale della religione cattolica, offesa della laicità dello Stato, infedeltà personali, condotta morale, pubblica e privata, riprovevole, autoreferenzialità. Sono questi elementi che vanno compresi e studiati, a prescindere dalla scena politica: sono il cancro della nostra Italia attuale.

Non si può ovviamente trascurare la responsabilità educativa di famiglie, scuole, università, mass media e comunità religiose, che spesso sottovalutano il berlusconismo e, in alcuni casi, ne sono anche diffusori, più o meno coscienti. A mo’ di esempio, si pensi ad alcuni settori cattolici, dove il no ad alcuni principi di bioetica è più forte del no a illegalità, corruzione, guerra, discriminazioni, razzismo.

La sinistra, spesso, sembra incapace di colmare questo vuoto educativo e culturale. E per diversi motivi: contiene settori e soggetti che sono lupi berlusconiani travestiti da pecore progressiste; presenta spesso una classe dirigente vecchia che, in tutte le democrazie mature, starebbe a casa da tempo; spesso non propone programmi e contenuti ma solo sterili polemiche antiberlusconiane; è refrattaria alle alleanze – il progetto Ulivo non ha affatto perso il suo valore – e perde pezzi decisivi per la vittoria (vedi il caso di Mercedes Bresso e Beppe Grillo, campione del populismo, che favorisce B.).

Tuttavia, penso che il quadro non sia disperato: dove i soggetti politici sono stati capaci di capire la sfida culturale e di rinnovare coraggiosamente strategie e prassi politiche, i segni di novità non sono mancati. Penso a Vendola in Puglia, ma anche a diversi nuovi cantieri sparsi in Italia. Aveva ragione Luigi Sturzo quando, in pieno fascismo, scriveva: “Nessuna forza armata o potere di principi o di dittatori valgono a contenere la diffusione delle idee e a impedire che si affermino in istituti politici, quando esse sono mature. E non occorrono i molti a questo fine”.

 

Rocco D’Ambrosio,

prete, docente di Etica politica presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari e la Pontificia Università Gregoriana di Roma

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